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Ambiente / Approfondimento

Rischi e interessi economici intorno all’estrazione mineraria nei fondali marini

Una protesta degli attivisti di Greenpeace contro il Deep sea mining nel Pacifico © Greenpeace

Per iniziare l’esplorazione e lo sfruttamento delle acque più profonde alla ricerca di terre rare e metalli preziosi occorre l’approvazione di un “codice” a livello internazionale. Diversi Paesi spingono per dar carta bianca alle imprese, a danno degli ecosistemi. Altri invocano una moratoria. L’Italia esita. Greenpeace chiede al Governo Meloni impegni concreti per la tutela dei suoi fondali

L’estate 2024 segna un prima e un dopo per il Deep sea mining (Dsm), l’estrazione mineraria nei fondali marini che ricerca terre rare e metalli preziosi come cobalto, manganese e nichel, fondamentali per la transizione ecologica.

Il 15 luglio e il 2 agosto si è riunita infatti l’International seabed authority (Isa), l’ente delle Nazioni Unite che regola l’accesso alle risorse minerarie nelle acque profonde internazionali, ovvero le aree del mare al di fuori delle Zone economiche esclusive (Zee) degli Stati che si estendono fino a 200 miglia nautiche dalla costa. L’Isa, di cui fanno parte 168 Paesi, è stata creata nel 1994 nel quadro della Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos) e ha l’obiettivo di proteggere i fondali oceanici, considerati come “patrimonio comune dell’umanità”.

La riunione presso l’Isa aveva lo scopo di rinnovare la carica di presidente dell’ente e soprattutto negoziare un codice per le estrazioni minerarie. Alla fine è stata eletta Leticia Carvalho, oceanografa brasiliana che ha una posizione prudente sull’avvio delle estrazioni, al posto di Micheal Lodge, a capo dell’organizzazione per otto anni e dichiaratamente favorevole allo sviluppo industriale del Dsm. Come ha riportato il New York Times, Lodge è stato accusato da alcuni ex dirigenti dell’organizzazione di uso improprio dei fondi e di compravendita di voti, oltre ad essere vicino agli interessi di alcuni compagnie minerarie, come la canadese The Metals Company.

Per iniziare le estrazioni oceaniche occorre l’approvazione da parte dei membri dell’Isa di un codice minerario con norme e procedure che regolino l’esplorazione e lo sfruttamento dei minerali. Intesa che non è stata raggiunta durante l’ultima riunione. Al momento l’Isa ha rilasciato 31 contratti di esplorazione per mappare vaste aree degli oceani alla ricerca di metalli preziosi, senza però concedere il via libera alle estrazioni proprio per la mancanza di regole condivise.

Alcuni Paesi spingono per iniziare a sfruttare le risorse minerarie senza alcun codice (come il Kiribati e altri Stati del Pacifico), altri hanno adottato una posizione intermedia chiedendo prima l’approvazione di un regolamento (è il caso dell’Italia), mentre 32 Stati hanno proposto una moratoria o una “pausa precauzionale”, lamentando l’inesistenza di garanzie sufficienti per scongiurare danni ambientali.

Tuttavia durante i negoziati è avvenuto un importante sviluppo legale, poiché l’assemblea dell’Isa, per la prima volta, ha discusso della possibilità di creare una politica per la protezione degli ecosistemi marini, presupposto che aprirebbe a una futura moratoria sul Dsm. Finora l’Isa non aveva mai riconosciuto l’importanza e il valore scientifico degli oceani ma aveva solo considerato i possibili effetti nocivi delle attività umane per i mari.

Più di cento associazioni ambientaliste e Ong, riunite nella Deep sea conservation coalition (Coalizione per la conservazione dei mari profondi), chiedono da tempo di mettere al bando il Deep sea mining per gli impatti che potrebbe avere sull’ambiente.

I metalli preziosi e le terre rare si trovano nei fondali marini principalmente all’interno di noduli polimetallici, ovvero concrezioni che si sono formate dall’aggregazione di vari minerali intorno a un innesco naturale come una conchiglia. Alcune aree del Pacifico, come la Clarion-Clipperton zone nei pressi delle isole Hawaii, sono molto ricche di noduli polimetallici che verrebbero estratti tramite grandi macchinari calati sui fondali e poi pompati sulle navi attraverso centinaia di metri di tubi. Queste attività rilascerebbero detriti e vapori tossici nell’acqua, creando nubi di sedimenti che soffocherebbero le specie presenti negli abissi.

Inoltre, il rumore provocato dalle macchine potrebbe disorientare balene e delfini che utilizzano il suono come mezzo di comunicazione, ma anche le luci potrebbero causare danni permanenti alle creature abituate al buio dei fondali.

Gli oceani ospitano specie uniche che vivono solamente in profondità, oltre a rappresentare una riserva di “carbonio blu” che viene sequestrato e immagazzinato naturalmente dall’ecosistema marino. Infine, lo scorso luglio un’importante ricerca scientifica pubblicata su Nature Geoscience ha rivelato che l’ossigeno viene prodotto nelle profondità oceaniche attraverso un processo biochimico associato ai noduli polimetallici in totale assenza di luce solare.

Una nave per le esplorazioni dei fondali oceanici alla ricerca di minerali © Greenpeace

Durante i negoziati dell’Isa l’Italia ha deciso di non aderire a una moratoria sul Dsm ma non ha neanche spinto per iniziare le estrazioni, una posizione intermedia influenzata dagli obblighi internazionali. Da un lato il governo italiano vorrebbe essere maggiormente indipendente nell’approvvigionamento delle materie prime, esigenza ribadita dall’Unione europea con l’approvazione del Critical raw materials act dello scorso maggio; dall’altro, l’Italia ha firmato, ma non ha ancora ratificato, il Trattato sugli Oceani delle Nazioni Unite, che pone l’obiettivo di proteggere almeno il 30% della superficie marina nazionale entro il 2030.

Tuttavia, “l’esecutivo sembra più interessato ad uno sfruttamento delle risorse che non alla protezione dei mari, si comprende dalle dichiarazioni di alcuni ministri che parlano solo superficialmente di sostenibilità e di conservazione”, come spiega ad Altreconomia Valentina Di Miccoli, campaigner mare di Greenpeace.

Attualmente in Italia non esistono grandi società minerarie e nessuna impresa possiede concessioni per esplorare i fondali delle acque territoriali. Un recente report di Greenpeace però sottolinea che alcune aziende italiane, come Fincantieri, Saipem e Leonardo, potrebbero essere interessate a sviluppare tecnologie e strumenti per supportare altre compagnie ad estrarre minerali.

L’organizzazione ha analizzato le dichiarazioni di sostenibilità legate alle estrazioni minerarie di queste aziende rilevando l’assenza di politiche specifiche sul Dsm ma soprattutto sulle strategie per la tutela dell’ambiente e della biodiversità. Anche il Polo nazionale della dimensione subacquea, inaugurato lo scorso dicembre sotto il coordinamento della Marina Militare, sembra focalizzato principalmente sullo sviluppo di tecnologie subacquee e sullo sfruttamento delle risorse, in collaborazione con aziende come Leonardo e Fincantieri, piuttosto che sulla creazione di politiche per la tutela dei fondali insieme ad università ed enti di ricerca.

La comunità scientifica conosce ancora molto poco della composizione dei fondali attorno alle coste italiane, nei quali sono stati scoperti dei piccoli depositi di metalli preziosi nella zona del Tirreno. In particolare, i minerali sono stati individuati in alcuni seamounts, cioè montagne sottomarine ricche di biodiversità tra cui diverse specie di pesci e coralli di profondità, come il complesso vulcanico del Palinuro situato nel mar Tirreno meridionale, oggetto di uno studio di Greenpeace.

Nella zona del Palinuro sono stati trovati dei depositi idrotermali di barite e pirite e anche di metalli preziosi come rame e argento, situati a più di 600 metri di profondità, anche se si conosce ancora pochissimo dell’ecosistema e della geologia di questi fondali. Per questo motivo Greenpeace ha deciso di esplorare l’area, trovando una ricchezza di specie legate al fondale sulla sommità del Palinuro, come spugne, coralli e stelle marine, nonché un’abbondante presenza di delfini che abitano l’area e le zone limitrofe.

Per la sua importanza naturalistica, l’area del Palinuro è stata inserita nella lista dei Siti di interesse comunitario (Sic) italiani parte della rete Natura 2000, promossa dall’Ue per la tutela della biodiversità. Un’eventuale estrazione di minerali dai depositi rocciosi avrebbe un impatto considerevole sull’ecosistema locale, poiché i metalli si trovano all’interno di rocce spesse diversi metri e non è ancora stata sviluppata una tecnologia per estrarli.

Un futuro sviluppo del Deep sea mining nel territorio italiano avrebbe degli effetti dannosi sugli ecosistemi e sulla biodiversità, tenendo conto che buona parte dei fondali sono ancora inesplorati. Per questo motivo, Greenpeace chiede al governo tramite una raccolta firme presentata a giugno che questa attività venga messa al bando e che la tutela degli ecosistemi marini diventi una priorità. “Auspichiamo che l’Italia diventi parte dei Paesi che aderiscono alla moratoria sul Deep sea mining e ratifichi il Trattato sugli Oceani -conclude Di Miccoli-. Sono questi gli unici strumenti legali per evitare uno sovrasfruttamento delle risorse marine e per conservare la biodiversità dei fondali”.

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