Ambiente / Opinioni
Nell’Artico è in corso un disastro al rallentatore
Aumento delle temperature, ghiaccio ai minimi e fusione del permafrost: la Siberia muta, inesorabile, ma una “grande cecità” ci condiziona. La rubrica a cura di Stefano Caserini
Ormai a quanto succede nell’Artico non facciamo neanche più caso. Le notizie passano, ci si stupisce en passant e si passa oltre. Come per i record di temperature registrati in giugno nel circolo polare artico: 38°C registrati il 22 giugno 2020 a Verkhojansk, nella Russia siberiana, 67 gradi di latitudine Nord (il circolo polare artico registra 60°C). “Heatwave”, ondata di caldo, è il nome per questi fenomeni sempre più ricorrenti che delineano la nuova normalità anomala. L’Artico si è scaldato il triplo della media mondiale: tutti i primi cinque mesi del 2020 sono stati caldissimi, nonostante il lockdown per il Coronavirus.
Secondo i dati del Copernicus Climate Change Service, nella Siberia artica le temperature medie hanno raggiunto in alcune località i 10°C sopra la media del mese di giugno. La temperatura media di tutto il territorio nella Siberia artica è stata di oltre cinque gradi al di sopra della norma e di oltre un grado superiore alla temperatura del periodo che va dal 2018 al 2019, che già aveva registrato i due mesi di giugno più caldi di sempre. Il ghiaccio marino dell’Artico è ai minimi. Fa più caldo, il ghiaccio si ritira e aumenta la produttività biologica, la disponibilità di cibo per molti animali. Invece altre specie, che si sono adattate all’ambiente polare, non gradiscono il cambiamento in atto.
Chi vive in quelle zone racconta la diminuzione della copertura nevosa, gli incendi (nel 2019 sono bruciati quattro milioni di ettari di foreste siberiane), la fusione del permafrost (il terreno ghiacciato che contiene metano e altri gas), un lento degrado catastrofico senza cataclismi. Non c’è il picco, l’emergenza, la fase uno e la fase due e tre; è un disastro al rallentatore. E se la tendenza è inoppugnabile, la variabilità confonde. Dopo questi record caldi arriveranno giornate fredde, sotto la media. Quindi il problema potrà essere accantonato, ignorato e anche negato.
10°C: in molte località della Siberia artica le temperature medie nel mese di giugno sono state 10°C più alte rispetto alla norma
Per una coincidenza dopo aver letto i dati delle temperature record nell’Artico, ho ricevuto una telefonata da una giornalista che mi chiedeva un commento sull’ennesimo ex leader ambientalista che ha scritto il suo libro in cui confessa di aver esagerato, che non andiamo incontro all’apocalisse. Le solite cose: dopo il libro “L’Ambientalista Scettico” di Bjorn Lomborg non c’è molto di nuovo in chi sostiene che l’ambiente non è mai stato così bene. Se si rilegge a 17 anni di distanza il libro dello statistico danese, si vede che il capitolo sul clima conteneva molti errori, falsità e previsioni infondate: è in sostanza da buttare. Certo i tanti editorialisti che hanno magnificato quel libro oggi non raccontano quanto sbagliate erano le rassicurazioni di Lomborg.
Ma almeno Lomborg si era impegnato, aveva scritto un libro di 520 pagine con migliaia di riferimenti bibliografici. Ora basta un libretto con un titolo furbo, un paio di tweet e di interviste sui giornali e la notorietà arriva. Secondo lo scrittore indiano Amitav Gosh è una grande cecità che ci impedisce di cogliere la dimensione tragica di questo nostro tempo. Josè Saramago ne aveva parlato in uno dei suoi capolavori, 25 anni or sono: “La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente”.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)
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