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Ambiente / Opinioni

Il “Piano Colao” si è preoccupato poco del cambiamento climatico

© Tommi Boom- Flickr

Solo una scheda delle 102 tratta di transizione energetica. E riflette il ritardo culturale della classe dirigente. La rubrica a cura del prof. Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 228 — Luglio/Agosto 2020

Su Libero del 27 maggio 2020 il giornalista Filippo Facci ha scritto uno dei tanti sproloqui negazionisti sul clima tipici dei giornali della destra italiana (memorabile il titolo “Il Covid ha ucciso Greta”). Stupito dal fatto che la riduzione delle emissioni legate all’epidemia Covid-19 non abbia prodotto una riduzione dei livelli di CO2 atmosferica, confrontando cifre a caso e citando dati palesemente sbagliati, Facci ne ha dedotto che non possono essere le emissioni umane ad aumentare i livelli di CO2 e quindi l’influenza delle attività umane sul riscaldamento globale sarebbe “poco significativa”.

Al di là delle motivazioni di ordine ideologico o psicologico che portano un giornalista a scrivere tesi in disaccordo con l’intera comunità scientifica del settore, senza sentire la necessità di approfondire, o senza il timore di sembrare ridicolo, alla base dello scritto di Facci c’è una lacuna molto diffusa sul tema del cambiamento climatico, legata alla mancanza di conoscenza su alcuni aspetti basilari del ciclo del carbonio. Il motivo per cui non si è vista una apprezzabile riduzione delle concentrazioni di COnell’atmosfera, nonostante le riduzioni consistenti nelle emissioni di COdovute al fermo di molti trasporti motorizzati e di alcune attività industriali, è perché la CO che viene scaricata in atmosfera vi rimane molto a lungo: metà per più di 30 anni, un terzo più di 100 anni, un quinto per molti millenni.

CO2: l’anidride carbonica che viene scaricata in atmosfera vi rimano molto a lungo: metà per più di 30 anni, un terzo per più di 100 anni, un quinto per molti millenni. Ma non ditelo ai negazionisti del clima

L’accumulo è dovuto non solo al fatto che l’intensità delle emissioni è superiore a quella dei processi di rimozione; il problema è che quello che non viene rimosso rimane molto a lungo nell’atmosfera, e a lungo continua a surriscaldarla. In altre parole, oggi è ancora presente in atmosfera un terzo della CO uscita dai tubi di scappamento delle Ford Modello T (prima auto ad essere prodotta in serie, l’auto guidata da Stanlio e Olio per intenderci), o dalla Topolino amaranto cantata da Paolo Conte (“Oggi la benzina è rincarata/ è l’estate del quarantasei/ un litro vale un chilo d’insalata/ ma chi ci rinuncia?/A piedi chi va?/ L’auto: che comodità”), e ci rimarrà per tanti altri secoli a meno che gli esseri umani non si impegneranno a togliervela. Ridurre le emissioni permette di non aggravare ulteriormente la situazione, ma non è legittimo aspettarsi di vederne l’effetto dopo poche settimane o mesi.

Gli obiettivi drastici di riduzione delle emissioni decisi a livello europeo derivano in fondo da questa conoscenza: non c’è altro tempo da perdere. È probabile che a Libero questo tipo di conoscenza non interessi, pochi se ne stupiranno o si meraviglieranno degli attacchi di Renato Farina, ex agente Betulla, alla politica europea sul clima. Più importante è che una larga parte della classe dirigente italiana queste cose non le sa, o si comporta come se non le sapesse. Un esempio si può avere dal documento “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”, il Piano redatto dal un comitato di esperti diretti dal manager Vittorio Colao, che al di là della retorica di rito ha trattato in modo marginale il tema del cambiamento climatico. Per trovare riferimenti all’European Green Deal e a suoi ambiziosi obiettivi bisogna andare alla scheda numero 30: “Efficienza e transizione energetica e tecnologie energetiche innovative”. Una sola scheda su 102, all’interno del capitolo “Infrastrutture e ambiente”: un simbolo del ritardo culturale della classe dirigente italiana sul tema del cambiamento climatico.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)

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