Cohousing. L’arte di vivere insieme

Princìpi, esperienze e numeri dell’abitare collaborativo in Italia

144 pagine a 2 colori / 15×20 cm / 2018


Un libro per chi nella propria casa non cerca solo un luogo da abitare, ma anche il senso di comunità andato smarrito nella società moderna e nelle nostre città.

Il cohousing è un nuovo modo di abitare collettivo dove gli abitanti mettono in comune spazi, servizi e attività. Così è possibile ritrovare il senso smarrito della comunità.

Una guida completa alle forme di abitare collaborativo, dedicata a chi desidera intraprendere questo percorso: il profilo dei cohouser, le esperienze in corso, gli spazi e i servizi da mettere in comune, le pratiche sostenibili, le “porte aperte” al quartiere, la creazione di un welfare diffuso e basato sulle relazioni.

Questo “manuale” spiega in modo chiaro e comprensibile la natura, lo spirito e la prassi del cohousing. Con tutte le risposte degli esperti ai quesiti più frequenti: come funziona un cohousing, quali costi si devono affrontare, la scelta di costruire o ristrutturare, i rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Il libro si avvale di una mappatura – la più aggiornata – di tutte le esperienze di “abitare collaborativo” già attive o in cantiere in Italia (a cura di HousingLab), che ne racconta al contempo le caratteristiche distintive: gli spazi e i servizi messi in comune, le pratiche sostenibili, le “porte aperte” al quartiere, la creazione di un welfare diffuso e basato sulle relazioni.

Il libro

Interventi di Gabriele Rabaiotti, assessore alla casa e ai lavori pubblici del Comune di Milano. Giordana Ferri, direttrice Fondazione Housing Sociale. Marta Mainieri, Collaboriamo.

Prefazione dell’architetto Paolo Mazzoleni.

La prima parte del libro riporta, attraverso le voci dei “co-abitanti”, le principali motivazioni che hanno portato a scegliere l’abitare collaborativo: il bisogno di relazioni autentiche, l’esigenza di spazi e opportunità che da soli non ci si potrebbe permettere, la condivisione di pratiche green e virtuose come la scelta di energie da fonti rinnovabili o il Gruppo d’acquisto solidale, l’apertura al quartiere e ad interventi nel sociale – come l’accoglienza a famiglie fragili e molti altri- . Oltre all’opportunità di conseguire un non trascurabile risparmio.

La seconda parte analizza i dati tratti dalla prima “Mappatura dell’Abitare Collaborativo in Italia”, curata da HousingLab e traccia – attraverso numeri e infografiche – una vera e propria “carta di identità” del cohousing e dei suoi co-abitanti. Enumera gli spazi, i servizi e le attività collaborative che si possono attivare tra gli abitanti, – dall’orto alla lavanderia in comune, dalla macchina collettiva al salone per le feste. Con un elenco dei cohousing e della “case collaborative” del nostro Paese, corredate da tutti i riferimenti.

L’ultima parte ospita i contributi di numerosi esperti che rispondono alle FAQ, le domande più frequenti e importanti per chi inizia un percorso di abitare collaborativo: ad esempio se è meglio costruire o ristrutturare, quale forma giuridica adottare, come si gestisce in concreto un cohousing, comne si scrive un “regolamento”, come prendere le decisioni e prevenire i conflitti, quali rapporti instaurare con la Pubblica Amministrazione.

Una guida a tutti i passi del percorso, inclusi i costi da affrontare e le possibili fonti di finanziamento.

Recensioni:

Il dono dell’abitare (insieme), dopo la pandemia

Slide pagine

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HousingLab

HousingLab è un’associazione nata con l’obiettivo di diffondere i buoni esempi, di condividere le competenze e di sperimentare un abitare sociale e collaborativo:

HousingLab è un laboratorio di ricerca, sperimentazione e sviluppo nel campo dell’abitare. Il nostro obiettivo è diffondere i buoni esempi, condividere le competenze e sperimentare forme di vivere sociale, collaborativo e conviviale. Crediamo che la casa sia un punto focale per un welfare diffuso basato sulle relazioni. La nostra metodologia parte dai processi creativi del co-design e, attraverso una progettazione condivisa, permette di generare soluzioni innovative per esigenze reali. Negli ultimi anni la nostra attività ha riguardato l’organizzazione di vari eventi sul tema, l’accompagnamento di comunità di cohousers e l’osservazione e mappatura delle esperienze collaborative a livello nazionale e internazionale.” (www.housinglab.it)

Prefazione – Le case estese: incubatori di urbanità

Una comunità che condivide gli spazi e i servizi è un campo aperto, dove coltivare convivenza
di Paolo Mazzoleni, Architetto

All’inizio degli anni Duemila, poco dopo la laurea, con alcuni amici cercammo per un po’ di tempo un edificio da ristrutturare per abitare insieme, con l’idea di perimetrare spazi ridotti per la vita privata di ciascun nucleo familiare e di utilizzare il surplus di spazio che si sarebbe in questo modo creato per coltivare insieme necessità e passioni. Illetterati in temi di abitare condiviso, chiamavamo questo progetto fantasmagorico “la Casona”.
La ricerca fu lunga e frustrante e il gruppo andò via via assottigliandosi, fino a sparire completamente. Insomma: alla fine non se ne fece nulla. Oggi tutti noi, per fortuna ancora amici, abitiamo in normalissime case urbane, più o meno piccolo-borghesi.
Molto tempo dopo, scoprii che, se ce l’avessimo fatta, avremmo avuto il privilegio di inventare l’acqua calda. Scoprii, insomma, che quello che volevamo fare era pratica comune da diverse decadi, forse non in Italia ma certo in molti Paesi europei e non solo.
Scoprii che questo modo di abitare era stato oggetto di studi, anche molto accurati e convincenti. Personalmente, per esempio, sono molto affezionato al piccolo paragrafo su “la casa estesa” contenuto in “Quotidiano Sostenibile. Scenari di vita urbana” di Ezio Manzini e François Jégou (Edizioni Ambiente, ottobre 2003) e ancora oggi preferisco questa definizione ad altre meno precise e meno precisamente perimetrate.
Scoprii inoltre che c’erano esempi a Vienna, a Zurigo e in molte altre città che portavano l’abitare collaborativo a esprimere una valenza urbana straordinaria, e ne approfittai per andare a vedermeli tutti.
 Scoprii che alcuni colleghi non solo facevano ricerca su questi temi, ma che anche li insegnavano. Ho poi avuto la fortuna di condividere per diversi anni con alcune di queste persone un master in Housing sociale e collaborativo al Politecnico di Milano, imparando da loro probabilmente più di quanto gli studenti possano aver imparato da me.
Alcuni (meglio: alcune, e la questione di genere meriterebbe tutta una trattazione parallela, nel mondo dell’abitare collaborativo) di questi colleghi, hanno anche fondato un’associazione (HousingLab di cui sono stato – e forse sono ancora – socio) che ha l’obiettivo di diffondere le buone pratiche, la condivisione delle competenze e la sperimentazione partecipativa nell’ambito dell’abitare sociale e collaborativo.
Questa associazione ha realizzato molte cose interessanti, tra cui un’accurata mappatura del fenomeno dell’abitare collaborativo nel nostro Paese, mappatura che è alla base di questo testo. 
Insomma, oggi ho capito molte cose sull’abitare collaborativo – anche se continuo ad occuparmi di progetto architettonico e urbano e quindi di questi temi sono un cultore “amatoriale” – e, invitato inspiegabilmente a scrivere queste poche righe a supporto di questo testo, proverò a dirvene alcune.
Prima di tutto credo ci siano molte ragioni che dovrebbero portarci a considerare l’abitare collaborativo come risorsa positiva e di interesse generale per le nostre città e per i nostri territori, meritevole di studio e di impegno e finanche di politiche che lo sostengano.
Un edificio collaborativo può essere una soluzione efficace alle necessità e ai bisogni di chi lo abita, ma può anche essere alimento straordinario per ciò che lo circonda. Una comunità che condivide spazi e servizi è un campo aperto dove coltivare convivenza. Un processo che richiede partecipazione attiva e continua è, inevitabilmente, una palestra di cittadinanza. Un servizio collaborativo (auto)gestito all’interno di uno di questi edifici può essere un ottimo complemento al sistema del welfare di un luogo.
In sintesi, io credo che le comunità collaborative e le architetture che le ospitano siano preziosi incubatori di urbanità.
 Per noi progettisti, poi, c’è un fattore un po’ laterale ma determinante: progettare un edificio capace di ospitare una comunità collaborativa è assai più divertente che progettare un normale condominio urbano.
 Certo, affrontando con serietà e onestà intellettuale il tema dell’abitare collaborativo si aprono anche molte questioni critiche.
La barriera economica di accesso a forme di abitare condiviso rischia di limitare gli aspiranti cohousers a fasce di popolazione forse non particolarmente abbienti, ma certo non popolari. Le comunità elettive che con perseveranza perseguono un obiettivo così complesso e difficile rischiano di consolidarsi fino a forme di esclusività ed elitismo che contraddicono, nei fatti, le aspirazioni iniziali. L’innesto di pratiche collaborative in gruppi di persone non particolarmente indirizzate e vocate può, al contrario, produrre un effetto di rigetto e risultati controproducenti. L’enfasi sull’aspetto comunitario può mal conciliarsi con l’esigenza di mobilità nel tempo e con necessità più spiccate di libertà e differenza.
Eppure ciascuna di queste criticità può essere agevolmente affrontata e risolta, anche e soprattutto se supportati da una metodologia solida ed efficace, fondata su uno studio accorto delle diverse forme, delle dinamiche, delle motivazioni e dei casi più riusciti. Uno studio come quello che HousingLab conduce con serietà ormai da anni, uno studio come quello presente in questo testo.
Oggi, dunque, non vivo in una grande “Casona”, con spazi condivisi e servizi collaborativi, ma – grazie anche a HousingLab e a lavori come questo – il mio modo di vedere, di praticare e di insegnare il progetto di residenza è cambiato irreversibilmente. Forse, tutto sommato, anche quello di abitare.

La rassegna stampa

LaRepubblica.it/Casa&Design, L’arte di vivere insieme
LaStampa.it, Chi ha inventato il cohousing?
Il Venerdì, LaRepubblica
Rai Radio 2, Ovunque 6, “Tutti insieme più o meno appassionatamente“, min. oo:55:00

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