Economia / Opinioni
La pandemia impone una nuova integrazione europea. Guardando avanti
Non bastano le politiche nazionali per affrontare lo smottamento planetario. Occorre una politica monetaria comune. La rubrica “Il dizionario economico dell’ignoto” di Alessandro Volpi
Affrontare il tema dell’indebitamento pubblico nel caso italiano, senza prendere in considerazione qualche riferimento storico, rischia di essere particolarmente insidioso date le peculiarità passate e attuali che tale fenomeno ha manifestato e manifesta nel nostro Paese. Una constatazione analoga, in merito alla necessità dei richiami storici, è possibile per l’appartenenza europea. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, il rapporto tra debito pubblico e Pil arriverà in Italia nel 2020 a quasi il 167% o forse persino a percentuali più alte. Si tratta di un record assoluto; in precedenza nella storia italiana, dopo l’unità, tale rapporto ha raggiunto il 160% solo nel 1920 considerando debito interno e debito estero, rappresentato dall’ingente mole dei debiti di guerra. Il superamento di un simile picco è avvenuto in maniera rapida nel 1926 con il ritorno al 50% per effetto della cancellazione, da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, dei debiti italiani e per la forte svalutazione della lira nel periodo 1919-1925 che gonfiò il Pil nominale e ridusse il debito. In altre parole, il “riequilibrio” è avvenuto per una decisione esterna e per una feroce perdita di potere d’acquisto degli italiani che condusse Mussolini a Quota Novanta nei confronti della sterlina e a un’altrettanto artificiale difesa del cambio -tutta politica in nome del prestigio nazionale- tenuto a livelli troppo alti tanto da gelare l’economia italiana più ancora degli effetti della crisi del 1929.
Oggi il definirsi del rapporto debito-Pil al 167% sta avvenendo in una condizione di inflazione inesistente e, dunque, è molto pesante ma è stato reso sostenibile dalla denominazione dello stesso debito in euro e dagli acquisti guidati dalla Bce. In questo senso è possibile una prima considerazione: la sostenibilità e il rientro da un debito colossale non sono praticabili, quantomeno nel caso italiano, con le sole politiche nazionali e il ricorso al binomio svalutazione-inflazione ha già dimostrato storicamente tutti i suoi limiti proprio quando è servito a rendere meno insostenibile il debito.
167%: il rapporto tra debito pubblico e Pil in Italia nel 2020 secondo le stime del Fondo monetario internazionale
Le già ricordate stime del Fondo monetario internazionale indicano poi che il crollo della produzione di reddito in Italia, in Spagna, in Francia e in Gran Bretagna oscillerà fra l’11 e il 13% mentre in Germania si dovrebbe fermare all’8%; una distruzione di valore gigantesca che si colloca all’interno di un vero e proprio smottamento planetario dove la perdita sarà pari a oltre 12mila miliardi di dollari in un solo anno. In pratica è come se fosse sparita un’economia delle dimensioni di quella cinese. Di fronte a queste cifre è possibile una seconda considerazione legata alla prima: una recessione come quella scatenata dalla pandemia, che ha amplificato le difficoltà ancora ben presenti delle crisi del 2008 e del 2011, non può essere superata veramente senza una modificazione negli assetti istituzionali almeno di alcune parti del Pianeta.
Nel caso dell’Europa occorre non ripetere gli errori del passato, quando si sono costantemente cercate mediazioni in chiave nazionale, o peggio nazionalistica, e avviare rapidamente la costruzione di una Unione che possa avere in comune non solo la politica monetaria, ambientale e tariffaria, ma anche quella fiscale, quella sociale, con ammortizzatori e salari minimi comuni, e, ora più che mai, quella sanitaria. La storia dell’integrazione europea è stata troppo spesso un continuo guardare al passato, alle radici, alle origini e alle fedi comuni, necessariamente di matrice statuale, ora il cambiamento radicale degli scenari impone di guardare avanti.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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