Ambiente
Perché si fa una guerra
Eni conquista il petrolio iracheno. “L’Eni ce l’ha fatta”, titola Il Sole-24 Ore del 14 ottobre: l’azienda italiana si è aggiudicata la licenza per lo sfruttamento del giacimento di Zubair, nel Sud-Est del Paese sconvolto da una guerra iniziata il…
Eni conquista il petrolio iracheno. “L’Eni ce l’ha fatta”, titola Il Sole-24 Ore del 14 ottobre: l’azienda italiana si è aggiudicata la licenza per lo sfruttamento del giacimento di Zubair, nel Sud-Est del Paese sconvolto da una guerra iniziata il 20 marzo del 2003. Il contratto è stato firmato da un consorzio, di cui fanno parte anche l’americana Occidental Petroleum Corporation, la Korea Gas Corporation (Eni che detiene una partecipazione del 40%). Il giacimento attualmente non ha una produttività altissima (195 mila barili al giorno), ma Eni, con un intervento da 10 miliardi di euro e la perforazione di 200 nuovi pozzi, ha in progetto di portare la produzione giornaliera a superare il milione di barili in 7 anni.
Nel piani del consorzio, il sito di Zubair diventerà uno dei più produttivi in tutto l’Iraq, insieme a quello di Rumalia (sfruttato dal consorzio britannico-cinese Bp-Cnooc), che a regime produrrà 1, 75 milioni di barili al giorno.
Per incrementare la produzione giornaliera a Zubair il governo iracheno pagherà al consorzio di cui fa parte Eni 2 dollari per ogni barile aggiuntivo: a giugno il consorzio ne aveva chiesti 4,80, ma la richiesta era stata giudicata troppo esosa e Baghdad aveva bloccato le contrattazioni.
Allo sfruttamento, che per contratto durerà 20 anni (con la possibilità di essere esteso per altri 5 anni), parteciperà anche la compagnia petrolifera statale irachena, la Southern Oil Company, con cui Eni aveva già firmato il Production Sharing Agreement nel 1997.
La società fondata da Enrico Mattei, e ancora oggi controllata dal ministero dell’Economia, è arrivata in Iraq alla fine degli anni Novanta, con la firma di un accordo per lo sfruttamento, insieme alla spagnola Repsol, del sito petrolifero di Nassirya, dove nel corso della guerra in corso, il 12 novembre 2003, sono stati uccisi con un attentato 19 militari italiani.
E dopo il contratto iracheno, un’altra notizia di metà ottobre fa volare il titolo della compagnia petrolifera oltre i 18 euro, ai massimi di Borsa per il 2009: nel Golfo del Venezuela, Eni “ha effettuato una scoperta di idrocarburi di rilevanza mondiale nell’offshore venezuelano”. Il giacimento -spiega in un comunicato l’azienda di San Donato Milanese- “potrebbe contenere una quantità di gas superiore ai 160 miliardi di metri cubi (pari a 1 miliardo di barili di petrolio equivalente) precedentemente stimati”. Perla, così si chiama il giacimento, è la più grande scoperta di gas in Venezuala. Eni vi lavora in consorzio paritetico con Repsol, ma la compagnia di Stato venezuelana Pdvsa ha il diritto di entrare nella joint venture con il 35%, lasciando le due multinazionali al 32,5% ciascuna.
La strategia di espansione di Eni non passa solo per l’Iraq e il Venezuala. Il “cane a sei zampe” è, ad esempio, la prima compagnia straniera in Africa: è in Libia, dov’è arrivata nel 1959, ha recentemente firmato accordi con Gheddafi per rimanere fino al 2047; è in Congo, dove Eni sta valutando la possibilità di estrarre il greggio dalle sabbie bituminose, senza alcuna considerazione per l’impatto sull’ambiente e le popolazioni locali.