Cultura e scienza / Intervista
Vanessa Roghi. L’utopia fantastica di Gianni Rodari
Per l’autore di “Favole al telefono”, la fantasia è lo strumento per immaginare un altro mondo. Un’attitudine mentale per modificare il reale. Da coltivare non solo nei bambini
“Bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo e fiducia per sfidare la vita. E poi, non trascuriamo il valore educativo dell’utopia. Se non sperassimo, a dispetto di tutto, in un mondo migliore, chi ce lo farebbe fare di andare dal dentista?”, scrive Gianni Rodari. Ogni capitolo del libro che Vanessa Roghi ha dedicato allo scrittore ed intellettuale nato ad Omegna (NO) cent’anni fa, “Lezioni di Fantastica”, si apre con parole dello stesso Rodari. Sono pescate dai suoi libri di poesie, di racconti, di filastrocche, o dagli articoli usciti su quotidiani e riviste, tra gli anni Quaranta e la fine degli anni Settanta.
Rodari -morto quarant’anni fa, nel 1980- è stato infatti, e prima di ogni altra cosa, un giornalista. “Credo che sia diventato uno scrittore per l’infanzia come conseguenza inattesa del suo essere giornalista. Il giornalismo è stato fondamentale perché gli ha permesso di misurare la sua scrittura rispetto alla volontà di divulgazione, e lo si capisce fin dai primi articoli che nel Secondo Dopoguerra pubblica sul giornale del Partito Comunista di Varese”, spiega Vanessa Roghi, storica, da maggio in libreria per Laterza con il suo “Lezioni di Fantastica”. Gianni Rodari, racconta Roghi, “ha chiarissimo, ad esempio, il problema dell’analfabetismo: ‘per chi scrivo?’ è una domanda che tanti dimenticano troppo spesso. Ma lui no, e anche per questo sceglie una scrittura popolare, per tutti, ironica e piena di giochi di parole. Un modo che porta nei giornali comunisti, e che in qualche modo segna anche il suo destino: lo spazio dove pubblica la sua prima filastrocca era una rubrica satirica per adulti, ma all’interno del Partito Comunista italiano il suo testo viene reputato infantile”.
All’interno del PCI Rodari sperimenta e mette a punto una scrittura divulgativa per tutti ma anche colta e divertente, un aspetto determinante per lui al pari della militanza nelle file del Partito Comunista. “Il partito indirizzava i suoi militanti alle funzioni che riteneva più idonee. Nei tardi anni Quaranta, ad esempio, il partito voleva mandarlo a dirigere il periodico dei contadini, allora una componente importante dell’elettorato comunista -sottolinea Roghi-. L’intellettuale è al servizio del partito e il partito è al servizio della classe operaia. Rodari questo lo avrà chiaro sempre: nel 1974, un anno dopo la pubblicazione della ‘Grammatica della fantasia’, e tre anni dopo l’uscita delle ‘Favole al telefono’ nella prestigiosa collana degli Struzzi di Einaudi, tra Brecht e Lee Masters, lui dice ancora: ‘il mio committente è il movimento operaio, prima di Einaudi’. Questo significa che quando scrive Rodari sa di parlare alla classe operaia, usando un linguaggio chiaro e comprensibile”.
Nel 1953, chiamato a dirigere Avanguardia, settimanale nazionale politico-culturale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, lo presenta così: “Ogni giornale se non vuol essere uno specchio passivo, un passatempo contemplativo, nasce per dividere il mondo in amici e nemici. Nostri amici sono i giovani, in qualsiasi classe sociale, in qualsiasi partito od organizzazione si compia in questo momento la loro esperienza di giovani. Nostri nemici sono i difensori del ‘vecchio’, del capitalismo, dell’imperialismo, del fascismo, della guerra”.
Rodari è un intellettuale comunista che ha finito con l’occuparsi di educazione, che “ha preso sul serio la pedagogia anche se non è un pedagogista, ed è intervenuto sulla scuola come genitore più che come maestro”, spiega Roghi. Che aggiunge: “Io credo che gli intellettuali debbano soprattutto occuparsi di educazione, e lui lo fa egregiamente”. Tra il 1968 e il 1977 dirige anche il Giornale dei genitori, rivista fondata da Ada Marchesini Gobetti, vedova di Piero Gobetti (ucciso nel 1926 dai fascisti), partigiana.
“Rodari ha chiarissimo il problema dell’analfabetismo: e anche per questo sceglie una scrittura popolare, per tutti, ironica e piena di giochi di parole”
Sono probabilmente due gli elementi che guidano l’impegno educativo di Gianni Rodari. Il primo è assumere il punto di vista dei bambini, il secondo è il ruolo della fantasia, e l’importanza che venga stimolata. “Lui aveva chiaro che non bisogna mai guardare ai bambini di oggi, che siano scolari o figli, attraverso la memoria della nostra infanzia perché essa è necessariamente diversa. Questa è una lezione fondamentale: va prestata attenzione a ogni singolo individuo per cogliere l’elemento di novità che ogni bambino porta con sé. I bambini vengono dal futuro e ci obbligano a fare i conti con quello che è e quello che sarà, non solo con ciò che è stato. C’è poi un secondo elemento: per saper stare con i bambini non bisogna mai smettere di studiare”. A questa parola va dato un significato a 360 gradi, che passa per la lettura di testi di pedagogia o di neuroscienze, ma anche per la tv. “Bisogna capire quali siano i loro programmi preferiti, per capire che cosa piace e che cosa non piace -dice Roghi, citando Rodari-. Del resto Gianni Rodari non ha mai guardato con astio a nessuno strumento di comunicazione, ma ha analizzato sempre il modo in cui vengono usati: l’idea che alcuni possano essere più dannosi di altri, per la loro essenza stessa, non fa parte della sua cultura. È stato costantemente un uomo curioso rispetto al presente”.
Negli anni del boom economico difende i fumetti, poi nei primi mesi degli anni Ottanta, poco prima di morire, i cartoni animati giapponesi. Il cambiamento non lo spaventa ma “non gli interessava che fossero abbandonate vecchie strade tanto per cambiare. Gli interessava invece che fossero progettate strade nuove per imparare che questo, progettare il nuovo, è sempre possibile, come scrive Tullio De Mauro nel ricordarlo. Il nuovo di Rodari mette al centro la fantasia, un riferimento costante nella sua opera. “Arriva dalle sue letture, dal surrealismo che ha conosciuto negli anni Trenta, ai russi, che nelle loro opere fanno sempre uso di una dose di fantasia molto forte, e ha un rapporto molto stretto con la poetica di Giacomo Leopardi”, racconta Roghi.
“Per Gianni Rodari la fantasia è uno strumento di cambiamento perché immaginarsi qualcosa serve a vedere il reale in modo diverso e modificarlo”
“Per Gianni Rodari -continua- la fantasia ha a che vedere con il concreto, e sono le stesse cose che dice Antonio Gramsci: tutto quello che si può immaginare ha a che fare col reale, anche se poi lo va a modificare. La fantasia fonde reale e immaginazione. Nella fantasia si trova l’inveramento della dialettica, un pensiero che è l’essenza del marxismo: significa proiettare un pezzo di realtà, a cui tornare trovandolo accresciuto dalla fantasia”. Ecco: per Rodari, sottolinea Roghi, “la fantasia è uno strumento di cambiamento perché immaginarsi qualcosa serve a vedere il reale in modo diverso e modificarlo”. La fantasia serve a dialogare con i bambini, serve a mettersi nei loro panni. L’esercizio del fantastico è una premessa fondamentale. Rodari torna molto deluso, nel 1979, da quello che è il suo ultimo viaggio in Unione Sovietica: è triste di aver constatato la grande capacità dei bambini di lavorare insieme in un’infanzia segnata però dalla mancanza di una educazione alla fantasia. “Ha sempre sognato che cooperazione e fantasia potessero convivere”, dice Roghi. La fantasia non è “un’evasione, come è stata più volte definita, ma uno strumento della mente, capace di esprimere per intero la personalità o di entrare in gioco con altri strumenti delle personalità e formare una personalità più ricca”.
Fiaba, racconto e filastrocca sono le forme che usa per aprire questo dialogo fantastico con i bambini e con gli adulti. La popolarità della forma filastrocca (lo scrivere in versi) è dato dalla rima. “Non sono una italianista, ma una storica, e da storica posso rilevare alcune questioni extratestuali, che hanno a che vedere con la storia culturale: per esempio il fatto che l’opera di Rodari è stata pubblicata non solo da una casa editrice di alta cultura, Einaudi ma -e questa è la cosa interessante- in una collana che raccoglie le opere dei più grandi intellettuali del Novecento, gli Struzzi, e precisamente al numero 14, tra Bertolt Brecht ed Edgar Lee Masters”, sottolinea Roghi. Non era mai successo fino a quel momento. Si tratta, forse, di una utopia realizzata. E del resto, scrive Rodari, “il senso dell’utopia, un giorno, verrà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato, ecc. Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo, e servirsene, per scrutare l’universo fantastico.
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