Interni
La strategia del ticket
Le Regioni non riescono a stare dietro alle spese sanitarie. La “compartecipazione” dei cittadini è destinata a crescere
Oggi si pagano un ticket e un “superticket” per fare gli esami medici e comprare le medicine. Dopo l’estate ne arriverà probabilmente un terzo. Nel sistema sanitario nazionale, in cui vengono garantite le stesse cure a tutti i cittadini, i ticket rappresentano una forma di partecipazione economica alla spesa sanitaria che viene richiesta a tutti, tranne che a coloro che per ragioni di reddito, oppure per particolari patologie (come malattie croniche, malattie rare, invalidi) ne sono esenti. Il cosidetto “superticket” è stato introdotto invece dopo la manovra dell’estate 2011 come contributo aggiuntivo rispetto al ticket già esistente. La misura stabiliva che fosse di 10 euro per tutti in tutte le regioni su qualsiasi ricetta staccata dal medico di base. In realtà solo poche Regioni hanno seguito questa indicazione. Le differenze tra regioni sono diventate ormai qualcosa di ordinario da quando la sanità, per effetto della riforma del titolo V della Costituzione, è competenza regionale. E rappresenta il 70% dei bilanci delle Regioni. Alcune di queste sono riuscite a gestire bene la sanità, altre, invece, stanno avendo ancora dei grossi problemi. Il caso più eclatante è senza dubbio quello del Lazio, che è tra quelle Regioni commissariate perché incapaci di far rientrare i conti in rosso del proprio sistema sanitario. Assieme al Lazio sono commissariate Abruzzo, Campania, Molise e Calabria. Ci sono poi situazioni meno gravi ma sempre preoccupanti in cui per varie ragioni -non solo economiche, ma anche, ad esempio, per l’ incapacità di decidere quanti ospedali tenere aperti, quanti posti devono avere oppure quale tipo di rapporto contrattuale deve avere la Regione con le strutture private- viene chiesto il cosiddetto Piano di rientro. Le regioni che si trovano in Piano di rientro dal 2010 sono il Piemonte e la Puglia, Liguria, Sicilia e Sardegna dal 2007.
Che ci sia però un vero e proprio rischio di default per la sanità italiana lo sostiene un documento a firma dei direttori generali della sanità delle Regioni italiane, reso noto il 24 gennaio scorso (e scaricabile qui: www.quotidianosanita.it/allegati/allegato6322857.pdf). Si tratta finora delle uniche proposte messe nero su bianco per costruire il Patto per la Salute 2013-2015, il documento “principe” della sanità italiana, che deve essere pronto entro il 30 aprile. Nel Patto si stabilisce ad esempio che caratteristiche devono avere gli ospedali per poter funzionare bene, ma anche quanto devono pagare i cittadini per integrare il servizio sanitario. I tecnici delle Regioni sono stati molto chiari: se si vogliono mantenere questi livelli di qualità e di quantità delle prestazioni con la diminuzione dei finanziamenti, il rischio è che tutte le Regioni chiedano di andare in Piano di rientro. I finanziamenti previsti per il Servizio sanitario nazionale dall’ultima finanziaria del governo Berlusconi sono 109 miliardi per il 2013 e 110 miliardi per il 2014. Secondo i calcoli dei direttori generali servirebbero fino al 2015 altri 17 miliardi di euro in più per far quadrare i conti. —