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Opinioni

Oltre il debito

La storia insegna che un indebitamento come quello raggiunto dall’Eurozona non può essere ripagato. Solo dopo averne preso atto, potremo dedicarci a costruire un’altra società

Tratto da Altreconomia 141 — Settembre 2012

Per secoli e secoli, imperatori, re, duchi e principi, papi e vescovi hanno fatto ricorso al debito per finanziare spese impreviste o non procrastinabili. È questo il “debito sovrano”, cioè il debito di chi ha il potere politico, in un determinato territorio, di battere moneta. La storia ci insegna che la causa prima dell’esplosione, o forte incremento, del debito sovrano sono state le guerre. Come ha ampiamente dimostrato Adam Smith e poi Vilfredo Pareto, i sovrani hanno fatto massicciamente ricorso  al debito per affrontare guerre impegnative. È successo durante l’impero romano, e successivamente nel Medio Evo, ma è con la nascita dello Stato moderno che il ricorso all’indebitamento è diventato una costante. Come scrive Adam Smith: “Una volta che i debiti siano stati accumulati fino ad un certo livello, credo che non ci sia forse un solo esempio in cui essi siano stati regolarmente e completamente pagati”.Pertanto, la storia ci insegna due cose fondamentali, che oggi abbiamo dimenticato: i debiti sovrani sono stati spesso causati dalle guerre; i debiti sovrani non sono stati mai pagati quando hanno raggiunto una certa soglia. 
Il potere politico ha risolto, diversamente il problema del peso del debito sovrano. 
Durante le guerre puniche, di Roma contro Cartagine, ad esempio, il governo romano modificò il valore reale delle monete, d’oro o d’argento, mantenendo il valore nominale. Una pratica molto semplice e molto efficace: si ritiravano con un editto le monete di un certo calibro in circolazione, e se ne emettevano di nuove, con lo stesso valore nominale, ma con un peso -e quindi un valore- nettamente inferiore.
In altri casi ancora il debito sovrano fu cancellato con un atto di forza. Ad esempio, con Edoardo III° d’Inghilterra, che nel 1340, dopo una serie di sconfitte militari, dichiarò di non potere più pagare i creditori (dichiarazione di default) e portò alla rovina i banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi, che gli avevano prestato 1,5 milioni di fiorini, circa duemila chili d’oro. Non diversamente, due secoli dopo i banchieri genovesi furono fatti fallire dall’insolvenza della monarchia spagnola, impegnata in una disastrosa guerra nelle Fiandre.
Sia attraverso l’uso massiccio della manipolazione/falsificazione della moneta, sia attraverso diktat, ovvero azioni di forza, il debito sovrano è stato “ristrutturato”, o semplicemente cancellato. Tutti gli esempi ci dicono una sola cosa:  il rapporto tra creditori e debitori è un rapporto di forza, prima che essere un contratto tra le parti. Per secoli il potere politico-militare è stato più forte di qualunque banca privata o operatore finanziario. Oggi, la situazione si è rovesciata: sono le grandi banche, i fondi speculativi che dettano legge agli Stati nazionali, ed anche alle istituzioni internazionali. 
Possiamo dire che quando il debito sovrano ha un creditore esterno, e questo è avvenuto con la nascita del sistema bancario e con il modo di produzione capitalistico, ci sono stati molti casi di cancellazione unilaterale. Il caso Argentina del 2001, cioè, fa parte di una lunga storia. La storia dei debiti sovrani e dei “default serial killer” è davvero lunga e sorprendente.
Basti pensare che nel periodo 1300-1800 la Francia è andata in default “esterno” 8 volte, la Spagna 6, l’Inghilterra due volte. A partire dal XIX° secolo molti Paesi di diversi continenti hanno passato lunghi periodi in default o ristrutturazione del debito. Per l’Europa il record è rappresentato dalla Grecia con 5 default e il 50% degli anni, seguita dall’Ungheria con 7 default e il 37% degli anni, dalla Spagna con 13 default e il 23% degli anni. In America Latina, il Venezuela è il Paese che ha fatto registrare il maggior numero di default (10), mentre l’Honduras è il Paese che ha passato il maggior numero di anni dall’indipendenza in stato di default (il 67%); in Africa il primo posto spetta alla Nigeria con 5 default, mentre in Angola è default il 69% del periodo che va dall’indipendenza (1975) a oggi
Ma la crisi finanziaria scoppiata nell’estate del 2007 con il crac dei mutui subprime negli Usa, e successivamente arrivata nell’Eurozona, non è una crisi finanziaria come le precedenti. Innanzitutto, per il rapporto tra massa monetaria a fini speculativi ed economia reale. In vent’anni, i soli “derivati finanziari” -strumento di speculazione finanziaria per antonomasia- sono passati da 30.000 a 670mila miliardi di dollari, mentre il Pil mondiale è passato da 32.000 a 67.000 miliardi. Questa sproporzione crescente produce delle “oscillazioni giganti” nell’andamento delle Borse ,che a sua volta alimentano ulteriori speculazioni finanziarie. I fondi speculativi sono come i gabbiani: godono e si riproducono quando il mare è agitato.
In secondo luogo, questa crisi finanziaria ha mostrato chiaramente che il potere politico è succube del potere finanziario, come mai era avvenuto prima nella storia dell’umanità. Ed è questa la causa profonda della crisi della politica e della stessa democrazia.  
I debiti sovrani sono diventati debiti usurai, perché il debitore è sottoposto totalmente al ricatto del creditore. Aver definito il debito pubblico dei Piigs (Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna) un debito sovrano è stata una raffinata operazione di depistaggio, che non ci permette di fare chiarezza sui reali rapporti di forza. Solo il debito pubblico giapponese, per altro al 220% del Pil, si può definire ancora un debito sovrano, perché detenuto in gran parte dai cittadini giapponesi e non dai fondi speculativi statunitensi.  
Ma la domanda che assilla i cittadini europei, e a cui finora non è stata data nessuna risposta convincente, è come se ne esce. La prima mossa non può che essere di natura e visione politica:  mettere intorno a un tavolo i cosidetti Piigs, i Paesi del Sud Europa più l’Irlanda, e stabilire una linea comune da negoziare con Bruxelles.   Vale a dire: uscire dal caso per caso e convincersi che nessun Paese si salva da solo. Obiettivo prioritario è la ristrutturazione del debito pubblico. Finora questo obiettivo è stato realizzato parzialmente dalla Grecia, con una decurtazione del 70% di circa 130 miliardi di titoli detenuti da banche europee. 
Lo ripetiamo, guardando alla storia: il debito pubblico dell’Eurozona ha raggiunto una soglia insostenibile, e non può essere pagato. I sacrifici, i tagli del welfare e della qualità della vita in Europa sono assolutamente inutili, oltre che iniqui. E il debito pubblico deve tornare ad essere un “debito sovrano”. 
Una seconda mossa, di grande efficacia, può essere l’introduzione della cosiddetta “Tobin tax” che porterebbe nelle casse di Bruxelles qualcosa come 200 miliardi di euro l’anno (ipotesi minima) con una tassazione di solo lo 0,05%. I movimenti new-global l’hanno posto come obiettivo strategico dai primi Forum sociali mondiali di Porto Alegre, raccogliendo la spinta del movimento Attac, nato in Francia nella metà degli anni ‘90. Per la prima volta questa ipotesi di tassazione delle transazioni speculative “a breve ed allo scoperto” è stata presa in considerazione dai governi di alcuni Paesi europei. Se ne parla da due anni, ma non succede niente. Ferocemente contraria è l’Inghilterra, che ricava il 15% del Pil dalle attività finanziarie della City, e ha paura di una fuga dei capitali dalla piazza londinese, la seconda al mondo.
Tassando i capitali speculativi l’Ue potrebbe aprire una nuova strada che riduca il potere della finanza sull’economia e la società, una condizione oggi assolutamente necessaria per ripensare al nostro modello di sviluppo ed alla nostra stessa civiltà. E l’Europa dovrebbe ripensare al suo ruolo nel mondo, prendendo atto che è finito il tempo della supremazia e del neocolonialismo. Che esistono altre potenze al mondo, e che bisogna ritrovare un ruolo nella nuova divisione internazionale del lavoro. E quindi capire “come e cosa” produrre tenendo conto dei grandi cambiamenti, anche culturali, che si sono registrati negli ultimi decenni, a partire dalla questione ambientale. Proprio su una strategia di riconversione ecologica a 360° l’Ue potrebbe giocare le sue carte migliori, planando dolcemente verso un altro modello sociale dove l’altreconomia, con i suoi valori e le sue pratiche, avrebbe il posto che gli spetta. Solo l’altreconomia consente quel riequilibrio di cui ha urgente bisogno il nostro modello di società. Tra economia reale e finanziaria, nel valore aggiunto che va ai produttori rispetto ai distributori (commercio equo), nel rapporto città-campagna e nel rapporto consumatori/produttori (Gas e fair trade), nel rapporto produzione/ambiente/risorse naturali (risparmio energetico ed energie rinnovabili) e nella mobilità, tra trasporti internazionali/nazionali e trasporti locali (oggi fortemente penalizzati). Una politica di riequilibrio è già partita dal basso, ma  necessita ora di un quadro e di una politica nazionale ed europea all’altezza del compito. È tornato il tempo della politica come arte del possibile, come espressione della capacità umana di inventarsi un futuro migliore per tutti. —

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