Ambiente / Attualità
L’inquinamento da plastica sugli scaffali di Venezia. Le fotografie di Mandy Barker
Il lavoro della pluripremiata fotografa britannica è stato esposto nel centro storico della città, ospite di una residenza universitaria femminile. La galleria D3082 Woman Art Venice ha unito alla forza delle immagini anche la pratica virtuosa del progetto “marGnet” che punta a identificare i rifiuti nei fondali
“Il mio obiettivo è che queste immagini finiscano sullo scaffale (in inglese, shelf) di qualcuno che ha il potere di attuare un cambiamento riguardo al problema dell’inquinamento da plastica”. Quando ha realizzato la serie fotografica “Shelf-Life” nel 2019 -ridando “vita” agli oggetti di plastica recuperati sull’isola disabitata di Henderson, patrimonio mondiale Unesco nel mezzo del Pacifico del Sud-, la pluripremiata fotografa britannica Mandy Barker (autrice della foto di copertina del nostro “Plastica addio”) non sapeva che un giorno le sue foto sarebbero arrivate nel centro storico di Venezia, sugli “scaffali” di una residenza universitaria femminile.
Quegli oggetti di plastica di oltre 45 grandi marchi e provenienti da 25 Paesi diversi, recuperati in un hotspot di biodiversità, sono diventati un’immagine “ispirata alle barriere coralline che circondano Henderson”, minacciate da questo stesso inquinamento. E sono approdate alla galleria d’arte D3082 Woman Art Venice (d3082.org), che ha organizzato insieme a Cnr-Ismar la mostra “NET – Mandy Barker & CNR Institute of Marine Science” (conclusa a fine febbraio 2021) esponendo su strada le impressionanti fotografie di Mandy Barker. Un progetto di denuncia e un invito all’azione contro l’inquinamento da plastica nei mari che si è unito al racconto di una pratica virtuosa: il progetto marGnet (“Mapping and recycling of marine litter and ghost nets on the sea-floor”, margnet.eu), coordinato dal Cnr – Istituto di scienze marine di Venezia.
La peculiarità dello spazio D3082 è il suo essere una “galleria su strada”, nata dalla volontà di riqualificare l’edificio centenario che ospita la residenza universitaria Domus Civica – Acisjf di Venezia, a Santa Croce, allestendo un “padiglione urbano”, come lo definisce il direttore artistico, Marco Luitprandi. “Volevamo dare un senso a queste grandi vetrate affacciate sulla strada, dedicando questo spazio espositivo alle artiste”. Una scelta dettata anche da una critica al mondo dell’arte che spesso lascia le donne in secondo piano: secondo una ricerca condotta da Kooness (un marketplace d’arte, kooness.com), nel 2020, su 440 artisti e oltre 2.700 opere considerate, gli artisti guadagnavano in media il 24% in più delle artiste e meno del 37% delle opere erano realizzate da donne. “E ancora molto difficile resta l’accesso delle donne al mercato dell’arte”, aggiunge Luitprandi.
D3082 è uno spazio espositivo inusuale, ma perfetto in tempi pandemici: “Le persone fruiscono dell’arte esposta nel nostro spazio sette giorni su sette, 24 ore su 24 -spiega-. Perciò non ci siamo mai fermati: anche in questi mesi di pandemia abbiamo continuato a esporre, ospitando diverse forme d’arte, dalla fotografia alla scrittura”. Fino alle foto di Mandy Barker, un’occasione per sensibilizzare non solo la cittadinanza, ma soprattutto le giovani donne che abitano nella Domus Civica, uno spazio dove la sensibilità ambientale è ben radicata. “Dal 1995, prima ancora che il Comune di Venezia promuovesse la raccolta differenziata, la casa ha un gruppo ecologico, che si occupa della prevenzione dei rifiuti e della loro gestione”, raccontano gli educatori della casa.
“Queste immagini sono belle, perciò le persone si fermano a guardarle. Sembra di osservare un ecosistema, ma è tutta plastica”, osserva Michol Ghezzo del Cnr-Ismar di Venezia. “Il lavoro di Barker ha un forte impatto emotivo, che amplifica il valore del progetto marGnet”. Il progetto -sviluppato in collaborazione con il Blue World Institute di Lussino (Croazia) e le italiane Laguna Project snc (Venezia), TechneProjects srl (Padova) e Sintol srl (Torino), sostenuto dal Fondo europeo per gli Affari marittimi e la pesca, e concluso alla fine del 2020- ha studiato un sistema di mappatura, recupero e riconversione dei rifiuti plastici, in particolare le reti da pesca, “un detrito di difficile trattamento, molto pervasivo e pericoloso per gli organismi acquatici”.
“Quando si parla di plastica, l’inquinamento che osserviamo in superficie è pari all’1% del problema. Sul resto abbiamo ancora poche conoscenze: arriva ai fondali, viene ingerito, frammentato, va ad aggiungersi alla ‘zuppa di plastica’ o viene ripescato”, sottolinea Ghezzo. Queste macroplastiche entrano nel ciclo degli ecosistemi con gravi conseguenze sul piano ambientale e della salute, ma sono difficili da quantificare: si tratta di un monitoraggio difficile e costoso, solitamente realizzato con i sub. E rappresentano un costo anche per i pescatori, che dovrebbero pagarne il corretto smaltimento a terra e sono “costretti a ributtarla in mare perché altrimenti compirebbero il reato di trasporto illecito di rifiuti”, come spiega MareVivo (marevivo.it).
Un tema a cui è dedicato il disegno di legge “Salva mare”, sul “recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare” -attualmente fermo in commissione Ambiente al Senato-, grazie al quale “i pescatori potrebbero portare a terra la plastica accidentalmente finita nelle reti”, spiega MareVivo. Il provvedimento, infatti, equipara i rifiuti accidentalmente pescati a quelli prodotti dalle navi. Ma oltre al problema della raccolta dei rifiuti, Michol Ghezzo sottolinea un altro aspetto: le limitate capacità dei sistemi di smistamento e smaltimento, che attualmente riescono a recuperare solo parzialmente la plastica raccolta.
Per questo il progetto marGnet ha perfezionato un sistema acustico per identificare i rifiuti nei fondali, realizzando una mappatura nei due siti pilota (la Laguna di Venezia e l’arcipelago di Cherso e Lussino, entrambi Siti di importanza comunitaria della rete europea Natura 2000), e ha realizzato un prototipo per la trasformazione di plastica recuperata in mare in carburante, di buona qualità e a basso impatto ambientale, grazie a un processo chiamato pirolisi a bassa temperatura. In pratica, “la plastica recuperata dai fondali viene trasformata così com’è raccolta, sporca e salata, in gasolio per le imbarcazioni”, spiega Ghezzo. Una ricerca che proseguirà ora con il nuovo progetto Horizon “MAELSTROM” (“Smart technology for MArinE Litter SusTainable RemOval and Management”), che durerà fino al 2024.
In questi mesi le fotografie di Mandy Barker sono esposte al Museum of Modern Art (MOMA) di New York e al Museo delle Civiltà d’Europa e del Mediterraneo (MUCEM) di Marsiglia, oltre che a Bruxelles, Singapore, Corea del Sud e negli Stati Uniti, in Virginia www.mandy-barker.com
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