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Inchiesta

Vita a tappe, rallentate

Quasi 2,3 milioni di italiani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non si forma. I “Neet” sono un quarto del totale

Tratto da Altreconomia 176 — Novembre 2015

Secondo Roberto Rizza e Lara Maestripieri, “la penalizzazione della forza lavoro giovanile costituisce una caratteristica strutturale del mercato occupazionale italiano”. I due ricercatori hanno curato l’ebook “Giovani al lavoro. I numeri della crisi”, pubblicato nell’ambito del progetto Spazio Lavoro di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (e liberamente scaricabile su www.fondazionefeltrinelli.it). Questa penalizzazione, spiegano, si concretizza principalmente in due fenomeni: il livello di disoccupazione e di inattività raggiungono valori più alti che nel resto d’Europa; la maggiore competenza non sembra essere un vantaggio per intraprendere un percorso professionale soddisfacente.
“Attenzione però a distinguere tra le fasce di età -fa notare Maestripieri, che oltre ai compiti di ricerca per Spazio Lavoro è assegnista all’Università di Pavia-: per quella tra i 15 e i 24 anni, il dato è molto alto a livello percentuale -oltre il 40%-, ma riguarda una fetta piccola in termini assoluti. Più preoccupante il dato per i giovani fra i 25 e i 34 anni, perché sono di più e perché sono nella fase di formazione di vita adulta: la disoccupazione rallenta tutte le tappe. Esiste un’ulteriore questione, che chiamiamo ‘sovra qualificazione’: giovani occupati le cui competenze non sono in linea col posto di lavoro. Certamente il titolo di studio paga, ma non quanto paga negli altri Paesi.

Nel ragionamento entra quindi un altro tema purtroppo poco dibattuto, ovvero il ritardo dell’economia italiana in termini di innovazione. Il che tra l’altro porta molti ricercatori a sostenere che in Italia non ci sia un contesto adeguato a sfruttare le ricadute positive di un approccio in termini di ‘investimento sociale’, che in Europa invece funziona bene. Per ‘investimento sociale’ si indica la spesa per politiche sociali viste come investimento a lungo termine sulla propria forza lavoro. E non come  costo”.
Accanto a giovani disoccupati o mal-occupati c’è un universo grigio, popolato da ragazzi che non studiano, non lavorano, non si formano. Sono i cosiddetti Neet (“Not in Education, Employment or Training”). L’ong WeWorld sul tema ha presentato in ottobre il rapporto “Ghost”, realizzato in collaborazione con la cooperativa “La Grande Casa”-CNCA e la rivista “Animazione Sociale” (www.weworld.it). In Italia l’Istat stima che i Neet a giugno 2015 siano oltre 2,28 milioni tra i ragazzi nella fascia 15-29 anni, un quarto circa del totale della popolazione in quella fascia d’età. Oltre mezzo milione non cerca nemmeno lavoro.

In Italia il fenomeno è più ampio che altrove. La media europea indica il 15%; in Germania, Francia e Gran Bretagna la percentuale è al di sotto di questo dato. Solo la Grecia è messa peggio di noi.
La maggioranza dei Neet è costituita da donne (il 52%), ma l’incidenza degli uomini è in aumento, e oggi registra il valore più alto di sempre. Stefano Piziali è il responsabile dei programmi di WeWorld in Italia: “La nostra ricerca è cominciata un anno fa. Un elemento che emerge chiaramente è che tra le cause ci sono percorsi scolastici accidentati. In Italia il grave fenomeno della dispersione scolastica è molto alto -15% il tasso di abbandono prima del diploma-, il 5% in più della media europea (anche se in miglioramento). Un quarto dei Neet hanno alle spalle percorsi di questo tipo. L’altro elemento è l’esperienza personale: contano la famiglia e la condizione socio economica di questa”.

WeWorld si è chiesta che storie ci siano dietro la sigla Neet, quali esperienze. “Oltre ai dati abbiamo raccolto in modo approfondito le storie di 42 ragazzi in sette città -continua Piziali-: Torino, Milano, Pordenone, Palermo, Napoli, Roma, Bari. Ne emerge una scarsa propensione al rischio, la paura del fallimento.Ogni opportunità è un timore. Inoltre, molti ragazzi non si sentono Neet, sostengono di essere molto impegnati. Un elemento interessante è costituito dai giovani stranieri, che a differenza degli italiani sembrano più aperti alle possibilità di ricerca, si pongono meno limiti, sono più disposti a periodi formativi. Insomma, hanno una visione del futuro più ottimistica”. Che cosa fanno le istituzioni? “Ci aspettavamo molte più iniziative, e invece abbiamo riscontrato solo due interventi regionali significativi (in Toscana e Liguria). Niente di specifico, e anche la più importante iniziativa sul lavoro giovanile, ovvero Garanzia Giovani, non si occupa puntualmente di Neet”. —

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