Cultura e scienza / Attualità
Le conseguenze delle parole. Appunti per una comunicazione non ostile
Intervista a Fabiana Martini, giornalista e collaboratrice di Parole O_Stili, a due anni dall’uscita del “Manifesto della comunicazione non ostile”. Una riflessione sulla violenza verbale, nel mondo reale così come in Rete. Perché “virtuale è reale”
“Le parole hanno un potere grande: danno forma al pensiero, trasmettono conoscenza, aiutano a cooperare, costruiscono visioni, incantano, guariscono e fanno innamorare. Ma le parole possono anche ferire, offendere, calunniare, ingannare, distruggere, emarginare”. Con la volontà di dare il giusto peso alle parole, nel 2017 è nata a Trieste l’associazione “Parole O_Stili”, un progetto di sensibilizzazione per imparare a usare le parole consapevolmente, nel mondo reale e in Rete.
Il “Manifesto della comunicazione non ostile” compie due anni in questi giorni: un’occasione per tornare a riflettere sulla violenza verbale e sui modi per arginarla. “La sensibilizzazione e la presa di coscienza delle persone richiedono tempi lunghi: si tratta un processo che dev’essere accompagnato con costanza”, riflette con Altreconomia Fabiana Martini, giornalista triestina e curatrice delle schede didattiche di Parole O_Stili.
Dott.ssa Martini, la progressiva diffusione del “Manifesto” ha coinvolto nel tempo ambiti molto diversi tra loro. Ma il primo passo lo avete fatto con le scuole. Com’è andata?
FM Abbiamo iniziato siglando una convenzione con il ministero dell’Istruzione, che ha consentito di portare il Manifesto in tutte le scuole. Ma il lavoro sulla violenza verbale a scuola è proseguito grazie al coinvolgimento degli insegnanti in prima persona: sono stati loro ad aiutarci a realizzare le schede didattiche per la diffusione del Manifesto nelle classi. L’obiettivo è quello di far riflettere i giovani sui dieci principi del Manifesto e trasportarli nella vita quotidiana. È un processo che continua ancora: oggi le schede sono centinaia e lo scorso novembre, a Bari, abbiamo promosso la seconda edizione -dopo quella di febbraio, a Milano- di “Parole a scuola”, con l’obiettivo di fornire agli insegnanti gli strumenti utili a educare a una cittadinanza digitale. Un altro tassello fondamentale è la collaborazione con le scuole dell’infanzia, perché pensiamo che sia molto utile iniziare la sensibilizzazione con i più piccoli, per avere maggiori possibilità di raggiungere gli obiettivi. E il lavoro con i giovani ci consente di entrare in contatto anche con i genitori.
Uno dei punti di forza del “Manifesto della comunicazione non ostile”, oltre alla declinazione nei diversi ambiti della vita quotidiana (la scuola, lo sport e la politica, per esempio), è la sua diffusione trasversale.
FM Enti locali, associazioni, testate giornalistiche, diocesi… in tanti hanno dato un contributo alla diffusione del Manifesto. Un sostegno che sta continuando in modo capillare attraverso il Paese. Eppure, capita ancora di incontrare chi non ne ha sentito parlare: è in questi momenti che ci ricordiamo che il lavoro da fare è ancora tanto. La violenza verbale resta comunque un tema che le comunità locali sentono di dover affrontare con urgenza, poiché tutti viviamo le sue conseguenze sociali. E se in due anni le cose non sono così tanto migliorate su scala globale, è pur vero che sta crescendo una consapevolezza locale diffusa sul fatto che le parole non sono mai neutre, ma hanno delle conseguenze di cui siamo responsabili.
Un’attenzione l’avete rivolta anche alle aziende. Com’è nata questa collaborazione che coinvolge anche delle note multinazionali?
FM Nella maggior parte dei casi sono state le aziende a cercare noi, magari a partire dalla curiosità o dalle conoscenze di una o un dipendente. Da parte nostra, abbiamo messo a disposizione la formazione del personale, organizzando numerosi corsi di aggiornamento sulla violenza verbale e la comunicazione non ostile. La collaborazione con ditte così grosse ci sta aiutando a diffondere il progetto a un pubblico ampio: fin dall’inizio volevamo evitare di rivolgerci a un target preciso o a una categoria ristretta, per essere invece il più trasversali possibile. Anche per questo in fase di stesura del Manifesto abbiamo scelto una scrittura “pop”, comprensibile a tutti. Troppo spesso, infatti, ciascuno parla il suo linguaggio che ad altri gruppi risulta inavvicinabile. E abbiamo messo una grande cura nel costruire un’intelligenza collettiva, che coinvolgesse molte persone diverse tra loro e differenti professionalità.
La declinazione “sportiva” del vostro Manifesto è una delle ultime iniziative che avete diffuso.
FM La violenza di una parte del mondo sportivo è sotto gli occhi di tutti ed è diffusa fin dai settori giovanili. Per questo ci sembrava necessaria una declinazione del Manifesto capace di educare a un linguaggio non ostile nel tifo e nella comunicazione sportiva. L’abbiamo fatto grazie al patrocinio del Coni, in dialogo con i vertici della FICG (la Federazione Italiana Giuoco Calcio, ndr) e con il contributo di oltre 100 atleti, club, squadre e comunicatori legati al mondo dello sport. A partire dalla riflessione sulla violenza nello sport e da un evento come la Coppa dei Campioni d’Europa (UEFA), abbiamo potuto approfondire anche altri temi: l’Italia, per esempio, ovvero il senso di appartenenza -positivo e includente- a una comunità; o l’Europa, ripercorrendone la storia e rinnovando lo spirito con cui è stata fondata, che è il concetto dell’unità nella diversità.
A quali parole suggerisce di dare peso, oggi?
FM Parole plurali. “Ponti”, un’alternativa in questo momento in cui si tende ricostruire i muri che avevamo faticosamente abbattuto. Vanno attraversati per consentire di far incontrare nuovamente le alterità. “Alleanze”, perché tendiamo sempre troppo a rinchiuderci nell’autoreferenzialità. Credo nelle parole di don Luigi Ciotti quando dice che è il “noi” a vincere, il coinvolgimento di tutte le persone come protagoniste. E “arcobaleni”, per avere la capacità di alzare lo sguardo dal nostro ombelico. “Non troverai mai arcobaleni se guardi in basso”, diceva Charlie Chaplin. È un messaggio di speranza, per cercare di riprendere idealità: una parola che dedico ai più giovani.
Dal 31 maggio al 1° giugno, a Trieste, si svolgerà la terza edizione della manifestazione “Parole O_Stili”. Il tema sarà “Virtuale è reale”; il programma presto su paroleostili.com.
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