Ambiente / Approfondimento
Il nuovo incanto dei terrazzamenti, un patrimonio da recuperare
Le aree terrazzate sono frutto di una pratica antica che valorizza terreni scoscesi permettendone anche la coltivazione. Oggi, contadini, professionisti e scienziati lavorano per restituire memoria collettiva e funzioni ai territori
Si dice che potremmo arrivare quasi fino alla Luna, mettendo uno accanto all’altro i muretti a secco delle aree terrazzate d’Italia. 170mila chilometri di sassi, venti volte la lunghezza della Muraglia cinese: circa uno per ciascuno dei 170mila ettari di terrazzamenti censiti nel nostro paese dal progetto “Mapter” (Mappatura delle aree terrazzate italiane), coordinato dall’Università di Padova, il primo tentativo nazionale di quantificarli (di prossima pubblicazione per le edizioni Springer). “Si tratta di una stima ancora parziale”, avverte Mauro Varotto, docente di Geografia all’Università degli Studi di Padova: potrebbero essere almeno 300mila gli ettari terrazzati in Italia, ma essere precisi è difficile perché gran parte di questo patrimonio (circa il 75%) è in stato di abbandono.
“La Liguria vanta di poter fare il giro della terra con i suoi 40mila chilometri di muri”. Ed è anche la regione con la maggiore incidenza di aree terrazzate sul totale (quasi l’8%), ma la prima regione per ettari terrazzati è la Sicilia: oltre 63mila (quasi il 2,5% del totale). “In italia oltre il 30% dei terrazzamenti ancora riconoscibili e censiti sono abbandonati”, spiega Varotto, a causa del duro lavoro richiesto per il loro mantenimento e anche dell’abbandono delle zone rurali: “Il 32% è utilizzato per seminativi, il 19% ospita ulivi e il 3% vigne”, o alberi da frutto, mentre si stima che il 6% di queste terre un tempo agricole siano oggi urbanizzate. Quale può essere quindi il futuro di questo patrimonio storico creato dalle passate generazioni?
Il terzo incontro mondiale sui paesaggi terrazzati -ospitato nell’ottobre 2016 tra Padova e Venezia, e in altre 10 sedi italiane con 250 partecipanti da 20 Stati (terracedlandscapes2016.it)- si intitolava proprio “Scelte per il futuro”. Dopo le conferenze internazionali in Cina (2010) e Perù (2014), in Italia si è accolta la sfida di “trovare nuove modalità di vita e di attività che facciano tesoro di queste risorse ereditate dal passato”, come si legge nel manifesto dell’incontro. “Lo abbiamo chiamato ‘incontro’ proprio perché non volevamo proporre un convegno scientifico, ma un momento di scambio aperto tra diversi protagonisti delle aree terrazzate nel mondo: abitanti, artigiani della pietra a secco, ricercatori, agricoltori, attivisti, operatori del settore turistico e altri ancora”, sottolinea il professore a nome del gruppo di lavoro. È stata l’occasione per rafforzare “una rete di cooperazione solidale che ha radici nelle aree terrazzate”, avviando nuove progettualità condivise come “la creazione di una scuola internazionale della pietra a secco, lo sviluppo dell’ospitalità rurale sui terrazzamenti o la creazione di un circuito commerciale per la vendita dei prodotti che su quelle terre sono coltivati”.
È infatti la multifunzionalità la caratteristica di questi paesaggi: “Sono luoghi storici dove si giocano scelte per il futuro, dal turismo alla qualità della vita a una dimensione socio-culturale. Sono nati così, sono stati costruiti per questo e tornano oggi a essere interessanti per questo. Ora, non ci resta che interpretarne i significati contemporanei”, sottolinea Donatella Murtas, architetto della sezione italiana dell’Alleanza mondiale dei paesaggi terrazzati (Itla). Si tratta di “incantarsi di nuovo” dei terrazzamenti, per dirla con le parole scelte dalla sezione dell’Alleanza delle isole Canarie e Macaronesia (l’insieme di isole atlantiche che comprende Capo Verde, le Azzorre, Madeira e le Canarie), che si prepara a ospitare nel 2019 il quarto Congresso mondiale dei paesaggi terrazzati, intitolato appunto “Re-encantar bancales” (dal 13 al 22 marzo a La Gomera). L’appuntamento nell’isola de La Gomera mira a coinvolgere le comunità locali, le culture contadine, professionisti e scienziati per fare delle proposte concrete sul futuro sviluppo delle aree terrazzate del mondo.
“Uno dei nostri obiettivi principali è recuperare la memoria collettiva e ricostruire esperienze per una vita felice delle future generazioni nella trama dei paesaggi terrazzati”, dice Juan Manuel Palerm Salazar, presidente della Rete europea che conta 63 Università per l’attuazione della Convenzione europea del paesaggio (Uniscape) e dell’Observatorio de paisaje de Canarias, un’iniziativa del dipartimento della Cultura del Governo delle Canarie. “In queste isole trovi ovunque terrazzamenti storici, spazi buoni per coltivare -dice Palerm-. Hai mai assaggiato le patate delle Canarie? Quelle di Tenerife sono le più buone del mondo. Si coltivano anche le banane su queste terrazze e tanti frutti tropicali. Ce ne sono al Nord, dove c’è tanta acqua, ma anche al sud, dove è più secco e la poca acqua scivola dalle terrazze più alte verso il basso”.
Per Timmi Tillmann, presidente di Itla, l’incontro de La Gomera assume una grande importanza prima di tutto perché “si sta riuscendo, in questa fase preparatoria, nel compito non semplice di far convergere visioni politiche e di futuro diverse. Fondamentale è il coinvolgimento della società civile e del mondo educativo, delle municipalità e delle associazioni”. L’incontro mondiale de La Gomera si sta costruendo a partire da quattro incontri preliminari, spiega Tillmann, il primo dei quali si è da poco concluso nell’isola. “Il prossimo sarà a fine aprile a Tenerife: un’accademia estiva dedicata al tema del buenvivir nei paesaggi terrazzati. In giugno ci sarà un laboratorio scientifico partecipativo con gli studenti e ricercatori dell’Università de Las Palmas de Gran Canaria e La Laguna e, il prossimo novembre, un ultimo appuntamento sul tema dell’abitare i terrazzamenti, nella Scuola di architettura di Gran Canaria”. Le conclusioni di ciascuno di questi seminari saranno portate all’incontro mondiale, insieme ai contributi delle organizzazioni internazionali.
Le aree terrazzate sono frutto di una pratica antica che valorizza terreni scoscesi permettendone anche la coltivazione. Oggi, contadini, professionisti e scienziati lavorano per restituire memoria collettiva e funzioni ai territori
Anche l’Italia si sta preparando per la Gomera. “Nel nostro Paese, quando parliamo dei terrazzamenti, si deve pensare a un lento lavoro di recupero di un paesaggio storico che era stato abbandonato dopo la Seconda guerra mondiale”, spiega Donatella Murtas. “Per dare un nuovo valore a queste terre servono competenze e una presenza umana che se ne prenda cura”. L’istituzione della “Scuola italiana della pietra a secco” va in questa direzione. “La posa della pietra è come la lingua: ciascuno ha sviluppato la propria tecnica”, ma con una scuola di carattere nazionale, queste specificità possono dialogare tra loro per creare un percorso formativo riconosciuto per gli artigiani della pietra a secco. Mentre l’Alleanza italiana (con i suoi 120 aderenti) ha sostenuto la candidatura Unesco dell’arte della costruzione a secco come patrimonio culturale intangibile dell’umanità (capofila del progetto è la Grecia, affiancata da Cipro, Slovenia, Svizzera, Francia e Spagna), la Provincia di Trento assieme alla Regione Piemonte è la pioniera di questa scuola nazionale, in collaborazione con le scuole edili e artigianali. “Speriamo che da qui possa diffondersi in tutta Italia, con una metodologia condivisa e valorizzando le specifiche competenze degli artigiani locali”.
Per la prima volta in Italia, nel 2015 il Trentino ha riconosciuto con una delibera provinciale (la 858/2015) la qualificazione professionale di “Costruttore esperto nella realizzazione e nel recupero di muri a secco”. Due anni prima era nata all’interno dell’Accademia della montagna di Trento la “Scuola trentina della pietra a secco”, con l’obiettivo di preservare e diffondere alle nuove generazioni i saperi antichi delle costruzioni a secco. “Non solo muretti -sottolinea il naturalista Antonio Sarzo-, ma anche selciati, ponti, pozzi o numerosi altri manufatti”. Tutti però devono avere delle caratteristiche comuni: “L’uso della pietra naturale, reperita localmente e posta a secco, ovvero senza l’uso di alcun legante”. È anche questa educazione al paesaggio, “aperta a chiunque sia interessato e non solo a chi vuole costruirsi una professionalità specifica in questo settore”. Molti dei partecipanti ai corsi di formazione di primo (34 ore) e secondo livello (42) sono agricoltori che hanno un terreno terrazzato in rovina e vogliono sistemarlo.
Ora, “tolto il bosco, ricostruiti i muri e compresa la gestione dell’acqua, si può ricominciare a coltivare e valorizzare le produzioni delle aree terrazzate -dice Murtas-. Per esempio, ideando un marchio dedicato che ne certifichi il loro valore paesaggistico e di difesa del suolo dal dissesto idrogeologico”. In quest’ottica Slow Food ha riconosciuto tra i suoi presìdi il “Dolcetto dei terrazzamenti della val Bormida“, nell’alta Langa che sta riconquistando -dopo l’abbandono negli anni Ottanta- la sua vocazione vinicola. In Lazio, invece, sui terrazzamenti si produce olio. Gli oliveti terrazzati di Vallecorsa (FR), alle pendici dei Monti Ausoni, da un anno sono uno dei 12 siti riconosciuti dal “Registro nazionale dei paesaggi rurali storici”, istituito nel 2012. La presenza di questi terrazzamenti, infatti, è attestata fin dagli statuti del 1327. Ma il 15% di questo patrimonio è oggi in abbandono e, scrive il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nella relazione allegata al Registro, “l’abbandono della coltivazione costituisce la più forte minaccia alla conservazione dell’integrità del paesaggio dei terrazzamenti”.
A recuperare l’olivicoltura c’è la cooperativa agricola La Carboncella, che dal 2013 gestisce 20 ettari di uliveti. “In quattro anni abbiamo rimesso in produzione 5mila piante, dando lavoro a otto persone”, racconta l’agronomo Ernesto Migliori. In questa zona dove si trovano 600 ettari di terrazze, il 95% degli ulivi si adagia sui muretti in pietra a secco, chiamati “macìeri”. “Crediamo che questo paesaggio rurale sia una componente essenziale dell’identità culturale di Vallecorsa” e per valorizzarlo sono riusciti a fare rete con l’albo degli agronomi di Frosinone, la facoltà di architettura dell’Università Roma Tre e quella di economia dell’Università di Cassino, per chiedere il riconoscimento Fao nell’ambito del programma Giahs (“Globally important agricultural heritage systems”). Così, come dice Tillmann, “in queste geometrie singolari, le difficoltà si trasformano in vantaggi e nella riscoperta della natura si rafforza una coesistenza sociale e solidale per il ‘buen vivir’”.
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