Senza paracadute – Ae 84
Compromesso sul disegno di legge Lanzillotta che rischiava di privatizzare completamente i servizi pubblici locali Il contesto è tutto. E il contesto è quello che descriviamo abbondantemente in questo giornale (pagine 25-27): un’economia fortemente concentrata, grandi gruppi industriali e finanziari…
Compromesso sul disegno di legge Lanzillotta che rischiava di privatizzare completamente i servizi pubblici locali
Il contesto è tutto. E il contesto è quello che descriviamo abbondantemente in questo giornale (pagine 25-27): un’economia fortemente concentrata, grandi gruppi industriali e finanziari in un intreccio di interessi inestricabile, rendite di posizione che nulla hanno a che fare con l’innovazione e l’efficienza. E in più, come scriviamo nell’editoriale, un’informazione debole e “ancella degli inserzionisti”, ovvero dei grandi gruppi di cui sopra, e quindi impossibilitata a svolgere quell’azione di controllo dei poteri forti che, in ogni società civile, è fondamentale.
Per questo il disegno di legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali (energia, ambiente, gas, acqua, trasporti, rifiuti) che porta il nome del ministro per gli Affari regionali, Linda Lanzillotta, scalda così tanto gli animi: perché, nella rincorsa a una maggiore efficienza, si rischiano di togliere risorse economiche importanti agli enti locali e di affidare per sempre al mercato settori significativi dell’economia italiana (quanto importanti lo si veda nei box di queste pagine).
Il via libera al Senato è ormai alle porte. Obbligo di gara e ricorso al mercato per gestire i servizi pubblici locali: questo il nuovo verbo.
L’opposizione di Rifondazione comunista, ma anche dell’anima popolare delle altre componenti della maggioranza (con qualche mal di pancia anche all’interno della Margherita, partito della ministra), ha mitigato la spinta liberista e forse terrà in gioco la possibilità per gli enti locali di gestire direttamente i servizi più vicini ai cittadini. Ed eventualmente di farci utili da reinvestire sul territorio (come dimostrano aziende pubbliche come Cem, di cui raccontiamo a pagina 10).
Ma lo scontro, ideologico e di interessi, è durissimo.
Il ministro Lanzillotta ha ragione quando sostiene che le norme introdotte dell’ex ministro Buttiglione (governo Berlusconi) hanno accentuato i fenomeni degenerativi tipici di quando la politica occupa l’economia: le società pubbliche, la cui esistenza è resa possibile dall’affidamento in house (senza gara),
si sono moltiplicate, spesso con il solo effetto di aumentare le poltrone ma non l’efficienza e i controlli (sottratti in questi casi sia alle verifiche pubbliche che a quelle del mercato). Da qui la necessità di una riforma organica.
Ma sotto queste verità c’è anche una disillusione sulla possibilità di “un’economia pubblica”, e forse un timore eccessivo di ripetere gli errori del passato (con lo Stato imprenditore).
Di contro, probabilmente, una fiducia quasi confindustriale rispetto al mercato, la cui trasparenza ed efficienza lasciano comunque a desiderare.
Il ministro riconosce che nelle imprese che gestiscono i servizi locali, per la maggior parte ancora in mano ai Comuni o comunque controllate da essi, c’è “una cultura del servizio pubblico che non va dispersa e va invece valorizzata” e che, d’altra parte, “si è visto che i privati non sempre sono stati all’altezza quando si è trattato di gestire i servizi pubblici”. E però il ministro sa anche che nel momento in cui l’apertura al mercato spinge all’innovazione e agli investimenti, queste società avranno bisogno, per competere, di più risorse
e quindi dovranno aprirsi al capitale privato.
In ogni caso, il ministro non concede deroghe al principio della gara: le aziende di gestione potranno essere pubbliche, private o miste ma l’affidamento dovrà avvenire solo con lo strumento della gara.
“Questo provvedimento, se approvato
-spiega il ministro con una punta di inevitabile scaramanzia- potrà portare al miglioramento della qualità dei servizi locali, ridurre le tariffe a carico dei cittadini e tagliare i costi delle società pubbliche che spesso sono il dorato parcheggio di un vasto ceto politico”. Insomma quasi un miracolo.
In teoria non fa una piega. Il problema semmai è il contesto. All’inizio del Novecento i servizi pubblici locali erano ancora al minimo e in mano ai privati; solo con la legge del 1903 proposta da Giolitti si introdusse la possibilità per i Comuni di gestirli direttamente, per sfuggire al monopolio e ai costi esorbitanti. Negli ultimi anni invece il percorso è andato in direzione opposta. Per sfuggire all’inefficienza di certa gestione pubblica (amplificata dai media) ci si butta nelle mani del mercato (i cui benefici sono quasi sempre esaltati).
Ma il risultato non è certo, e spesso si tratta di operazioni senza paracadute per i consumatori e senza ritorno per i cittadini.
Riconosce Alfredo Macchiati, autore di numerose pubblicazioni in materia di privatizzazioni e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità, che “non v’è dubbio che in tutti i settori caratterizzati da infrastrutture essenziali vi siano stati ritardi nella capacità del mercato o della regolazione di tradurre gli indubbi miglioramenti di efficienza delle imprese privatizzate in benefici per i consumatori. In alcuni casi, come in quello dell’energia, la sequenza -prima la privatizzazione poi la liberalizzazione- è stata addirittura opposta a quella raccomandata dai libri e dall’esperienza degli altri Paesi, di cui pure ci si poteva giovare”.
Come dire: la teoria è una cosa, quel che avviene nella realtà un’altra.
Per questo il provvedimento che porterà per sempre il nome della Lanzillotta è guardato con tanto sospetto e timore: come l’ultimo cavallo di Troia per una stagione di privatizzazioni che ormai ha fatto il suo corso, mentre invece in tutto il mondo c’è un ritorno da protagonista dello Stato e delle aziende pubbliche.
Il percorso della Lanzillotta è ancora lungo, e decisive saranno le regole che verranno scritte per affidare a gara i servizi pubblici locali.
Dal disegno di legge è comunque rimasto fuori, così come chiesto a lungo, il settore dell’acqua. Associazioni e movimenti organizzati della società civile avevano e hanno fatto dell’acqua il loro “cavallo di battaglia” per tornare a parlare di “beni comuni” e per riflettere sulla possibilità di una gestione totalmente pubblica di alcuni settori strategici. In tempi di siccità, questa battaglia suscita certamente ancora più attenzione. Quello che forse sta accadendo è che la difesa della gestione pubblica dell’acqua finisce con il fornire qualche coraggio in più a società civile e politica per difendere uno spazio pubblico nell’economia.
Il che non è poco.
Il compromesso della Lanzillotta
“Il ritorno delle municipalizzate”. Così Il Sole-24 Ore, quotidiano della Confindustria,
ha commentato a caldo il compromesso che la maggioranza ha raggiunto in commissione al Senato sul disegno di legge Lanzillotta. Ma è stata una lettura ideologica, corretta di lì a qualche giorno. In realtà il compromesso raggiunto reintrodurrà probabilmente la possibilità di “aziende speciali” a gestione pubblica, ma con vincoli stringenti relativi a trasparenza, assunzioni, appalti e incompatibilità. In tutti gli altri casi sarà necessario andare a gara, e non importa se la società sarà pubblica, privata o mista; finisce così l’era dell’affidamento in house -senza gara- introdotto dal governo Berlusconi e adottato benignamente da amministrazioni sia di destra sia di sinistra per mantenere una longa manus su posti di potere.
Quanto valgono le imprese dei servizi pubblici locali
Qual è il peso economico delle imprese dei servizi pubblici locali?
Notevole, come si coglie dal grafico qui accanto. 36 miliardi di fatturato complessivo e 170 mila addetti. Nel 2005 il fatturato rappresentava l’1,25 per cento del totale della produzione nazionale e il 3,6 di quello dell’industria. Gli occupati invece rappresentano il 4 per cento di tutti quelli dell’industria.
Il peso di queste aziende (ancora interamente o prevalentemente di proprietà degli enti locali) è quindi tutt’altro che trascurabile ed è andato crescendo nel tempo.
Circa gli investimenti, poi, il peso del comparto risulta ancora più rilevante: il loro ammontare è stato nel 2005 di circa 5,5 miliardi di euro pari a quasi il 2% di quello complessivo dell’economia nazionale.