Opinioni
La fotografia del Paese
La più aggiornata fotografia del Paese l’ha fornita l’Istat poco prima di Natale. Un poderoso volume di quasi 900 pagine per ribadire che l’Italia soffre. È una lettura molto interessante e consigliata, che va fatta con calma, e non con la solita fretta giornalistica. I dati sono riferiti al 2010: nulla ci fa pensare che il 2011, anno che difficilmente dimenticheremo, sia stato migliore. Per il 2012 per il momento limitiamoci agli auguri.
Un elemento emerge con chiarezza: è il lavoro (la sua assenza, e la sua precarietà, per meglio dire) la grande malattia.
Nei giorni in cui l’Istat presentava il suo Annuario 2011, in Parlamento si discuteva la “manovra correttiva”, con alterne vicende. La retorica della “salvezza”, della “inevitabilità” e del “sacrificio” ha guidato le scelte del governo e del Parlamento. Gli scopi del governo sono corretti: rispondere alla crisi di debito dello Stato. Gli strumenti per farlo, e i risultati che potrebbero arrivare, sono tutti da discutere. A ben guardarla infatti è una manovra che per “salvare” l’Italia, sceglie di “compiacere la finanza”, e ingraziarsi i mercati. Come abbiamo avuto modo già in passato di scrivere, compiuto il processo di “naturalizzazione” delle dinamiche economico-finanziarie, per cui ci siamo abituati a pensare all’economia come a una serie di eventi “naturali”, imprevedibili e incontrollabili, siamo alla fine arrivati alla “divinizzazione”. Dove il mercato è un dio, irascibile e permaloso, che pretende sacrifici. Dove la politica risponde agli investitori, non ai cittadini.
In quei giorni di fine anno si è anche fatto un gran parlare di “lobby” che frenano la concorrenza, e di conseguenza e lo sviluppo. Niente di più vero: gli interessi di piccole frazioni della popolazione continuano a minare la giustizia sociale di questo Paese, e sono un male da estirpare. Ma attenzione a sostenere che fronteggiare le lobby equivale a sostenere l’economia di mercato non regolamentata. Quest’ultima l’abbiamo ben sperimentata, e sappiamo che, anziché combatterle, aiuta le lobby. Non è la concorrenza che salverà questo Paese. L’unico modo per salvare l’Italia è garantire uguaglianza, e leggersi le pagine che dedichiamo alla ricchezza degli italiani aiuta a capirlo.
Se poi proprio vogliamo parlare di lobby e di interessi, forse è meglio guardare al trattamento che hanno ricevuto gli istituti di credito italiani. Che hanno ad esempio incassato la garanzia dello Stato sulle loro passività: mossa che servirà pure a “ridare fiducia” e stimolare i prestiti delle banche, ma che aumenta il debito pubblico. Le stesse banche che, ancora a fine novembre, hanno potuto godere di quel privilegio fiscale che si chiama “affrancamento”, che vale anche per le grandi aziende e che permette di imbellettare i bilanci trasformando alcuni tipi di perdita in rafforzamento del patrimonio.
Questa manovra “inevitabile” aveva invece alternative: investimenti sull’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e il trasporto pubblico, ad esempio, al posto del cemento. Taglio drastico delle spese per la Difesa, che ci costa 23 miliardi di euro l’anno e sembra l’unico ministero non toccato dai tagli “lineari” di Tremonti. Perché non fermare la spesa di 15 miliardi (metà della manovra) per i caccia F35, uno spreco senza giustificazioni, come dimostriamo a pagina 8? L’Italia non si salva assecondando il sistema economico che la sta affossando.
Sempre a fine anno, il vertice sul clima di Durban (che abbiamo seguito giorno per giorno sul nostro sito) ha ribadito l’urgenza di fermare il caos climatico, e al contempo l’immobilità dei governi.
Ecco allora un altro rapporto -sempre del 2011- che varrebbe la pena di leggere con attenzione. L’ha realizzato un gruppo di studiosi per il governo tedesco.
Si intitola “Un nuovo percorso di crescita per l’Europa” e spiega come “generare prosperità e lavoro in una economia a basse emissioni di carbonio” (www.newgrowthpath.eu). Secondo lo studio, investendo in soluzioni “verdi” si potrebbero ridurre le emissioni di CO2 del 30% entro il 2020, creando crescita economica annua dello 0,6% in Ue e 6 milioni di nuovi posti di lavoro. Che siano i buoni propositi per il nuovo anno.