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Non violenza scelta precisa – Ae 15

Numero 15, marzo 2001GENOVA – Mancano poco più di 120 giorni al vertice degli 8 grandi Paesi della terra (il cosiddetto G8) che prenderà il via a Genova il prossimo 20 luglio. E in ogni parte d’Italia associazioni, centri sociali…

Tratto da Altreconomia 15 — Febbraio 2001

Numero 15, marzo 2001

GENOVA – Mancano poco più di 120 giorni al vertice degli 8 grandi Paesi della terra (il cosiddetto G8) che prenderà il via a Genova il prossimo 20 luglio. E in ogni parte d’Italia associazioni, centri sociali e organizzazioni non governative si preparano al controvertice. L’epicentro di tutto è però Genova (anche quelli del Forum mondiale sociale di Porto Alegre si sono ridati appuntamento qui).
Sono 3 i principali raggruppamenti che contestano il G8 (o, più correttamente, che contestano l’assetto economico attuale e le strutture politiche internazionale che lo sostengono, Fondo monetario, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio): ci sono la Rete di Lilliput, la Rete contro G8, e l’associazione Ya Basta. Le radici di ognuno ben piantate in quel di Genova (sono loro i motori della protesta) ma ognuno fa riferimento a realtà nazionali e ha imparato a lavorare in rete con realtà simili in molti Paesi d’Europa e del resto del mondo.
Sugli obiettivi e sulle strategie di mobilitazione, Lilliput, Rete contro G8 e Ya Basta hanno idee diverse. Ya Basta -come spiegano Simone e Domenico- si è posto come obiettivo il blocco del vertice (come avvenuto a Seattle -unico luogo dove però il blocco ha davvero avuto successo-, a Praga, a Nizza e altrove). Lo strumento per raggiungere  l’obiettivo è quello della “disobbedienza civile” e della “difesa attiva” delle “tute bianche”; il che significa, in buona sostanza, non portare “nessun mezzo atto ad offendere” ma cercare comunque di bloccare le strade di accesso ai luoghi del vertice e cercare inevitabilmente il contatto-scontro con lo schieramento delle forze di polizia. Ya Basta si è autoproclamata “blocco giallo” e propone una grande manifestazione di tutti ma divisa per “gruppi di affinità” (pacifisti, tute bianche e gruppi più violenti ognuno in un proprio corteo così come era già avvenuto a Praga, cfr AE numero 10).
Di “azione diretta non violenta” parla invece la Rete contro G8. Qualsiasi manifestazione solo culturale e non di azione di delegittimazione contro il G8 non ha futuro -spiega Norma- . Quello che vogliamo sono forti manifestazioni di piazza, anche di boicottaggio, “porre il nostro corpo contro” ma con un’azione veramente non violenta.
La non violenza, la partecipazione e la formazione sono invece le parole d’ordine di Lilliput (vedi box qui a fianco).
Ma la novità di Genova è che questi 3 raggruppamenti si sono ritrovati in un “patto di lavoro” ribattezzato “Genova Social Forum” e stanno faticosamente confrontandosi tra loro.

Ad Alberto Zoratti, del “nodo” genovese di Lilliput, abbiamo chiesto di spiegarci qual è il valore del “patto di lavoro” e che cosa ci si prepara per il prossimo luglio.
Biologo, 30 anni, Alberto è responsabile del settore politico di “Roba dell’altro mondo”, centrale di importazione di prodotti artigianali del commercio equo (oltre che tra i fondatori di AltrEconomia). Nello scorso maggio, con Chiara e con tanti altri, è stato l’anima di Mobilitebio, la rivolta contro la fiera genovese dell’industria degli ogm. Viene dai collettivi universitari, dalla sinistra diffusa, “lo stesso brodo -come dice lui- da cui nascono i centri sociali”. In ogni caso è uno di quelli che credono e costruiscono partecipazione, nella fatica di un confronto multiforme e mai arreso.

Allora Alberto, che speranza c’è di avere a luglio una grande manifestazione comune su basi condivise e non violente?
All’interno del “patto di lavoro” intanto c’è spazio per un confronto, per trovare collegamenti sui contenuti. Questo è più facile con la Rete contro G8 -che è più eterogenea e più simile dal punto di vista genetico a Lilliput- che con Ya Basta, che è strutturata come realtà di forte identità e che questa identità vuole mostrare. Il tavolo quindi c’è, c’è il luogo fisico dove incontrarsi, e c’è un’apertura, come dimostra la loro presenza all’assemblea di Lilliput qui a Genova. Esiste una condivisione, anche se bisogna vedere effettivamente su che cosa. Il ruolo di Lilliput, più che quello di cercare una convergenza diretta con Ya Basta e con Rete contro G8, è di cercare che luoghi come quello del “patto di lavoro” esplichino tutte le loro potenzialità. Oltretutto va notato che un luogo come il “patto”, che sarebbe più corretto chiamare “network”, inibisce le egemonie. E questo è un altro aspetto positivo.

Ok, però sappiamo che questa egemonia potrebbe poi rispuntare in piazza, nel momento delle manifestazioni, e a favore dei più violenti.
C’è effettivamente una preoccupazione. Questo rischio esiste se il percorso che la Rete di Lilliput ha iniziato non arriva a termine. È necessario che Lilliput scenda in piazza per dimostrare non solo che un altro mondo è possibile, ma anche che è possibile un altro modo di manifestare. Se Lilliput non scende nelle strade il rischio che l’attenzione sia monopolizzata dai violenti esiste. Non si tratta evidentemente di realizzare una conquista della piazza, ma di mostrare che la non violenza è possibile anche in una protesta che mette in gioco i propri corpi, con iniziative forti, anche di rottura. La non violenza è anche disobbedienza, e non c’è solo la “disobbedienza civile” delle tute bianche.

Fai un esempio.
Per esempio le azioni di Greenpeace. Si tratta in alcuni momenti di mettere in discussione una legalità imposta e illegittima, magari scegliendo obiettivi simbolo e azioni fortemente comunicative, capaci non solo di far parlare di sé ma anche di far passare i propri contenuti.

La protesta contro il G8 non è questione soltanto italiana. Quali sono i collegamenti internazionali già in atto?
Il controvertice si sta costruendo come rete. Alcune delle realtà che hanno aderito a Lilliput, penso per esempio a “Sdebitarsi” o alla Campagna contro la Banca mondiale, questi collegamenti ce li hanno già. Adesso si tratta però di farli diventare patrimonio comune. In questo senso la presenza a Porto Alegre del “patto” è stata importante. Nei prossimi mesi ci sarà probabilmente una riunione internazionale organizzativa. C’è da dire che una realtà come Ya Basta ha invece collegamenti più organici, è più efficiente e fortemente organizzata, anche perché nasce in seguito alla mobilitazione internazionale zapatista.

Che cosa chiedete agli altri “nodi” di Lilliput?
Ovviamente di esserci a Genova in quei giorni. E poi di impostare veramente un percorso democratico ed efficace di confronto sui contenuti della protesta e sulle forme di mobilitazione. Sapendo anche che un “nodo” non fa Lilliput e che è pensabile che Lilliput abbia diverse forme di mobilitazione.

A proposito di organizzazione. Ti sembra che possa crescere un clima di “caccia alla streghe”?
Ho paura di sì, anche perché si avvicina la campagna elettorale e la destra, ma non solo, ha messo al centro della sua campagna il tema della sicurezza. Ma non dobbiamo farci trascinare sul loro terreno: saremo trasparenti, diremo passo dopo passo quello che stiamo facendo perché non esiste nessuna rete clandestina. E invitiamo chi pone tanto l’accento sulla violenza a confrontarsi con noi anche sui contenuti: che cosa dice per esempio Forza Italia del debito estero dei Paesi poveri? O della Tobin tax?
Certo è difficile spostare l’attenzione sui contenuti, ma questo, come Rete di Lilliput, è il nostro obiettivo e se mai ci proveremo mai ci riusciremo.

Alberto, un’ultima domanda. Tu sei stato fra quelli che hanno messo la “tuta bianca” a Mobilitebio, a Bologna e a Praga, e credo anche che tu ti sia preso le tue belle manganellate. Hai cambiato idea?
Le “tute bianche” erano il simbolo dell’invisibilità sociale, adesso sono diventate invece un simbolo di appartenenza e di una forma di lotta, divisa contro divisa. Ho preso le distanze, ma non perché credo che la loro sia un’azione violenta. Così però si crea un cortocircuito, la strategia si ripropone uguale in ogni situazione, senza analizzare gli scenari, i contesti. E poi questo tipo di azione che ha un impatto solo mediatico rischia di favorire alcune individualità rispetto ai collettivi e al confronto democratico. In Lilliput invece c’è gente che la pensa molto diversamente da me, per esempio sulle “tute bianche”, ma c’è un confronto continuo, serrato, e che tutela la partecipazione di tutti.

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