Esteri / Reportage
Tra le macerie di Varanasi, una pagina buia per l’India repubblicana
Il governo a trazione ultrainduista sta demolendo tutti gli edifici (e alcuni templi, a detta dei residenti) in un’area che sarà liberata per “facilitare” il transito di turisti e pellegrini in visita al Tempio d’Oro. Gli abitanti si oppongono
“A Varanasi non si sa se ci sono templi in ogni casa o case in ogni tempio”, un vecchio detto riecheggia tra gli abitanti della città eterna, considerata la Mecca dell’hinduismo, dove ogni fedele deve recarsi in pellegrinaggio una volta nella vita, oggi al centro di molte polemiche. Un nuovo progetto di sviluppo nella parte vecchia di Varanasi, sponsorizzato dal governo a trazione ultrainduista dello Stato, capeggiato dal religioso Yogi Adityanath del Bharatiya Janata Party (BJP), si è scontrato con l’opposizione di molti residenti che combattono per preservare la struttura della città e con questa il suo patrimonio culturale e architettonico.
Il governo ha acquisito e sta demolendo tutti gli edifici (e alcuni templi, a detta dei residenti) in un’area che sarà liberata per facilitare il transito delle migliaia di turisti e pellegrini che ogni giorno visitano il tempio di Kashi Vishwanath, il Tempio d’Oro, principale sito di pellegrinaggio hindu a Varanasi insieme al sacro fiume Gange: la città è un luogo di buon auspicio dove morire e farsi cremare, per liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere la salvezza. Le tortuose e polverose viuzze che si snodano lungo i palazzi dalle tinte pastello e gli antichi haveli (palazzi dei maharaja) scrostati dal tempo, stipati uno accanto all’altro inglobando templi e statue sacre, sono l’orgoglio dei suoi residenti, la cifra di una città che è considerata l’insediamento continuativamente abitato più antico al mondo.
Varanasi è tra le città più importanti dell’Uttar Pradesh -l’enorme e popoloso Stato in India settentrionale che da solo conta 80 seggi in Parlamento- ed è anche il collegio dove è stato eletto il primo ministro Narendra Modi alle politiche del 2014. Il progetto di un corridoio a tre corsie che conduca agilmente dal Gange al Golden Temple, parte del più ampio piano di riqualificazione urbana e abbellimento guidato dall’amministrazione cittadina, ha generato rabbia e opposizioni da più parti.
“Non c’è stata alcuna consultazione con i residenti e non sono stati forniti piani o informazioni. Il governo ha acquisito circa 300 proprietà e ha stanziato 6 miliardi di rupie (quasi 75 milioni di euro) per il progetto”, spiega ad Altreconomia Jagriti Rahi, attivista della Joint Action Committee, un’organizzazione che sta monitorando le demolizioni. “Il punto non è religioso: stanno demolendo la nostra identità come città”.
Le stime informali parlano di 165 strutture, 95 edifici residenziali da demolire e 55 templi e luoghi di devozione, dei quali 43 erano inglobati da costruzioni successive. Si è già raggiunto l’80 per cento delle demolizioni che proseguono febbrilmente. “Le case sono state espropriate con la promessa di compensazioni, ma molti dei residenti non sono proprietari, erano affittuari o occupavano le case mentre i proprietari sono all’estero: sono state usate diverse tattiche per convincere i residenti ad andarsene”, rimarca Suresh P. Singh, un veterano giornalista locale mentre indica i balconi e le verande di marmo finemente scolpiti di un palazzo che sarà demolito. “Stanno distruggendo il patrimonio artistico e culturale della nostra città, in nome di un tempio che non è neanche tra i più antichi”, aggiunge.
“Varanasi rappresenta l’India in tutta la sua diversità. Sta emergendo un orribile volto color zafferano (il colore dell’hinduismo e del BJP), che non è il vero volto hindu, è estremismo” – Jagriti Rahi
A fine ottobre scorso, una pedana devozionale che conduce alla moschea di Gyanvapi, costruita a ridosso del Golden Temple e dentro il futuro perimetro del complesso rivalorizzato, è stata demolita. In poco tempo un migliaio di persone tra residenti e membri della comunità musulmana si sono radunati per protestare temendo che la demolizione della piattaforma fosse il preludio di un’azione contro la moschea. Costruita nel XVII secolo dall’imperatore Aurangzeb sulle rovine di un tempio hindu -forse l’originale Kashi Vishwanath-, prende il nome dalla sorgente sacra su cui fu edificata. In seguito alle proteste, la pedana è stata ricostruita, ma continua ad aleggiare un clima di paura e incertezza.
“In una sorprendente somiglianza con cui l’area attorno alla Babri Masjid fu sgomberata da un governo del BJP, la demolizione di case, negozi e templi attorno al complesso religioso Kashi Vishwanath-Gyanvapi Masjid a Varanasi, ha generato timori sul destino della moschea”, ha scritto con apprensione sul magazine Frontline Venkitesh Ramakrishnan, reporter che 27 anni fa coprì gli eventi di Ayodhya e che per primo ha sollevato il caso delle demolizioni a Varanasi sulla stampa nazionale. In una nebbiosa mattina di 27 anni fa, una folla di nazionalisti ultrainduisti era radunata per un comizio nelle vicinanze della Babri Masjid, la moschea di Babur ad Ayodhya, al centro di un’annosa disputa tra hindu e musulmani. La moschea, a detta della propaganda hinduista, sarebbe stata costruita nel XVI secolo sulle rovine di un antico tempio di Ram, demolito dall’imperatore Babur, fondatore della dinastia moghul in India.
Non vi sono prove storiche a sostegno di questa tesi, rigettata anche dalla Corte Suprema ma capace tutt’oggi di infiammare i cuori della destra ultrainduista che considera la collina il luogo di nascita di Ram. L’immagine delle tre cupole della moschea gremite di persone che la demolivano con martelli e picconi è rimasta nella memoria collettiva come una delle pagine più buie e dolorose nella storia dell’India repubblicana e innescò una serie di rivolte comunaliste in tutto il Paese che fecero oltre 2.000 morti, molti dei quali musulmani. Sotto le ceneri della moschea rimase sepolta anche l’idea di un Paese laico e tollerante sognato dai padri dell’India moderna. “Questo è solo il preludio, a seguire Varanasi e Mathura” (due delle città sacre) erano gli slogan cantati in quei concitati giorni che cambiarono per sempre l’India. Era il 1992, un anno che ha segnato il punto più basso nelle relazioni tre le due maggiori religioni del subcontinente, lungo le cui linee il partito al governo ha costruito la sua propaganda politica, che negli ultimi cinque anni si è tradotta in aggressioni, intimidazioni e linciaggi ai danni delle molte minoranze del Paese, in primis quella musulmana, che forma 14,2% della popolazione.
Nel clima di isteria che precede le elezioni, previste tra aprile e maggio 2019, il governo ha messo in piedi un’operazione di rimozione di tutti i nomi eredi del passato moghul, quindi musulmano
“La gente vuole solo che la moschea sia al sicuro, nessuno ha visto un progetto, è tenuto tutto nascosto”, spiega Haji Ishtiyaque, membro dell’Anjuman Intazamiya Masjid (AIM), l’ente che gestisce la moschea di Gyanvapi. L’AIM, insieme con altre organizzazioni, aveva presentato una petizione all’Alta Corte dello stato per preservare la struttura originale della città, che è stata però rigettata. Varanasi non è ancora riuscita a entrare nella lista delle città patrimonio dell’Unesco. Un’altra litigation per la tutela della moschea, presentata alla Corte Suprema, è stata respinta lo scorso dicembre. “Dopo la demolizione della pedana, le persone non hanno paura, sono terrorizzate che possa succedere qualcosa sulla scia di Ayodhya -continua Ishtiyaque-. Il governo agisce sotto la spinta dell’Hindutva (la dottrina nazionalista ultrainduista) che non rappresenta però la maggioranza della popolazione: l’India è un Paese laico, multiconfessionale, ma il timore è quello che questione venga politicizzata in senso religioso proprio a ridosso delle elezioni”. La comunità musulmana di Varanasi ammonta al 25% della popolazione e ha sempre convissuto pacificamente con la maggioranza hindu.
“È vero, non esiste ancora un progetto, è in fase di stesura. Il primo ministro e il governatore Adityanath tengono molto a questo progetto: l’idea è di offrire uno spazio pulito e confortevole ai pellegrini, rendendolo accessibile anche agli anziani e ai disabili, elevarlo al livello degli altri siti mondiali, questo è l’unico scopo”, assicura Vishal P Singh, a capo dell’ente che gestisce il Golden Temple. “Posso assicurare che nessuno dei templi è stato distrutto, quelli che sono emersi dalle demolizioni saranno restaurati e spostati ai lati del corridoio che porterà al tempio -replica-, non c’è nessuna logica dietro alle accuse di distruzione”. “Varanasi rappresenta l’India in tutta la sua diversità -commenta invece Jagriti Rahi-. Ma sta emergendo un orribile volto color zafferano (il colore dell’hinduismo e del BJP), che non è il vero volto hindu, è estremismo”.
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