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Cultura e scienza / Intervista

La traduzione è un ponte. Intervista a Ilaria Piperno

Ilaria Piperno è nata a Roma nel 1978. Collabora con numerose case editrici come traduttrice ma anche scout, lettrice di letteratura italiana e straniera - © Caterina Prandi

Quasi un quinto dei libri pubblicati in italiano erano stati scritti in un’altra lingua. Chi ci garantisce di poterli leggere è un professionista il cui lavoro, talvolta, non è tutelato

Tratto da Altreconomia 186 — Ottobre 2016

Ilaria Piperno è una traduttrice, ma prima ancora è un’autrice. È nata a Roma, dove vive dopo un periodo trascorso a Parigi. Fa la spola dalla “lingua di partenza” -nel suo caso, inglese e francese- alla “lingua d’arrivo” -l’italiano-. Non è poco in un Paese in cui, dati dell’Associazione editori italiani alla mano, i titoli (novità e nuove edizioni) pubblicati nel 2014 e tradotti da una lingua straniera sono ben il 17,7% del totale (nel 2002-2003, si legge nell’ultimo Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia, erano il 23-24%). “L’area di mercato e linguistica prioritaria di approvvigionamento resta quella anglosassone -spiega l’Associazione italiana editori- con il 77% delle copie stampate e distribuite nei canali di vendita”. Tra gli ultimi lavori di Piperno spicca “Lost in Translation” (Marcos y Marcos), che l’ha vista all’opera su un testo (con illustrazioni) di Ella Sanders. Ha dovuto confrontarsi con cinquanta termini unici e letteralmente intraducibili, dal tedesco all’arabo, dal farsi al norvegese.

Ilaria, come hai scoperto e coltivato la passione per la traduzione?
IP La passione per la traduzione è nata lavorando in editoria, dove fino a una decina d’anni fa mi occupavo di letteratura straniera. Selezionavo titoli stranieri per una piccola casa editrice. Pubblicando il romanzo di una scrittrice belga contemporanea, l’editore mi propose di occuparmi della traduzione. Così ho iniziato e mi sono innamorata di un lavoro che in fondo, forse più di ogni altro lavoro intellettuale, è artigianale -per citare Giorgio Amitrano, grande traduttore dal giapponese di autori come Murakami e altri-, basato sulla prassi; è linguistico ma di limatura, e cambia moltissimo con la pratica.

Ad esempio?
IP All’inizio, il confronto con il testo da tradurre mi causava uno spaesamento, dovuto all’insicurezza, e per questo la nota a piè di pagina era una sorta di stampella utile a risolvere i punti più oscuri o rendere al meglio riferimenti culturali distanti per la lingua d’arrivo. Ricordo che nelle prime traduzioni ne utilizzavo molte di più. Con il tempo, acquisendo maggiore sicurezza dei miei mezzi -la lingua in primo luogo- l’insicurezza iniziale è stata superata.

In che cosa consiste la traduzione?
IP I traduttori editoriali, anche per contratto, sono autori. Ma non esiste una versione unica di un testo, e la traduzione non si riduce a un intervento letterale quanto piuttosto deve consistere in una sostanziale riscrittura.

“La traduzione è un viaggio, un mezzo per far entrare in contatto persone con testi da cui potrebbero risultare escluse a causa della lingua. Ecco, il fatto che ci sia qualcuno che permetta una più ampia circolazione delle idee permette al mondo di andare in una direzione di minore paura. È un antidoto prezioso”


È un lavoro riconosciuto? Te lo chiedo anche perché sei iscritta al Sindacato traduttori editoriali (STRADE).
IP STRADE è un’associazione nata con scopi esplicitamente sindacali che da meno di un anno è confluita nella CGIL. Ne parlo da iscritta che non ricopre alcun incarico. L’obiettivo è quello di tutelare una figura professionale che nel nostro Paese non ha una “protezione”. Penso ad esempio a una tariffa minima a cartella prevista sotto la quale gli editori non possano scendere; oppure alla percentuale a copia per i libri tradotti, che da noi non è una prassi comune mentre negli altri Paesi europei lo è; o il corretto inquadramento pensionistico. Quella del traduttore è quindi una figura fondamentale nella filiera editoriale -soprattutto perché una parte dei libri che si leggono in Italia sono tradotti- ma non sempre è adeguatamente tutelata. Con le dovute differenze tra editori.

Qual è il metodo che utilizzi per tradurre un testo?
IP Dopo aver ovviamente letto il libro in lingua originale lavoro su una prima stesura per ottenere un’ossatura del testo che assomiglia più a una versione letterale, tralasciando i punti oscuri sui quali torno una seconda volta, nella seconda stesura, quella che definirei centrale. Lì risolvo ciò che è rimasto “in bianco” o torno sui punti evidenziati sui quali magari non sono convinta fino in fondo, lavorando sull’italiano, sulla sintassi, sulla punteggiatura. La terza revisione punta a rendere il testo in italiano affinché non sia percepibile il fatto che sia stato tradotto; evito calchi su sintassi, punteggiatura, parole, ritmo. In tutto questo processo una cosa fondamentale è il confronto con dizionari, vocabolari, internet, ma anche con altri traduttori. Ad esempio, tra colleghi ci appoggiamo su una mailing list in comune attraverso la quale chiediamo reciprocamente aiuto.

È improbabile apprezzare, o riconoscere, uno scrittore straniero tradotto? 
IP Ovviamente non voglio dire che la potenza della scrittura originale dello scrittore venga meno, però esistono diversi casi di autori che, per esempio, sono stati tradotti in Italia e che non hanno avuto grande risalto e che poi, invece, perché il libro è stato preso da un’altra casa editrice, hanno avuto enorme successo. Il traduttore è una figura strategica anche per far arrivare la qualità della scrittura.
E per un traduttore editoriale, di questo ne sono convinta, è più difficile tradurre un autore non eccellente che tradurre un grande scrittore. Di recente ho letto l’ultimo romanzo di Jonathan Franzen, autore che non discuto, anzi, apprezzo; quest’ultimo romanzo però mi ha deluso molto da un certo punto di vista, ma contemporaneamente ho sentito il lavoro eccezionale di una grandissima traduttrice qual è Silvia Pareschi.

Come ti relazioni con l’autore che traduci?
IP Dipende. Mi è capitato di tradurre autori defunti, e quindi la relazione è sorta con la ri-traduzione di testi eventualmente invecchiati. Nel caso di un’autrice belga mi è capitato invece di vincere una borsa per un soggiorno presso la residenza per traduttori letterari di Seneffe, in Belgio; fa parte di una rete europea, cui aderisce anche la Casa delle traduzioni di Roma.
Bene, quando hai modo di risiedere nel Paese dello scrittore che stai traducendo l’opportunità di intrattenere con lui un rapporto privilegiato cresce. E allora si fanno domande per chiarire dubbi, passaggi poco chiari, sensazioni, in quel caso di persona. Altre volte il rapporto è via mail o addirittura via social network. Nei casi migliori si stabiliscono anche rapporti di amicizia.

Per Marcos y Marcos hai tradotto il libro “Lost in Translation” di Ella Frances Sanders, un “caso” editoriale. Che tipo di esperienza è stata per te? 
IP Sono venuta a conoscenza di questo libro da un’amica che era al corrente della mia passione, e me ne sono immediatamente innamorata. Non è la semplice raccolta di 50 termini intraducibili, che in qualche modo condensano una densità linguistica particolare (ad esempio “Gurfa”, in arabo, che indica l’acqua che si può tenere in una mano, o “Forelsket”, norvegese, che è l’indescrivibile euforia che si prova quando ci si sta innamorando, ndr). Quelle parole, pur indicando qualcosa che esiste solo in quella cultura, danno voce a sensazioni ed esperienze che sono comuni. È un testo che ha avuto il merito di far parlare della traduzione. E a fine ottobre, sempre per Marcos y Marcos -editore con il quale si è instaurato un bel rapporto di fiducia- e sempre della stessa autrice, uscirà “Un gatto in testa”, che raccoglie invece espressioni idiomatiche e modi di dire, comprese due italiane, scelte ovviamente da Sanders. Tradurlo è stato molto divertente.

Viviamo un momento storico dove la paura di una inesistente invasione schiaccia ogni curiosità dell’altro, culturale e quindi linguistica, qual è il ruolo della traduzione?
IP Lo ritengo fondamentale. La conoscenza e il confronto con l’altro, nel momento in cui questo è possibile, porta e comporta solo apertura; la traduzione è un viaggio, un mezzo per far entrare in contatto persone con testi, romanzi, saggi, inchieste da cui potrebbero risultare escluse a causa della lingua. Ecco, il fatto che ci sia qualcuno che permetta una più ampia circolazione delle idee, contrastando una cultura particolaristica e autarchica, è qualcosa che, anche inconsapevolmente, permette al mondo di andare in una direzione di minore paura, combattere la chiusura. È un antidoto prezioso.

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