Cultura e scienza / Intervista
Mariangela Gualtieri. Poesie fatte per restare
I testi poetici resistono come investimenti dalla “rendita illimitata”, tutelando l’equilibrio delle cose del mondo. Un “potere affratellante” indagato dalla poetessa e drammaturga
“Frequentare la poesia certamente ci migliora, ci rende più sensibili e grati, più comprensivi e sapienti. In fondo, alla base delle disfunzioni più gravi nell’economia di un Paese, credo ci sia spesso l’avidità smodata di alcuni, l’ingiustizia e l’ignoranza”. Aspettando il 21 marzo, giornata mondiale della Poesia, abbiamo riflettuto con Mariangela Gualtieri su questa “merce che non scade, che non si consuma, che non si deteriora”. La poetessa e drammaturga -nata a Cesena nel 1951-, fondatrice con il regista Cesare Ronconi del Teatro Valdoca, ci ricorda che “poche cose al mondo hanno un valore così duraturo”. Per questo la poesia è, nelle sue parole, “un investimento con rendita illimitata”.
Nelle sue poesie la natura ha un ruolo centrale. Oggi che restano sempre meno “centimetri” di terra a disposizione, c’è ancora speranza di prendersene cura? In che modo?
MG La terra è talmente potente e viva che è capace, in un attimo, di scrollarsi di dosso il parassita che noi siamo diventati. È indubitabile: stiamo disturbando troppo l’equilibrio del Pianeta e se non corriamo ai ripari annienteremo noi stessi, la nostra specie. È di noi stessi che dobbiamo avere consapevolezza e cura, della nostra pochezza e fragilità, del nostro essere parte di un grande e magnifico organismo e quindi della necessità di muoverci in armonia con esso e col suo equilibrio.
A proposito di “maestri immensi”, quali sono secondo lei i maestri, le maestre di cui abbiamo bisogno?
MG È sempre difficile dare un nome ai maestri del presente; per fortuna ci sono quelli che chiamiamo i Classici, sempre lì, vicinissimi, nella loro lezione inconsumabile. Va detto però che il nostro tempo ha le proprie particolarità e fra queste forse le più evidenti sono il dare grande importanza al denaro, al successo e a un’intelligenza fredda e fattiva. Ci vorrebbero allora maestre e maestri che ci insegnassero il giusto peso del denaro, l’inconsistenza del successo e un’intelligenza legata alla compassionevolezza.
La “forza del non” che canta, lo “stare fermi”, l’avvicinarsi al “colore puro”: richiamano il tema dell’essenzialità. Pensa che la scelta di una vita più frugale possa aiutarci a costruire un domani più sostenibile e solidale?
MG Mi ricollego alla domanda precedente, sui maestri: ci sono entità così trascurate che mi sento di indicarle come ambiti in cui si può imparare tanto di se stessi e degli altri, entità che hanno assunto valore di maestri. Quasi tutte riguardano l’astenersi da qualcosa, dunque un non: il silenzio, ad esempio, la lentezza, l’astinenza ricorrente dalla tecnologia, dal cibo o da ciò da cui siamo dipendenti, stare soli nella natura o stare a volte senza parlare.
Se i cinque sensi non bastano, come afferma, quale altro senso desidererebbe per questa vita?
MG A volte mi sento stretta, quasi imprigionata dentro un corpo, e vorrei strabordare, staccarmi dai miei limiti, fisici e percettivi. Credo capiti a tutti. Mi piace pensare che ci sia ancora -un po’ assopito, ma attivo- un organo del mistero o l’organo della compassione, quella parte di noi da cui nasce l’empatia, la comprensione di ciò che non è io. Ma basta addentrarsi nel mondo animale e vegetale per capire l’immensa varietà di percezioni, la vastità di organi e anche la bizzarria che c’è nel sentire degli altri: dal topo che può nuotare 80 ore al grillo che fa salti tante volte più alti di se stesso, a tutti i modi in cui le piante mettono in salvo i propri semi.
“La poesia è merce del futuro, perché dal passato occhieggia e luccica, imperturbabile, indifferente al tempo e alle mode, alle ideologie e ai potentati”
A proposito della “memoria della bellezza”, di cui ha scritto: come la bellezza ci può aiutare in un percorso di rinnovamento culturale?
MG Finché siamo capaci di soprassalti davanti a un paesaggio, a un cucciolo o a un fiore, davanti alla luna o al mare, finché siamo capaci di quel respiro tipico della meraviglia, vuol dire che c’è ancora memoria, che ancora riconosciamo la bellezza come si riconosce una faccia amata fra una folla straniera. Quel respiro dice appunto: ti riconosco, sei mia patria, sei mia casa. La bellezza procura una gioia immediata, che scatta prima del pensiero: veniamo immediatamente toccati in una corda interna e risuoniamo. In quel risuonare c’è molta speranza per quello che lei chiama il percorso di rinnovamento culturale, ma bisogna essere stati educati a una certa attenzione, all’ascolto di sé e della bellezza del mondo. Si potrebbe altrimenti finire per scambiare la bellezza con l’ossessione estetizzante, farne una questione di centimetri, di grammi, di silicone, di rughe cancellate, di razze, di mode.
L’acqua, il mare e la tempesta sono una presenza frequente nella sua poetica. Pensa che la poesia possa essere uno strumento di dialogo con chi affronta le tempeste marine con la speranza di costruire un futuro diverso? Come?
MG Credo nel potere affratellante, risvegliante, protettivo e profetico della poesia. Ci credo perché posso commuovermi leggendo un greco vissuto millenni fa, imparando a memoria un cinese del VI secolo o adorando un inglese, o un francese, del secolo scorso. Persone vissute in un altro tempo, in altri paesaggi, in altre culture, dall’altra parte di tutti i mari, arrivano così dirette nel mio cuore da darmi l’impressione di averle scritte io quelle loro parole. Dunque sì, la poesia è merce del futuro, perché dal passato occhieggia e luccica, imperturbabile, indifferente al tempo e alle mode, alle ideologie e ai potentati.
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