Cultura e scienza
Sharing economy: che cosa dice, davvero, l’Europa
La comunicazione del 2 giugno della Commissione ai Paesi membri non spiega soltanto che è "sbagliato vietare Uber e Airbnb", come titolano i quotidiani italiani. Evidenzia, invece, come lo sviluppo dell’economia collaborativa ponga questioni rilevanti sul tema del regime fiscale e della distinzione tra soggetti "professionali" e quelli che "vendono" saltuariamente beni e servizi
Il 2 giugno la Commissione europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio la propria comunicazione per un agenda comune sulla sharing economy, definita "economia collaborativa". Il 3 giugno i principali quotidiani italiani l’hanno tradotta così: "L’Ue ai 28: sbagliato vietare Uber e Airbnb" (La Stampa); "L’Europa detta le regole per la sharing economy: ‘Diviei solo in ultima istanza’" (Corriere della Sera); "La Ue difende il ‘modello Uber’. Le linee guida della Commissione sulla ‘sharing economy’: no a divieti e barriere" (Il Sole 24 Ore).
Da una lettura del documento di 16 pagine, però, emergono alcune "questioni aperte". Sono legate alla diffusione del fenomeno, che in Europa nel 2015 ha generato transazioni per un valore complessivo di oltre 28 miliardi di euro, garantendo ricavi per 3,6 miliardi ai soggetti che gestiscono le piattaforma di condivisione, come Airbnb, BlaBlaCar o Uber, per citare le più diffuse.
Su tutti, emerge un problema legato al regime fiscale. La Commissione europea è chiara nel definire a quali ambiti fa riferimento la tassazione, e cioè al reddito delle persone fisiche (la nostra IRPEF), al reddito d’impresa, all’imposta sul valore aggiunto (l’IVA). E tra i punti dolenti, secondo la comunicazione, vi sarebbero oltre alla difficoltà nell’identificazione del reddito imponibile, anche "politiche industriali aggressive di ‘pianificazione fiscale’, esasperate nel settore digitale", oltre a limiti nello scambio di informazioni. Da un lato i gestori delle piattaforme possono giocare un ruolo importante nel definire l’imponibile per coloro (le persone fisiche) che mettono a disposizione un bene: Airbnb, in Italia, raccoglie direttamente la "tassa di soggiorno" in alcune città; nella proposta di legge in discussione alla Camera è previsto un ruolo da "sostituto d’imposta" per gli attori della sharing economy; dall’altro questi stessi soggetti dovrebbero pagare le imposte sui propri redditi, ed è per questo che la "Commissione sta lavorando su un approccio generale al tema dell’elusione fiscale". La comunicazione, inoltre, evidenzia come "l’offerta di beni e servizi tramite piattaforme collaborative […] dà origine a transazioni che in linea di principio sono tassabili per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto". Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, il valore delle transazioni generate da Airbnb, secondo i dati comunicati dall’azienda, avrebbero garantito nel 2015 allo Stato un’IVA di quasi 40 milioni di euro.
Al tema del regime fiscale è strettamente collegato anche quello della definizione di una distinzione tra coloro che offrono un servizio o una prestazione su base occasionale oppure in maniera professionale, che secondo la Commissione europea è "decisiva". La legislazione UE non stabilisce in maniera esplicita il confine tra le due modalità, e gli Stati membri stanno procedendo in ordine sparso.
Questi sono nodi da sciogliere per favorire lo sviluppo delle "nuove opportunità" (così ne parla la Commissione europea) insite nell’economia collaborativa, che vede almeno 275 piattaforme attive nei Paesi dell’Unione europea.
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