Ambiente / Opinioni
La transizione ecologica non è politicamente neutra: le città siano al centro
I sindaci, ignorati quando si tratta di transizione, hanno un ruolo cruciale. Possono mettere in campo programmi di efficientamento, occuparsi di rendere il trasporto pubblico locale più sicuro e più accessibile, aumentare il verde nei quartieri più periferici, ridurre l’inquinamento nelle zone più degradate e meno vivibili. Il commento di Caterina Sarfatti
Il governo Draghi ha giurato e una delle questioni che ha aiutato la sua nascita è quella climatica e ambientale, il che di per sé è una novità interessante per questo Paese. Quindi ora abbiamo per la prima volta un ministero per la Transizione ecologica che ha fatto dibattere le nostre bolle social negli ultimi giorni. Dopo i mesi degli scioperi dei ragazzi e delle ragazze di Fridays for Future, “l’ambiente” è tornato ad avere un po’ di luce. E menomale, perché purtroppo la pandemia non ha fatto sparire la crisi climatica che anzi sembra essere tra le cause dell’insorgere del maledetto virus.
Avere un ministero dedicato alla transizione ecologica è sacrosanto. Dimostra un’attenzione maggiore alle questioni climatiche e ambientali rispetto a quello che era diventato ormai un marginale ministero dell’ambiente, crea in seno al Consiglio dei ministri un potenziale pungolo costante all’azione di governo e dà visibilità alle politiche e agli investimenti per la sostenibilità e la transizione energetica. Certo, come ha scritto qualche giorno fa Gianluca Ruggieri, il fatto che siano stati mantenuti il ministero dello Sviluppo economico, quello delle Infrastrutture e quello delle Politiche agricole sembra depotenziarlo. Tuttavia, si tratta di un ministero non solo con portafoglio, quindi con capacità di spesa, ma secondo le parole di Draghi, un ministero che dovrà svolgere un ruolo chiave nella gestione e nell’indirizzo dei fondi per la ricostruzione. Quindi in una posizione centrale rispetto a prima.
Per questo è un peccato che una proposta così importante proveniente delle maggiori organizzazioni ambientaliste italiane sia stata cavalcata politicamente praticamente esclusivamente da Beppe Grillo. Soprattutto dal governo Conte II, sembra che il centro sinistra -con qualche importante eccezione di alcune esponenti politiche donne come Rossella Muroni, Chiara Braga e Elly Schlein- abbia deciso di appaltare le questioni ambientali ed energetiche al Movimento 5 Stelle, perdendo un’occasione di rinnovamento e innovazione politica che hanno invece colto compagini simili in altre parti del mondo.
Tornando a noi, il ministero serve se è la punta dell’iceberg di un cambiamento complessivo dell’impostazione di governo, in cui la transizione ecologica condiziona tutte le altre scelte: da quelle economiche a quelle sociali e culturali. In Francia, Paese che ha creato un ministero simile, si sono dimessi svariati ministri (quattro in tre anni) perché il dicastero -soprattutto all’inizio- è stato un bello specchietto per le allodole in cui leader ambientalisti di punta non hanno potuto incidere davvero. Da questo punto di vista, la prima dichiarazione del nuovo presidente del Consiglio -“il mio sarà un governo ambientalista”- sembra incoraggiante.
Sempre prendendo spunto dalla Francia, l’intuizione giusta è stata chiamare il ministero della “Transizione ecologica e solidale”. Soprattutto ora, in piena pandemia, sarà essenziale dimostrare che le politiche e gli investimenti “green” siano equi e socialmente sostenibili: che creino lavoro per chi ne ha più bisogno (donne, giovani, disoccupati), che migliorino la qualità dell’aria nelle periferie delle città, che rendano le case popolari più vivibili e salubri. Insomma, che la transizione non sia a beneficio di pochi e che il costo maggiore non venga messo sulle spalle dei cittadini meno abbienti. Perché se la crisi climatica è profondamente ingiusta (creata dalle fette più privilegiate del mondo, toglie vita, lavoro, salute alle persone già discriminate e già in difficoltà), è cruciale che le politiche e gli investimenti per affrontarla non sia ugualmente ingiusti. Che non esacerbino disuguaglianze e povertà, ma che invece le sanino.
Per questo sarebbe importante guardare dall’altra parte dell’oceano. Nel suo ordine esecutivo contro la crisi climatica, Joe Biden ha inserito una clausola che si chiama Justice40: richiede che il 40 per cento degli investimenti per la transizione ecologica (il 40 per cento non sono briciole) sia a “beneficio diretto” delle popolazioni più marginalizzate, vulnerabili e discriminate. Il presidente degli Stati Uniti ha quindi dato mandato alla sua squadra di focalizzarsi su “investimenti nell’energia pulita e nell’efficienza energetica; il trasporto pulito; case popolari e sostenibili; formazione e sviluppo della forza lavoro; la riduzione dell’inquinamento; lo sviluppo di infrastrutture per l’acqua pulita”. Questa è la strada anche qui. E per farlo, per rendere gli investimenti verdi socialmente sostenibili serve indirizzarli massivamente nelle nostre città. I sindaci, attori spesso ignorati quando si tratta di transizione, hanno invece un ruolo cruciale. Possono mettere in campo programmi di efficientamento delle case popolari, possono occuparsi di rendere il trasporto pubblico locale più sicuro e più accessibile, possono aumentare il verde nei quartieri più periferici, possono ridurre l’inquinamento nelle zone più degradate e meno vivibili. Possono creare quelle alleanze con sindacati, imprese, società civile, giovani necessarie a rafforzare politiche ambientali ambiziose e inclusive.
Il tempo è ora. L’Italia detiene la presidenza del G20 nell’anno in cui la ricostruzione e la ripresa post pandemia saranno al centro del dibattito internazionale. Insieme agli Stati Uniti tornati sulla scena globale con credibilità, l’Italia potrebbe rendersi protagonista indirizzando gli altri governi su questa strada: recovery funds verdi e giusti a partire dalle città del mondo così colpite dal Covid-19. La stessa visione per esempio della Task Force Globale di Sindaci di C40 per la Ricostruzione, guidata l’anno scorso dal sindaco di Milano Giuseppe Sala. Nell’ultimo rapporto pubblicato dalla Task Force a ottobre 2020 si dimostra infatti che focalizzare gli investimenti per la ripresa in questo senso potrebbe portare alla creazione di 50 milioni posti di lavoro nelle grandi città del mondo, potrebbe prevenire 270.000 morti premature nei prossimi dieci anni, far risparmiare quasi un miliardo e mezzo di costi sanitari e dimezzare le emissioni climalteranti entro il 2030.
Un’ultima considerazione. La transizione ecologica non è politicamente neutra. Non è una questione “solamente” tecnica e scientifica. Come la fai, quali sono le priorità, con quali attori, dove indirizzi gli investimenti sono tutte scelte politiche che possono acuire le disuguaglianze o sanarle. Serve una visione Politica, con la P maiuscola, per scelte politiche e di policy, con la p minuscola. Questo è il mio augurio per il nuovo ministro Cingolani. Buon lavoro.
Caterina Sarfatti, Director, Inclusive Climate Action, a C40 Cities.
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