Ambiente / Opinioni
Perché “emissioni nette zero” non sia un bluff
Dal Green Deal europeo a Joe Biden, la neutralità climatica va raggiunta al 2050. Occorrono però piani ambiziosi, non si può improvvisare. La rubrica a cura di Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano
Ormai ne parlano tutti: emissioni nette zero. Oppure: neutralità carbonica, neutralità climatica. È la nuova frontiera degli impegni sul clima. Dopo gli impegni al 2020 e quelli al 2030, ora si parla del 2050. L’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero nel 2050 è congruente con l’Accordo di Parigi. Se si vuole limitare l’aumento delle temperature globali “ben al di sotto di +2°C” (rispetto al periodo pre-industriale), è necessario ridurre a zero l’incremento dell’effetto serra dovuto a gas climalteranti circa alla metà del XXI secolo.
Le emissioni non potranno essere completamente azzerate perché in alcuni settori (come le attività agricole) raggiungere zero emissioni di gas serra è impossibile. Quindi l’idea è che siano pari a zero le emissioni nette, bilancio fra emissioni positive e negative. Quindi ridurre il più possibile (ad esempio del 90%) e compensare le emissioni residue con una corrispondente quota di “emissioni negative”, ottenibile rimuovendo CO2 dall’atmosfera con le tecnologie chiamate CDR (Carbon Dioxide Removal). Quelle considerate nel Rapporto Speciale IPCC su 1.5 gradi di riscaldamento globale sono afforestazione e riforestazione, sequestro del carbonio nel suolo, biochar, bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio, cattura diretta dell’aria di CO2 e stoccaggio, alcalinizzazione degli oceani, dilavamento accelerato delle rocce.
0: emissioni nette zero di gas climalteranti è la nuova parola d’ordine degli impegni sul clima
Un altro modo per raggiungere emissioni nette zero può essere compensare parte delle emissioni residue con “crediti” derivanti da riduzione delle emissioni o rimozioni di CO2 fatte in altri progetti. In questo momento il mercato dei crediti del carbonio è però in stallo, in attesa della definizione (nella COP26 di Glasgow) del nuovo sistema di crediti previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Quindi la compensazione con i crediti non è molto percorribile (e vedremo un’altra volta quanto lo sarà in futuro o quali saranno i problemi nell’uso delle compensazioni).
L’obiettivo della neutralità climatica, ossia emissioni nette zero, è stato delineato dall’Unione europea nella “2050 Long-term strategy” presentata dalla Commissione europea nel novembre 2018. È stato poi ribadito nell’European Green Deal e nella Climate Law che sta completando il suo iter a livello comunitario. È altresì un obiettivo presente nella piattaforma sul clima del presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden. Idem per Giappone e Corea del Sud. Il primo ministro cinese Xi Jinping ha invece annunciato l’impegno della Cina alla neutralità carbonica entro il 2060. Impegni ad emissioni nette zero entro metà secolo sono stati dichiarati da più di 800 città di tutti continenti, e più di 100 regioni. Amministrazioni locali che rappresentano più di 846 milioni di persone. Più di 1.500 aziende, con fatturato complessivo di oltre 11mila miliardi di dollari, hanno assunto un analogo impegno. Il numero di impegni a zero netto è quasi raddoppiato in meno di un anno. “Race To Zero” è il nome della campagna globale lanciata dall’Unfccc, la Convenzione Onu sul clima.
C’è da chiedersi quanti dei sottoscrittori dell’impegno a emissioni nette zero abbiano chiaro cosa significhi realmente. Non è certo escluso che per molti un impegno al 2050 sia un modo per rinviare impegni veri nel breve periodo, la strategia Nimtoo (Not in my term of office), nota anche come sindrome Nimey (Not in my election year). Ma non è difficile capire chi sta vendendo fumo: se si prende seriamente, al di là della futura possibilità di effettuare rimozioni di CO2 o compensazioni tramite crediti, un obiettivo emissioni nette zero è incompatibile col “business as usual” o con azioni timide. Richiede di delineare, una strategia ambiziosa di riduzione delle emissioni di CO2, perché il 2050 è fra trent’anni e la rottamazione di un intero sistema energetico (di questo stiamo parlando) in così poco tempo non si improvvisa.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)
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