Petrella: ecco perché lascio l’Acquedotto pugliese
Pubblichiamo integralmente la lettera con cui Riccardo Petrella spiega le ragioni che lo hanno portato a dimettersi dalla presidenza dell’Acquedotto pugliese, incarico che ricopriva da 18 mesi. A Riccardo Petrella ed alla sua scommessa di governare il più grande acquedotto d’Europa, riuscendo a trasformarlo da Società per Azioni a Agenzia dell’acqua bene comune, avevamo dedicato un’intervista nell’ottobre del 2005 su Altreconomia.
Appena eletto governatore della Regione Puglia (aprile 2005), Nichi Vendola mi propose di assumere la presidenza dell’Acquedotto pugliese (Aqp). Fu una decisione che sorprese tutti quanti, me compreso che ero lungi dall’immaginare in quel di Bruxelles che un giorno avrei accettato di essere presidente della principale impresa “pubblica” della Puglia, la regione da cui mio padre aveva emigrato nel 1923 all’età di 17 anni per andare a La Spezia ed arruolarsi nella Marina militare come musicante. Questo dato emotivo, di natura personale, ha verosimilmente pesato sulla mia decisione di accettare l’incarico. Questo cesserà formalmente il 21 dicembre 2006.
di Riccardo Petrella, ex-presidente dell’Aqp
Come si dice banalmente ma giustamente, tutte le cose belle – e anche brutte, fortunatamente – hanno una fine. La presidenza dell’Acquedotto pugliese, per la motivazione principale soggiacente – partecipare alla ripubblicizzazione dell’acqua in Puglia – era una bella cosa, una grande sfida politica, sociale ed umana.
E come tale fu percepita e valutata dalla stragrande maggioranza dei “militanti per l’acqua pubblica”, in Italia ed altrove, anche fra coloro che guardavano con timore al pericolo di strumentalizzazione politica della nomina, sia da parte del nuovo presidente che da parte del partito Rifondazione comunista. Di conseguenza, grandi furono anche le attese e le speranze suscitate, per non parlare delle mie proprie speranze. In proposito, rinvio alla lettera aperta, pubblicata da Carta, che scrissi ai “militanti” per illustrare le ragioni per cui accettai l’incarico.
Non dico che la cosa, diciotto mesi dopo, sia diventata una brutta cosa, ma è vero e corretto dire che non ha mantenuto le promesse. Nel contesto italiano, la ripubblicizzazione dell’acqua significava, e significa ancora oggi, una serie di scelte precise sul piano politico, sociale, istituzionale, economico, gestionale. Significava, e significa, una cultura politica e delle pratiche socio-economiche in materia d’acqua diverse da quelle che sono proprie ad un contesto di privatizzazione dell’acqua.
Ri-pubblicizzare significa anzitutto, come ben affermato nel Programma dell’Unione, che non solo la proprietà delle infrastrutture e delle reti deve essere pubblica ma lo deve essere anche la gestione dei servizi idrici (con i quali si deve intendere acqua potabile, servizi igienico-sanitari, depurazione delle acque reflue, l’acqua per la sicurezza dell’esistenza collettiva: per l’agricoltura, per l’energia…). Alla base di questa scelta politica sta il principio del riconoscimento dell’acqua come bene comune e non come merce (fosse anche differente dalle altre merci). Pertanto, se la gestione è stata affidata ad un soggetto di natura giuridica privata, quale una Società per azioni (S.p.A.), come è il caso dell’Acquedotto pugliese, ripubblicizzare implica dare la gestione dell’acqua ad un soggetto di natura giuridica pubblica.
Non sono riuscito, in diciotto mesi, a far accettare dalla Regione Puglia, che é il socio esclusivo (insieme alla Regione Basilicata) del capitale dell’Aqp e che esercita de jure e de facto un “potere” d’intervento forte sull’Acquedotto, l’idea di costituire un gruppo di lavoro incaricato di esaminare e proporre delle soluzioni.
L’abbandono dello statuto di S.p.A. non é stato considerato un atto prioritario e di attualità. L’argomento addotto sistematicamente é stato quello di sostenere che l’atto prioritario significativo di una effettiva ripubblicizzazione era anzitutto quello di far funzionare bene l’Acquedotto lottando contro le perdite. Non ho mai capito in proposito perché la ripubblicizzazione in termini istituzionali deve essere considerata incompatibile o inibitoria rispetto all’obiettivo, necessario ed urgente, del risanamento operativo dell’Acquedotto.
Collegata alla questione del cambio statutario, v’é quella dell’adesione dell’AQP a Federutility (Federgasacqua), la federazione di categoria. La mia richiesta di una messa in questione dell’appartenenza associativa dell’Acquedotto a Federutility, la quale è stata all’avanguardia della spinta a favore della liberalizzazione e della privatizzazione dei servizi pubblici locali, é stata ignorata. A tutt’oggi, l’Acquedotto pugliese è tra i principali contribuenti finanziari della Federutility. Sono stato pertanto obbligato a dar vita, con altri dirigenti di imprese di gestione dell’acqua sostenitori della ripubblicizzazione, all’associazione chiamata “AcquaPubblica” che, spero, riuscirà a far valere le scelte pubbliche presso il governo Prodi.
Ri-pubblicizzare l’acqua significa, in secondo luogo, adottare le misure pratiche che concretizzino “la gratuità” del diritto all’acqua per tutti, cioè la presa a carico da parte della collettività attraverso la fiscalità generale (come è il caso, giustamente, per il costo dell’esercito) dei 50 litri pro-capite al giorno. La legislazione attuale non lo consente. La soluzione provvisoria da me proposta, consistente nel creare in Puglia un Fondo Sociale per il diritto all’acqua che avrebbe permesso, di fatto, di accordare “gratuitamente” i 50 litri, è stata rigettata senza alcun dibattito.
Ri-pubbliczzzare l’acqua significa, in terzo luogo, una politica dell’acqua centrata su un governo pubblico degli usi e sul risparmio, e non solo sulla politica degli investimenti per l’aumento di un’offerta economicamente “razionale” e l’ammodernamento ed espansione delle grandi infrastrutture, delle grandi opere.
Infondere questa nuova centralità nell’attuazione delle priorità definite dalla precedente giunta regionale nel piano triennale d’investimenti 2003-5 (poi 2004-6) non é stato possibile, per l’indisponibilità “culturale” dell’istituzione regionale. Il Piano “Goccia d’oro” da me proposto (ordinato su tre assi: riduzione delle perdite, priorità al risparmio, partecipazione) per quanto accolto con favore dall’AATO e dalla Autorità di Bacino, non ha superato l’esame discreto dell’ufficio presidenziale regionale.
In quarto luogo, ri-pubblicizzare implica una scelta innovatrice forte: lo scollamento progressivo del finanziamento del servizio idrico dalla dipendenza dai mercati di capitale nazionale ed internazionale privati. Attualmente, i comuni, le province, le regioni non hanno più la possibilità di ricorrere a meccanismi di finanziamento pubblico per bisogni non copribili grazie ai trasferimenti di risorse da parte dello Stato centrale.
L’Acquedotto pugliese non ha fatto eccezione.
L’ultimo indebitamento sui mercati finanziari internazionali é un prestito obbligazionario del 2004.per 250 milioni di euro. Per diversi motivi, questo prestito poteva prestarsi a promuovere una riflessione sulla ricerca sperimentale di nuovi meccanismi interamente pubblici di finanziamento regionale e nazionale dei servizi pubblici “locali”, in alternativa alla tendenza oggi prevalente in favore di un capitalismo municipale ed interregionale finanziario multiutilities. Niente da fare. L’Acquedotto pugliese non rischia di diventare, per il momento, il luogo d’innovazione di una “finanza pubblica” per “l’acqua pubblica”, innovazione auspicata nelle risoluzioni conclusive del 1° Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua a Firenze del 2003.
Non rischia, altresì, di operare come luogo d’ispirazione e di attuazione di una cultura pubblica dell’acqua come bene comune. Lungi dal diventare il luogo, aperto su tutto il Mediterraneo, di un’Accademia Internazionale dell’Acqua Bene Comune, secondo i termini usati e proposti dallo stesso presidente della Regione al momento di rendere pubblica la mia nomina all’Aqp, il consiglio di amministrazione dell’Aqp ha chiuso la pur modesta fase sperimentale della Facoltà dell’Acqua dell’Università del Bene Comune perché giudicata “esogena all’oggetto sociale dell’Aqp S.p.A.”.
Infine ri-pubblicizzare significava e significa un governo dell’acqua partecipato dei cittadini, che deve tradursi, se si vuole uscire dalle enunciazioni retoriche, anche in una gestione trasparente ed innovatrice dell’azienda. L’unica cosa che sono riuscito ad ottenere è che nei documenti ufficiali dell’Aqp non si parli più di clienti ma di cittadini, perlomeno di utenti.
Sono riuscito altresì a bloccare la riconduzione di una Carta dei servizi che non rispondeva alla visione “pubblica” per la quale ero stato nominato. Per il resto, nessuna novità. Non si è mai discusso di consulta dei cittadini, di coinvolgimento dei cittadini. La gestione interna dell’Acquedotto resta orientata da una cultura autoritaria e da pratiche tecnocratiche che non hanno trovato nella Regione alcuna reale opposizione, almeno per quanto abbia potuto constatare personalmente.
All’inizio, si era ricreato un clima di lavoro e di pensiero più “socievole”, più “umano”, per rispondere anche ad una richiesta diffusa in seno al personale dell’Aqp ed esplicitamente formulata nei primi incontri avuti con tutto il personale:“Desideriamo essere trattati come delle persone umane”. Poi, il clima si é nuovamente deteriorato fino al recente licenziamento brutale ed ingiustificato, dopo dodici anni di servizio irreprensibile, per quanto io sia stato messo al corrente, di un alto e stimato dirigente dell’acquedotto.
[pagebreak] Quanto sopra non mira ad identificare colpe e colpevoli (serve a poco), né a focalizzarsi sul passato. A mio parere le ragioni di fondo che hanno permesso che i “fatti” riportati accadessero, sono da imputare: a) alla “tirannia dei rapporti di potere” tra i partiti della maggioranza regionale. Le componenti principali d di questa maggioranza non hanno mai cessato di affermare la loro preferenza in favore di una concezione privatista efficientista, aperta al capitale finanziario privato ed alla concorrenza sui mercati nazionali, europei e internazionali secondo il modello Hera ed Acea;
b) alle “logiche di opportunismo pragmatico” che prevalgono allorché anche le forze progressiste conquistano il potere. Per tanti motivi che paiono sovente “obiettivamente” ovvii nell’esercizio del potere, queste forze hanno accettato di considerare l’acqua, malgrado tutto, come un bene economico nel senso e nel quadro imperante dell’economia capitalista di mercato. Pertanto hanno accettato di trattarla come proprietà “regionale” e, quindi, oggetto di negoziati di scambio mercantile bilaterale.
Fra le tante cose che meritano da parte delle forze al governo un esame attento e rigoroso è il fatto che i dirigenti delle regioni del meridione hanno aderito all’idea di negoziare sulla quantità d’acqua che ogni regione può ed è disposta a trasferire alle altre regioni mediamente il pagamento di un prezzo dell’acqua grezza. Se questa “gestione mercantile” dell’acqua non è abbandonata al più presto possibile, ho paura che la guerra dell’acqua scoppierà in Italia.
Per questo, l’iniziativa degli Stati generali dell’acqua delle regioni meridionali si è arenata, per il momento, perché “irrealista”, se si vuole diversa dall’approccio fondato sui negoziati regionali bilaterali mercantili;
c) alle grandi difficoltà obiettive incontrate in ragione dello spappolamento operativo in cui si è trovato l’Aqp S.p.A. negli ultimi anni. È certo che non è in un paio di anni che si riesce a cambiare quel che è stato ed è ancora l’Acquedotto pugliese nella vita e nell’economia della Puglia;
d) al peso d un certo personalismo presidenziale, per molti versi giustificato, meritato e comprensibile, ma che richiede alcune correzione;
e) e, last but not least, ai miei propri limiti, agli inevitabili errori di giudizio commessi, alle eventuali debolezze di tenacia e accanimento. Non ho dato, per esempio, l’importanza necessaria alla creazione di un equipe “presidenziale” capace di meglio conoscere il funzionamento interno all’Acquedotto ed assicurare i necessari legami quotidiani con l’istituzione regionale in tutte le sue componenti determinanti. Ho peccato, in un certo senso, di ingenuità e di eccessiva fiducia negli altri, anche se mi domando come avrei potuto fare altrimenti tenuto conto delle condizioni particolari in cui sono stato nominato.
La comprensione delle ragioni è indispensabile per ri-progettare le azioni per il futuro e tentare di contribuire al perseguimento della lotta per la ripubbliciqzzazione dell’acqua in Italia ed altrove. Per questo parteciperò attivamente, con più tempo ed energia disponibili, alla campagna per l’approvazione del disegno di legge d’iniziativa popolare per l’acqua che partirà formalmente a giorni, cosi come alla preparazione e tenuta dell’Assemblea Mondiale degli Eletti e dei Cittadini per l’Acqua (AMECE) che si terrà a Bruxelles dal 18 al 20 marzo 2007 nei locali del Parlamento Europeo.
Ancor più che nel passato, penso che sia necessario valorizzare la formazione e l’educazione ai Beni Comuni concentrando gli sforzi maggiori sull’Università dei Beni Comuni, in particolare “iniziativa res publica”, Facoltà della Mondialità, Facoltà dell’Alterità e Facoltà dell’Acqua.