Ambiente / Attualità
Perché il Recovery plan italiano è un’occasione mancata per il clima
Green Recovery Tracker scatta una fotografia del Piano nazionale di ripresa e resilienza: a proposito del clima è la valutazione peggiore tra i Paesi europei. Solo il 13% delle risorse complessive interessano progetti significativi per la transizione. L’analisi di ECCO think tank, E3G e il Wuppertal Institute
Solo il 13% delle risorse complessive del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) presentato dal governo italiano sono destinate a progetti significativi per il clima. Una quota che pone il nostro Paese lontano da Germania (21%), Francia (23%) e Spagna (31%). Ma soprattutto il Piano “strizza l’occhio” al gas, con significative misure di sostegno al settore del biometano e dell’idrogeno, mentre “manca un impulso per la transizione energetica e la decarbonizzazione”. Si tratta di una percentuale ben al di sotto del 40% indicato dal governo e dalla soglia fissata al 37% dall’Unione europea come soglia minima da destinare alla transizione energetica.
È quanto emerge dall’analisi del Pnrr italiano pubblicata dal think tank ECCO, in collaborazione con “E3G” e il Wuppertal Institute, sul sito del Green Recovery Tracker: il portale ha l’obiettivo di fornire un’analisi sull’allineamento delle misure nazionali di ripresa con la transizione verde, considerando gli effetti delle singole misure contenute nei piani di ripresa nazionali rispetto a scelte significative e strategiche per la decarbonizzazione. La metodologia di questo strumento ha permesso di stilare una valutazione dei piani nazionali di 17 Paesi.
Il documento del Green Recovery Tracker evidenzia come particolarmente critico il fatto che le risorse necessarie per una transizione “green” siano frammentate in diversi piccoli progetti (ad esempio il supporto a progetti agrovoltaici) mentre sono scarsi i finanziamenti per la decarbonizzazione industriale o altre aree importanti della transizione, specialmente per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia elettrica e l’espansione dell’elettrificazione. Inoltre, secondo gli autori del report, c’è anche il rischio che una quota relativamente alta dei fondi del Recovery plan venga assegnata a progetti legati all’ambito del biometano e dell’idrogeno. “Complessivamente, nonostante le sue dimensioni, il Pnrr non dà un forte impulso alla transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico”, si legge nel documento.
“Molti degli investimenti verdi contenuti nel piano sono suscettibili di portare solo un passaggio incrementale verso un’economia neutrale per il clima e sembrano abbastanza insignificanti rispetto alle esigenze di una transizione dell’intera economia verso la neutralità climatica”. In particolare quello che manca è un “sostegno adeguato ai pilastri cruciali per la transizione”. Ovvero produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, l’uso diretto dell’elettricità e le infrastrutture locali di mobilità sostenibile.
“Un buon piano per l’Europa non è un buon piano per il clima in Italia. Con il progredire della legislazione europea sul clima nei prossimi anni è probabile che i diversi progetti dovranno maggiormente convergere sugli obiettivi di decarbonizzazione, ma per ora il piano è un’occasione mancata” commenta Matteo Leonardi, co-fondatore di ECCO. Per Elisa Giannelli, policy advisor del think tank E3G, il piano dell’Italia non ha del tutto soddisfatto il potenziale della rivoluzione verde promessa da Mario Draghi: “La soglia del 37% è raggiunta solo con un approccio puramente contabile di progetti che non necessariamente saranno efficaci per il clima”.
Altri elementi critici indicati dal documento sono la scelta di includere le caldaie a gas negli investimenti per l’efficienza energetica. Mentre per quanto riguarda l’elettrificazione del sistema dei trasporti “c’è solo una quantità trascurabile di sostegno per l’elettrificazione, sebbene questa sia una componente strategica riconosciuta a livello internazionale delle strategie di decarbonizzazione”. A questo settore l’Italia ha destinato solo 1,2 miliardi di euro mentre ulteriori risorse sono destinate al trasporto pubblico nei Comuni ma “non è chiaro se queste sosterranno la mobilità elettrica, e c’è il rischio che questi fondi possano sostenere i veicoli a gas fossile”.
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