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Opinioni

Siamo caparbi e realisti: no Ogm

Il 24 aprile 2014 il Tar del Lazio ha bocciato il ricorso di alcuni imprenditori agricoli friulani che chiedevano di poter utilizzare sementi geneticamente modificate nei loro campi. Ripubblichiamo l’editoriale di Maurizio Gritta, di Iris, che su Ae 148 ricordava che cittadini e agricoltori condividono la responsabilità di impedirne -anche in Italia- l’ingresso nei campi, a partire da alcuni esempi che spiegano come fare _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 148 — Aprile 2013

È primavera, e la natura si risveglia. Mentre l’agricoltura si dedica alla semina di stagione, alcuni cittadini prendono consapevolezza che l’ambiente è importante per la qualità della nostra vita. Altri cittadini e imprese, invece, non ritengono fondamentale mantenere un equilibrio nell’utilizzo delle risorse che la natura ci offre. Per questo torna la proposta di autorizzare l’utilizzo di sementi geneticamente modificate (Ogm). Sostengono che queste sementi produrranno di più, saranno più resistenti a malattie e parassiti, qualcuno addirittura che saranno meno dannose per l’alimentazione umana. False motivazioni scientifiche, per coprire il vero scopo di tutto questo: il profitto, o il facile guadagno. Ma noi, cittadini e agricoltori, non solo i biologici, possiamo “fare” di fronte all’autorizzazione alle semine Ogm in Europa e Italia.
Per cominciare, firmando la petizione promossa da Greenpeace, Avaaz e Friends of the Earth per chiedere una moratoria (per info: www.liberidaogm.org o www.greenpeace.org/italy). Oppure acquistando solo prodotti biologici che non utilizzano queste sementi geneticamente modificate; ma anche prendendo ad esempio e aiutando tante piccole realtà che lavorano per sottrarre territorio agricolo a un “futuro Ogm”. Nel Salento, fra Francavilla e San Marzano, la comune autogestita Urupia coltiva 35 ettari di cui 25 a oliveto, 4 a vigna e il resto -a rotazione- con un grande orto a metodo biologico, insegnando e trasmettendo a chi volesse esserne ospite le varie pratiche di lavoro e condivisione di vita. A Fano (Pu), un gruppo di cittadine ha costituito un’associazione e ottenuto in gestione dal Comune circa 6mila metri quadrati di terra, già previsti per l’urbanizzazione riuscendo a organizzare e gestire uno spazio per i bambini del quartiere con orti e relativo mercatino. In provincia di Milano c’è l’esperienza del Distretto di economia solidale rurale (di cui scriviamo a p. 23). A Genova, in Val di Vesima, un gruppo di giovanissimi contadini ha occupato la valle e aperto con il proprietario, un barone, un confronto per il definitivo insediamento, coltivando ortaggi, tenendo animali al pascolo, trasformando le farine in pane, creando un mercatino e collaborando con l’emporio etico Met di Sestri Ponente per distribuire le cassette di ortaggi biologici ai genovesi. A Matera, Vito Castoro e un’associazione che raccoglie varie realtà locali coltivano diversi ettari, gestiscono una filiera del pane e portano in vari mercatini la loro esperienza -dimostrazione che al Sud non solo si coltiva bio, ma si consuma bio, perché solo la relazione diretta fra le due cose spiega il vero ruolo culturale e imprenditoriale di quest’esperienza-. A Massenzatica (Fe), e a Nonantola (Mo) esistono due “partecipanze”, ovvero imprese comunitarie con diversi profili giuridici, formate da contadini che hanno a disposizione terreni da coltivare che richiedono un supporto progettuale. A Nonantola dispongono di circa 800 ettari, in parte coltivati e in parte a bosco, con la possibilità di creare spazi sociali e didattici. Senza supporti pubblici, la partecipazione della cittadinanza a queste iniziative è indispensabile per dare sostenibilità economica e dignità gestionale ai progetti, e permette di sottrarre ulteriore spazio alle pratiche di agricoltura industriale con Ogm, alla cementificazione e all’urbanizzazione. In Piemonte, a Pezzolo Valle Uzzone (Cn), grazie anche alla collaborazione con Iris, i contadini hanno trasformato il territorio, passando in 7 anni da un’agricoltura convenzionale, ormai “finita”, a quella biologica certificata e di qualità. Hanno recuperato antiche coltivazioni, ristrutturato il mulino e il centro di stoccaggio ormai in disuso, creato un mercato basato sulle relazioni e non sulle borse e i prezzi, che sa riconoscere il valore del lavoro e del prodotto. E presto trasformeranno i cereali. Abbiamo così  creato 5 posti di lavoro, riuscendo a far tornare la comunità protagonista del proprio territorio.
Queste sono solo alcune delle numerose iniziative concrete -territoriali e imprenditoriali- che produttori, soprattutto biologici/biodinamici, e cittadini stanno portando avanti con caparbietà e realismo. Gli enti locali devono prendere atto di queste realtà e cominciare a proporre politiche di gestione territoriale che considerino davvero i beni e il bene comune, per avere più possibile il bene d’essere e non solo il benessere materiale. Se avremo il primo, di sicuro non ci mancherà il secondo. Ed è la strada per fermare il diffondersi delle sementi Ogm: non utilizzarle, scambiarsi le sementi, riprodurle, gestire il terreno secondo il nostro desiderio naturale e non le false indicazioni da parte d’interessi avulsi alla nostra vita e alla comunità. “No agli Ogm, sì alla natura madre!”. —

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