Ambiente
Speculazione sul cibo: in prima fila c’è anche Unicredit
Una ricerca promossa da Friends of the Earth e da altre Ong europee svela il ruolo delle istituzioni finanziare nel controverso business delle commodities alimentari e dell’accaparramento delle terre. Tra i 29 istituti di credito passati ai "raggi x" c’è anche quello di piazza Cordusio, che gestisce un hedge fund specializzato in commodities agricole, con un patrimonio di oltre 600 milioni di euro
L’Unicredit è una delle banche private che con le loro operazioni hanno contribuito a esacerbare la fame nel mondo esasperando i prezzi delle commodities alimentari. A rivelarlo un nuovo rapporto redatto da Friends of the Earth Europe, alla cui realizzazione ha partecipato anche l’italiana CRBM.
Nella pubblicazione, intitolata “Farming Money, how European banks and private finance profit from food speculation and land grabs”, sono esaminate con grande attenzione le attività di 29 grandi istituti di credito, tra cui figurano oltre all’Unicredit Deutsche Bank, Barclays, RBS, Allianz, BNP Paribas, AXA, HSBC, Allianz e Credit Agricole, fondi pensione e compagnie assicurative come l’italiana Generali. Numerosi entità, con le loro operazioni, incentivano inoltre l’accaparramento di terre a scapito delle comunità più povere del Sud del Pianeta.
La speculazione finanziaria è la principale causa dell’innalzamento dei prezzi delle commodities alimentari negli ultimi anni, testimoniata dal picco assoluto registrato a metà del 2011 dall’Indice della FAO sui Prezzi del Cibo (238, oltre 30 punti in più rispetto al massimo precedentemente riscontrato nel 2008). Per fare un esempio, gli speculatori controllano ormai il 60 per cento del mercato dei cereali, a fronte del 12 per cento di 15 anni fa.
Unicredit (tramite Pioneer Investments) colloca un fondo hedge specializzato in commodities (Pioneer Funds – Commodities Alpha) con un patrimonio di oltre 600 milioni di euro. Il fondo investe per oltre il 50% in commodities agricole (per il 26,3% in granaglie, per il 17,9% in soft commodities agricole, per il 6,2% in bestiame e per il 3,5% in oli vegetali).
“La crisi finanziaria epocale di questi anni e le difficoltà attuali di Unicredit nell’aumento di capitale non hanno insegnato niente al vertice di Piazza Cordusio” ha dichiarato Antonio Tricarico della CRBM. “E’ inaccettabile che tra i principali responsabili di chi affama i poveri nel pianeta ci sia la "banca made in Italy" che chiede soldi a cittadini ed investitori oggi per non sprofondare. Solamente la messa al bando di prodotti derivati e strutturati inutili e complessi, come gli exchange traded funds, collegati alle commodity agricole potrà porre fine alla speculazione sul cibo. Che Unicredit dismetta questo business e dia finalmente un segnale di cambiamento vero” ha concluso Tricarico.
Per scaricare il rapporto: http://www.foeeurope.org/publications/2012/Farming_money_FoEE_Jan2012.pdf