Ambiente
Noi, il nucleare e l’ENEL
Nonostante le performance non brillanti del nucleare italiano targato ENEL, il governo italiano e la stessa azienda hanno sempre mantenuto grandiose ambizioni di espansione nucleare nel nostro paese, ambizioni fino ad oggi risoltesi in un nulla di fatto. Tra il…
Nonostante le performance non brillanti del nucleare italiano targato ENEL, il governo italiano e la stessa azienda hanno sempre mantenuto grandiose ambizioni di espansione nucleare nel nostro paese, ambizioni fino ad oggi risoltesi in un nulla di fatto.
Tra il 1958 ed il 1990, anno in cui fu sancita la chiusura delle ultime due centrali ancora funzionanti in Italia, ENEL aveva operato quattro piccoli impianti di produzione di energia nucleare. Poi, lo storico esito referendario del 1987 costrinse l’ENEL ad abbandonare qualunque ambizione nucleare sul territorio italiano, senza però impedire all’azienda di soddisfare la sua sete di energia e profitti “esportando il rischio” altrove, facendo cioè all’estero quello che non le era stato concesso sul territorio italiano.
Questi “esperimenti” però, oggi si stanno rivelando tutt’altro che convenienti, e rischiano di lasciare la compagnia ancorata a progetti tecnicamente obsoleti, antieconomici, pericolosi e fortemente impopolari.
A Mochovche, in Slovacchia, l’ENEL è impegnata nella realizzazione di due reattori di un vecchio impianto a progettazione russa, concepito con standard di sicurezza superati e approvato nel 1987. A quasi 25 anni dall’autorizzazione, l’ENEL, che nel 2006 aveva acquisito il 66% dell’ operatore slovacco Slovenské Elektràrne, in cambio della cessione si era impegnata a garantire il completamento dell’impianto. L’opera, già duramente contestata della società civile e della stessa UE per l’assenza di uno studio di impatto ambientale, sarà temporaneamente sospesa per decisione del Comitato di Conformità della Convenzione di Aarhus che il 13 gennaio 2011 ha accusato il progetto di mancanza di trasparenza e di inadeguata consultazione delle comunità locali. Ma in gioco resta un investimento di 1,8 miliardi di euro, destinato a crescere ancora.
La centrale nucleare di Cernavoda in Romania, è un altro degli “esperimenti” che rischiano di costare caro all’ENEL, sul piano finanziario così come su quello della reputazione. Si tratta di un impianto composto da cinque reattori, di cui due già completati in zona altamente sismica, dove dal 1979 si sono verificati tre forti terremoti. L’ ENEL partecipa per il 9% al consorzio costruttore, e se fino a poco fa poteva difendere la scelta di essersi imbarcata nell’impresa con il fatto che altre omologhe europee partecipavano all’affare, dal 20 gennaio 2011 è rimasta da sola a guardia a quello definito da molti come un vero e proprio “bidone atomico” La francese Gdf Suez, la tedesca Rwe e la spagnola Iberdrola hanno infatti annunciato il loro ritiro dal progetto, così come la ceca Cez, che aveva abbandonato la joint venture già a settembre 2010.
Ma ancora non basta. ENEL potrebbe diventare anche la prima compagnia straniera coinvolta nella costruzione di una centrale nucleare in Russia, nell’exclave di Kaliningrad sul Mar Baltico. Anche qui il copione è lo stesso. Progetto fortemente criticato dalla società civile per la scarsità e l’incompletezza degli studi di impatto ambientale e per la localizzazione, una zona di importante traffico aereo internazionale, con reattori non progettati per resistere ad un impatto di grandi dimensioni in caso di incidente.
E se problematiche permeano tutti gli investimenti esistenti di ENEL nell’obsoleto nucleare sovietico, perplessità non mancano anche rispetto alle centrali di nuova generazione, le famose EPR che ENEL vuole importare in Italia col sostegno dei francesi. Anche qui i precedenti non fanno ben sperare. La costruzione della centrale di Olkiluoto, in Finlandia, è iniziata nel 2005 e sarà operativa solo nel 2013, con circa quattro anni di ritardo sulla tabella di marcia. I costi sono raddoppiati – da tre miliardi di euro a sei – mentre gli incidenti, intoppi ed errori non si contano più. Problematiche simili si registrano anche per l’altro impianto EPR di Flamanville, nella bassa Normandia.
Cosa può far pensare che con questi precedenti, e con le drammatiche notizie che in queste ore arrivano dal Giappone, il nucleare sia ancora una strada percorribile? Al prossimo referendum in Italia il compito, ancora una volta, di sgomberare il campo da ogni dubbio, e speriamo che lo faccia una volta per tutte.