Ambiente / Attualità
I sindaci contro il cemento. Così i Comuni riconquistano i suoli
Da Borgarello, nella provincia pavese, ad Artegna (Udine), da Rivalta di Torino a Scontrone, in Abruzzo. Le scelte amministrative di chi ha fermato le betoniere restituendo i terreni all’agricoltura o ai corsi d’acqua
Nel Trecento, il paese di Borgarello era incluso nel Parco Nuovo, area protetta e riserva di caccia della famiglia Visconti, che da Pavia abbracciava le campagne a Nord-est della città, fino alla Certosa. Ancora oggi, chi si lascia alle spalle la periferia della città, lungo la ex Strada statale dei Giovi, vede i campi a destra e a sinistra del Naviglio. A parte qualche rara cascina, non ci sono -fino a Borgarello, a circa 6 chilometri dal capoluogo- centri abitati né insediamenti impattanti. E questa fotografia è destinata a non mutare: “Nel 2009, la giunta in carica aveva approvato un piano di governo del territorio (PGT) che rendeva urbanizzabili ben 39 ettari di suoli agricoli. A dicembre 2016, votando il nuovo PGT, abbiamo fatto una scelta opposta: 38 ettari, che non erano stati trasformati, nonostante la destinazione urbanistica, non potranno essere toccati. Resteranno campi”.
Nicola Lamberti è il sindaco di Borgarello: alla guida di una lista civica, dal maggio 2013 governa questo piccolo Comune (circa 2.700 abitanti). “Lo strumento urbanistico dura 5 anni; noi abbiamo atteso la ‘scadenza’ del PGT approvato dalla giunta precedente, e poi siamo intervenuti”. Lamberti non si racconta come un eroe, ma come un amministratore capace, in accordo con la propria maggioranza, “di analizzare il nostro territorio e di immaginare che cosa possa garantire il bene di questo paese non tra 2 anni, o 30, ma nei prossimi trecento”. Un futuro che passa per lo stop al consumo di suolo agricolo: nonostante la crisi, il cemento in Italia continua a “mangiarne” ben 4 metri quadrati al secondo, arrivando ad occupare una superficie di quasi 22mila chilometri quadrati (è il 7% del territorio nazionale, ma in determinate zone, come le fasce costiere, il dato raggiunge il 23%, ed è stato cementificato l’11,7% del territorio in una fascia compresa tra 0 e 300 metri, ISPRA, 2016).
Quella di Borgarello è, per questo, una storia esemplare, insieme alle altre che raccontiamo in queste pagine, dal Piemonte (Rivalta di Torino) al Friuli (Artegna, Udine), per finire in Abruzzo (a Scontrone, L’Aquila). Nella provincia pavese, infatti, è andato in scena uno dei testi teatrali più rappresentati in Italia negli ultimi anni: in scena ci sono un “gigante”, la società che vorrebbe realizzare un centro commerciale, su una superficie di 22 ettari, e un “bambino”, il sindaco di un piccolo Comune. Lamberti, però, è uno che non si è limitato a recitare, e ha riscritto i dialoghi. “Prima di ‘cancellare’ il centro commerciale, abbiamo considerato ogni ipotesi. Siamo arrivati a queste conclusioni: molto probabilmente, tra qualche anno quell’immobile sarebbe diventato una nuova area dismessa, che non verrà mai bonificata e quindi mai tornerà all’agricoltura; nell’immediato, la sua realizzazione avrebbe avuto un forte impatto sulla viabilità: la ex Statale 35, l’arteria su cui avrebbe dovuto insistere, è al limite per numero di veicoli al minuto e non è allargabile, perché ai lati corrono il Naviglio e il Navigliaccio: se venisse caricata di altri veicoli, ci ritroveremmo al collasso. Ecco perché, anche se la società si era detta disponibile a coprire il ‘disagio’ con un contributo, oltre agli oneri di urbanizzazione, di almeno 3 milioni di euro, abbiamo deciso di cancellare l’intervento”. Lamberti ammette che potrebbe essere considerata “folle” una scelta del genere da parte di un Comune che ha un bilancio pari a 1,2 milioni di euro, ma insiste: “Dobbiamo immaginarci il futuro a lungo termine”. Per farlo, il Comune rinuncia a 160mila euro all’anno. Era il gettito dell’Imposta municipale unica (IMU) dovuta per i 38 ettari di terreni edificabili, che i proprietari delle aree, oggi agricole, non pagano più. Pari al 13% del bilancio comunale.
A Rivalta di Torino il contatore del suolo agricolo “salvato” dal cemento arriva a 272mila metri quadrati, il 47% delle aree edificabili. Il 28 dicembre 2016 il consiglio comunale ha approvato, infatti, una variante al piano regolatore: anche in questo caso, si tratta della riscrittura di un testo già recitato in tutti i municipi d’Italia, dove alla parola variante è associato in via quasi esclusiva l’aggettivo “espansiva”. “Nel 2014 realizzammo un primo intervento, offrendo ai cittadini interessati la possibilità di ‘riclassificare’ i terreni di loro proprietà, da edificabili ad agricoli” racconta il sindaco, Mauro Marinari, della lista di cittadinanza “Rivalta Sostenibile”. Venne pubblicato un bando, e aderirono i proprietari di aree per una superficie di 30mila metri quadrati (ne demmo conto su Altreconomia 154). “La ‘variante’ insiste sulla stessa area, a Sud del torrente Sangone, dove vivono circa 6.500 persone (su una popolazione totale di circa 20mila, ndr) ed era previsto di insediarne altre 5mila” spiega Marinari. Anche Rivalta di Torino rinuncia all’IMU, per circa 120mila euro all’anno, ma questi mancati introiti sono compensati da altre politiche virtuose, come i 2 milioni di euro investiti sull’efficientamento energetico degli edifici pubblici. “Qui ci sono già 600 alloggi vuoti: alle imprese edili chiediamo eventualmente di lavorare sulle ristrutturazioni del patrimonio esistente, e per incentivarle abbiamo abbassato del 50 per cento gli ‘oneri’ per questo tipo di interventi”.
Il Comune di Artegna, in provincia di Udine, ha invece cancellato metà della zona industriale, per una superficie di 8 ettari. “Il piano regolatore, in vigore dagli anni Novanta, prevedeva lo sviluppo di ‘capannoni’ lungo l’arteria principale, la Ss 13 Pontebbana che collega Udine a Tarvisio e al confine con l’Austria, e passa fuori dal centro abitato. Tutti i paesi dei dintorni prevedevano lo sviluppo della propria ‘area industriale’, e gli interventi erano concentrati nelle aree più naturali, e agricole del territorio: questo è un modello non più attuale, e occorre avere il coraggio di cambiare direzione” racconta Andrea Romanini, assessore all’Urbanistica, e all’Ambiente, di Artegna.
Chi attraversa oggi la Pontebbana trova un’area industriale edificata per metà. “Sugli 8 ettari già costruiti -riprende Romanini- ci sono ormai molti capannoni vuoti, che un eventuale nuovo investitore avrebbe a disposizione”. Ecco perché altri otto ettari sono tornati agricoli, al termine di un percorso avviato già nel 2009, un dialogo fruttuoso con la proprietà, molto frammentata, dell’area. “La variante è stata approvata a fine 2015. I cittadini/proprietari sono stati coinvolti nel processo decisionale”. Lungo la Pontebbana oggi ci sono campi di mais e cereali, strade bianche e filari di gelso. “Alcuni terreni sono classificati come ‘prati stabili’, riconosciuti e tutelati dalla Regione” sottolinea Romanini, che con l’amministrazione di Artegna e l’Ecomuseo delle Acque del Gemonese è promotore dei “Cantieri del paesaggio”. Corsi pratici (siamo alla terza edizione) per formare volontari in grado di manutenere i muretti a secco del territorio. Artegna, come la vicina Gemona, nel maggio del 1976 fu rasa al suolo dal terremoto, e -sottolinea l’assessore- “le testimonianze del passato sono poche”.
Accanto a chi cancella le previsioni edificatorie, c’è in Italia un Comune che rimuove il cemento (e per questo è stato premiato come “Comune virtuoso” dell’anno, per il 2016, comunivirtuosi.org): è Scontrone, in provincia dell’Aquila. Immaginate un escavatore in mezzo al fiume Sangro. La benna scende, ma non è lì per asportare ghiaia: cala sulle sponde in calcestruzzo, e le abbatte, “restituendo così spazio al corso d’acqua” racconta Ileana Schipani. È la sindaca di questo piccolo comune di circa 600 abitanti, ed è la protagonista di quella che definisce “una necessaria opera di buonsenso”, che nell’estate del 2016 ha dato avvio alla liberazione del fiume Sangro dalla gabbia di cemento che negli anni Ottanta l’aveva trasformato, per un tratto di sei chilometri, in una specie di canale. Nelle foto d’epoca si vede che a monte del ponte di Villa Scontrone il fiume è libero; a valle, verso Castel di Sangro, è irreggimentato. E cementificato. “Quell’intervento aveva come obiettivo un controllo sul regime delle piene, e voleva evitare che il fiume straripasse” spiega Schipani, sottolineando come le previsioni si siano rivelate errate, mentre le premesse erano proprio sbagliate: “Allora intorno al Sangro c’erano per lo più terreni alluvionali, che non avrebbero subito alcun sostanziale danno da un’eventuale esondazione, mentre oggi la realtà urbana si è pericolosamente avvicinata al corso d’acqua, e abbiamo un serio problema legato al rischio idraulico”. La Regione Abruzzo aveva preso in considerazione l’ipotesi di ripristinare il canale, ma le amministrazioni di Scontrone e Castel di Sangro, agendo insieme, cooperando, hanno contribuito a destinare le risorse, per circa 1,1 milioni di euro, alla rinaturalizzazione del fiume. “La ‘gabbia di cemento’ è stato rimossa in parte e per un tratto di circa un chilometro -sottolinea Schipani-: abbiamo condiviso la necessità di abbandonare la logica della canalizzazione e dato priorità alla costruzione di argini rilevati a ridosso delle aree urbanizzate, senza sottrarre spazio a quelle aree di potenziale esondazione, facendo demolire lungo il canale i muri e le difese spondali ormai ammalorati”. Il ciclo si chiude a “rifiuti zero”: il calcestruzzo rimosso, dopo esser stato analizzato, è stato frantumato con dei frantoi in loco e utilizzato per la costruzione delle nuove protezioni.
A metà degli anni Ottanta, la mobilitazione ambientalista aveva impedito di completare il canale a monte di Villa Scontrone, verso Alfedena. Sui giornali locali si leggeva “cemento selvaggio in Val di Sangro”. Quello che avrebbe potuto riempire anche tutta la piana del fiume, dove il piano regolatore degli anni Novanta prevedeva di insediare migliaia di residenti. “Tutta la campagna era di fatto ‘urbanizzabile’ -spiega Schipani-: il nostro territorio, tra le piste da sci di Roccaraso e il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise rischiava di diventare pieno di ‘frazioni satellite’, seconde case e residence turistici. Abbiamo cancellato circa il 90% della previsioni, puntando al recupero dei centri storici del capoluogo e della frazione e limitando le nuove edificazioni a pochissime aree a margine dei nuclei già esistenti”. Schipani presenta il piano regolatore come la “battaglia madre” della sua giunta, che è in carica dal 2011: è stato approvato nel dicembre del 2015, e per la prima volta nella sua storia Scontrone ha uno strumento di pianificazione urbanistica.
In dettaglio
IL DIALOGO TRA UN SINDACO E UN URBANISTA RILUTTANTE
Il 7 giugno 2016 Matilde Casa, sindaco di Lauriano, 1.500 abitanti in provincia di Torino, viene assolta dal processo in cui era accusata di abuso d’ufficio per aver trasformato un terreno edificabile -in precedenza agricolo- di nuovo in agricolo. Da questa storia di cronaca italiana, ma anche personale, prende le mosse il dialogo di Matilde Casa con l’urbanista riluttante Paolo Pileri, vero cuore di “Il suolo sopra tutto”, una riflessione a più voci che non solo si schiera in difesa del suolo ma va alla ricerca di un terreno comune tra politica e “saperi esperti”. Una cultura condivisa salverà il suolo libero e agricolo? Una domanda a cui prova a rispondere anche il giornalista Sergio Rizzo, nel suo ampio intervento. Dopo “Che cosa c’è sotto” un altro libro che prova a colmare la voragine tra gestione della cosa pubblica e conoscenza scientifica e a porre solide fondamenta per una nuova militanza del suolo, “civile” ed etica. Con una bella e dolente prefazione di Luca Mercalli. Da metà marzo in libreria.
“Il suolo sopra tutto. Un sindaco e un urbanista alla ricerca di un terreno comune per un ‘buon governo’ del suolo” – Matilde Casa, Paolo Pileri, 144 pag., 12,50 euro (Altreconomia)
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