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Un lavoro dentro

Dal laboratorio di serigrafia del carcere di Marassi all’orto delle detenute della Giudecca: un viaggio nell’economia carceraria, dal Nord al Sud dell’Italia "Gli uomini sono dovunque uomini" diceva Dostojevski che il carcere l’aveva ben provato. In una trattoria di Genova…

Tratto da Altreconomia 103 — Marzo 2009

Dal laboratorio di serigrafia del carcere di Marassi all’orto delle detenute della Giudecca: un viaggio nell’economia carceraria, dal Nord al Sud dell’Italia

"Gli uomini sono dovunque uomini" diceva Dostojevski che il carcere l’aveva ben provato.
In una trattoria di Genova siamo a maggior ragione uguali, liberi e non liberi, guardie e prigionieri. L’eco di Marassi è solo quello dello stadio e non quello del carcere poco distante. Al tavolo, insieme ai due agenti di polizia penitenziaria che lo scortano e a Carlo Imparato, volontario di Bottega Solidale, siede Michelangelo, un detenuto “comune” ma in qualche modo speciale. Michelangelo è “fortunato”. È un idraulico e in carcere lavora nel Mof, la manutenzione ordinaria fabbricati. Il lavoro in carcere è una rarità. I dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dicono che -a giugno 2008- i detenuti attivi sono 13.413, solo il 24.4% della popolazione carceraria. Le risorse sono scarse e molte le pastoie.
A volte l’iniziativa e la volontà di chi in carcere lavora o è volontario può fare la differenza. Nel carcere di Marassi, ad esempio, un audace trait d’union tra realtà diverse e il coraggio del direttore Salvatore Mazzeo ha permesso di tendere l’ennesimo filo tra Fabrizio De Andrè e la sua città.
Un filo di cotone solidale. Si srotola infatti dalla filiera equa e sociale della Bottega Solidale di Genova il progetto “O’ Press” (nelle foto in questa pagina), che ha coinvolto i detenuti della sezione “Alta sicurezza” del carcere genovese nella realizzazione di t-shirt in cotone equo, provenienti dal Bangladesh (da Arong, Ong che raccoglie circa 30mila artigiani, l’85% dei quali donne) e poi serigrafate con le parole del cantautore.
Spiega Carlo Imparato: “L’iniziativa di Bottega Solidale è stata fatta propria dalla Fondazione De Andrè, che ha regalato la possibilità di utilizzare i testi di 15 canzoni di Fabrizio”. Cinquecento linee di pura poesia, tra i quali i detenuti hanno scelto 5 frasi tra quelle che il cantautore ha dedicato a prigione e libertà. “All’interno del carcere -prosegue Carlo- era già attiva, tra gli altri corsi, la scuola di grafica pubblicitaria ‘Ruffini’. Otto detenuti dell’area ‘Alta sicurezza’ si sono impadroniti della materia, e hanno costituito negli spazi risicati dell’aula un vero e proprio laboratorio di serigrafia, il ‘Fulmicotone’ dove hanno elaborato il concept e poi realizzato concretamente le t-shirt”. Semplice? Affatto. Far entrare in un’area sensibile di un carcere strumenti come il trapano o le corde per asciugare le magliette, può diventare un ostacolo insormontabile, per non parlare dei trasferimenti d’imperio di persone inserite nel progetto. “Tutto questo -ribadisce Carlo- non sarebbe mai potuto accadere senza la collaborazione attiva della polizia penitenziaria e del direttore stesso”. Gli agenti sorridono e Michelangelo si gode un caffè extramurario. “I detenuti all’inizio -spiega ancora Carlo- hanno avuto qualche problema a rispettare i tempi. In carcere il concetto di scadenza è strano, ma poi hanno preso il ritmo”. A giugno 2008 una commossa Dori Ghezzi ha presentato le prime 500 magliette, 5 modelli ispirati a canzoni come “Don Raffè” (il modello “Giornale”) o ancora a “Quello che non ho” o alla celeberrima “Via del campo” (potete vederle tutte su www.bottegasolidale.it). Sono andate, per così dire, a ruba. Tanto che ne sono state prodotte altre 3mila. La maglietta ha il suo “prezzo trasparente”: 13 euro in bottega. La maglietta costa 2,50 euro alla fonte, la lavorazione da parte dei detenuti 1,25 euro, di cui un euro netto a capo resta nelle loro tasche.
Colori, telai e altre spese incidono per poco più di 1 euro. Il prodotto, calcolata anche l’Iva, costa 5,77 euro, i costi imputati alla gestione del progetto e alla distribuzione ammontano a 2,03 euro. Margine finale per le botteghe 5,20 euro, circa il 40 %. Le magliette, oltre che nei negozi di Bottega Solidale e in molte altre botteghe sono protagoniste alla mostra su Fabrizio De Andrè a Palazzo Ducale. “Magliette consegnate con grande puntualità -dice Carlo- perché i detenuti saranno pure ‘fuorilegge’ ma sono persone precise e ora anche esecutori rapidi e affidabili”.
Così come le otto detenute di “A mani libere”, una cooperativa sociale nata nella Casa circondariale di Enna da un incontro tra donne: guidate da Ninni Fussone, sociologa con la passione dei tessuti, Tamar Kiria, stilista, e da altre esperte artigiane hanno imparato una tecnica antica per fare il feltro con la lana grezza di Enna, recuperata direttamente dai pastori e colorata con piante tintoree.
Le detenute realizzano -anche su progetto- manufatti con lane veraci e tessuti pregiati, come sete, canapa, lino, viscose, cotone colorati in modo naturale. Le lavorazioni in feltro, ricamo, uncinetto, ferri, telaio, patchwork e quilt fanno fiorire accessori di moda e arredamento, corredini per neonati, coperte, cappelli e tanti altri oggetti. Un’operazione culturale che rivaluta saperi dell’entroterra siciliano, come tecniche e materiali usati per la confezione di corredi nuziali. Racconta la direttrice Letizia Bellelli: “All’inizio era un passatempo, poi abbiamo capito che poteva diventare un lavoro creativo, ora è una produzione incontrollabile: le detenute portano il lavoro in cella e non dormono per lavorare”.
La produzione di “A mani libere” è già stata ammirata in diverse manifestazioni, tra cui il Sana di Bologna, sezione “Fa’ la cosa giusta!” (www.amanilibere.it).
"È vero, è importante prima di tutto che il prodotto nato in carcere arrivi al mondo esterno, e che dichiari la sua origine con fierezza, come un valore aggiunto”, conferma anche Emilia Patruno, direttore de Il Due, storico progetto culturale milanese, prima giornale e oggi Net Magazine (www.ildue.it). A luglio 2008 Il Due onlus ha lanciato il progetto “La fattoria di Al Cappone”. Un allevamento di quaglie nel carcere di Opera, “nel perimetro dell’istituto proprio davanti al 41 bis”. 800 uccelli che depongono circa un uovo al giorno e che sotto la guida di uno zoonomo, tre detenuti accudiscono e nutrono quotidianamente, badando che i preziosi volatili siano alla giusta temperatura e in un ambiente pulito. Poi una dozzina di uova, confezionate in eleganti blister, finiscono sugli scaffali di Coop Lombardia, a 2 euro la confezione. O allo spaccio di Cascina Nibai, a Cernusco sul Naviglio. Obiettivo il pareggio di bilancio. “Facciamo uova a chilometri zero. Pregiate e senza colesterolo” racconta Emilia. Tanto che anche “Omelette e Baguette” ristorante di via Paolo Sarpi a Milano per le frittate speciali si fornisce da “Al Cappone”. Sempre a proposito di voglia di uscire: alcuni dei detenuti che ne hanno la possibilità parteciperanno ai mercatini di Opera e si occuperanno delle consegne. L’Ape Car col marchio della fattoria è già su strada. Ma  non finisce qui.
Il Due onlus sta mettendo a punto uno spazio agricolo dentro il carcere per la selezione e la coltivazione di una patata viola originaria delle Ande.
"Sarà selezionata e poi registrata al Cnr come nuova varietà: da ‘Pata Morada’ diventerà la ‘Lilla in Opera’". Insomma, mica specchietti per le allodole.

Sartorie dietro le sbarre
Ci sono altri progetti, oltre alle magliette di “O’ Press”, che hanno la stoffa giusta. Le prime t-shirt eque e sociali hanno l’accento romano di “Made in Jail”: la cooperativa sociale Seriarte Ecologica nasce nel 1988 a Roma, nell’istituto penitenziario di Rebibbia, per reinserire i detenuti nel mondo del lavoro. I corsi di formazione professionale di serigrafia tenuti a Casal del Marmo e nella III casa penale di Rebibbia (a Roma) o a Villa Andreini (a La Spezia) hanno prodotto frasi, ora ironiche, ora  taglienti, che evocano con efficacia la “filosofia” carceraria: da “Regole 0” a “Dignità ribelle”. La cooperativa Chico Mendes di Milano ha scelto loro per stampare le magliette in cotone bio equo e solidale della filiera argentina di Ctm Altromercato.
"Codiceasbarre” nasce invece nel 2002, come progetto di imprenditorialità femminile realizzato con le donne detenute della Casa circondariale di Vercelli. Un laboratorio di sartoria allestito all’interno del carcere, gestito dalla cooperativa sociale Ghelos, ha inventato un nuovo stile, il Jailwear “per donne e uomini decisi a liberarsi dagli stereotipi dell’abbigliamento forzando le sbarre del fashion”, come recita la curatissima comunicazione (www.cdsb.it). “Sartoria Sanvittore” è il nuovo brand della milanese, storica cooperativa Alice, nata a San Vittore e attiva anche a Bollate (Mi). Nell’elegante sito www.cooperativalice.it potete trovare manufatti di alta sartoria tradizionale e teatrale -dai vestiti di “Palermo shooting” ai grembiulini delle scuole-, tessuti d’arredo, la linea “Gatti Galeotti” (borse, portafogli, cartelle, accessori eco-compatibili) e gadget.
"Made in Carcere” è un marchio che nasce nel laboratorio della Casa circondariale Borgo S.Nicola di Lecce: la cooperativa Officina Creativa realizza grazie al lavoro di 12 detenute shopper bag e cappellini originalissimi usando al meglio materiali di scarto (www.madeincarcere.it). L’ambizione è creare un modello di sostenibilità sociale per “stare” sul mercato e nella società, in maniera responsabile.
Una nuova chance per tutti.

Melanzane da evasione
In carcere la vanga non scava più il mitico tunnel dell’evasione. Sono invece molti gli istituti dove l’agricoltura biologica traccia un solco importante. Nel carcere femminile della Giudecca di Venezia, dal 1995, le detenute della cooperativa sociale “Rio Terà dei Pensieri” curano i 6mila metri quadrati del vecchio orto dal Convento delle Convertite (nella foto sopra). Con il progetto “Orticoltura ecocompatibile” fanno crescere secondo stagione 30 tipi di ortaggi, fiori e piante aromatiche, commercializzati con un ormai tradizionale banco di vendita nei pressi del carcere, ogni giovedì mattina in Fondamenta delle Convertite. Anche i gruppi di acquisto solidali veneziani -come il VeGas- sostengono l’attività della cooperativa, acquistando le eccedenze della produzione. Le piante aromatiche e da essenza vengono trasformate nel laboratorio di cosmesi della cooperativa per realizzare shampoo e bagnoschiuma, deodoranti, creme, profumatori d’ambiente e saponi destinati alla vendita diretta o per conto terzi, compresi alcuni prestigiosi alberghi veneziani. Grazie alla zappa, cavoli meno amari anche a Montelupo Fiorentino (Fi), nell’Ospedale psichiatrico giudiziario che da anni ha una sua piccola azienda agricola biologica, “La Delizia”, nata da un corso di agricoltura biodinamica e che dà lavoro a 5 internati. Spiega Marina Fedeli, educatrice: “I prodotti sono disponibili nello spaccio interno dell’istituto per i lavoratori dell’Ospedale e per gli internati, ma l’esperienza è soprattutto significativa dal punto di vista terapeutico.
Ha creato spazi di libertà e benessere in un contesto molto difficile”. Non sono le uniche realtà carcerarie dedite alla terra. La cooperativa sociale Cascina Bollate (Mi) coltiva piante insolite dei vecchi orti, rose antiche e fiori. La cooperativa Piantala produce piante aromatiche nel femminile di Rebibbia, per non dire della tenuta agricola di Porto Azzurro, della fattoria del carcere di Sant’Anna di Modena e di quella di San Michele di Alessandria.
La sfida è sempre quella: fare uscire dalle mura carote e melanzane.

Detenuti al lavoro, dal carcere ai campi
I detenuti impiegati sono 13.413 (12.521 uomini, 4.859 stranieri), ma di questi circa l’85% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, con mansioni poco qualificanti e dai nomi obsoleti: scopino, spesino, porta vitto, addetto alla manutenzione ordinaria fabbricati.
Solo 1.767 detenuti lavorano per imprese private. Di questi 569 (481 uomini e 88 donne) sono impiegati in cooperative attive dentro il carcere. La parte del leone va alla Lombardia, con 189 addetti, seguita dal Veneto, regioni dove la cooperazione ha una lunga tradizione. L’attività più frequente, tra posti gestiti dall’amaministrazione penitenziaria e da esterni, quella di vivai, serre e “tenimenti”, seguita dalla falegnameria. L’agricoltura conta 372 addetti, di cui 273 nelle colonie penali agricole. I dati su www.giustizia.it e su www.associazioneantigone.it

Il menù inizia dal dolce
Da Nord a Sud ci sono detenuti che sono “dentro”, ma non certo per crimini culinari. Proviamo a scorrere il menù, a partire dal dolce.
Freschi del premio Golosaria 2008 per il loro panettone non possiamo che iniziare dai maestri pasticceri della cooperativa Giotto di Padova (info@idolcidigiotto.it). Gli artigiani di “Aiscrim… prigionieri del gusto” riscaldano il laboratorio di gelateria di Opera (MI) dove producono con prodotti no ogm e locali mousse, gelati e zuccotti, che andranno poi in vendita in bar e ristoranti (www.ildue.it). Nelle cucine di Bollate (Mi), invece, la cooperativa Abc-Sapienza in tavola fornisce servizi di catering per cerimonie e feste (abc.sapienzaintavola@tiscali.it). Sono quattro i detenuti impegnati nella torrefazione, allestita nei locali della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino dalla cooperativa Pausa Cafè (www.pausacaffe.org). Sull’isola di Pianosa i detenuti gestiscono un affidabile servizio di ristorazione per i turisti (www.coopsangiacomo.it). Poco lontano, a Gorgona, c’è l’ultima colonia penale agricola in attività su un’isola, dove oltre all’agricoltura biologica è attivo -unico in Europa- un progetto di acquacoltura con orate, spigole e ombrine (cr.gorgona@giustizia.it). Con il pesce una bottiglia di Quarto di Luna, bianco della cooperativa Lazzaria del carcere di Velletri (Vt) nel Lazio (www.lazzaria.it). Nell’istituto penitenziario di Terni funziona il “Forno solidale” della cooperativa Gulliver, che sforna quotidianamente un’ampia varietà di prodotti da forno e li commercializza anche attraverso i gruppi d’acquisto locali (www.cooperativagulliver.it). Le paste di mandorla e gli amaretti della cooperativa sociale L’Arcolaio dal carcere di Siracusa (www.arcolaio.org) si possono ordinare insieme ad agrumi e altri prodotti sul sito www.legallinefelici.it.
Infine, un colpo di tacco alla Cassano dalla cooperativa Campo dei Miracoli del supercarcere di Trani (Ba), che ha formato e occupato i detenuti nella lavorazione artigianale dei taralli, in vendita nei supermercati Ipercoop di Barletta, Molfetta, Andria e Bari.

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