Luci e ombre della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti comunitari dei popoli indigeni
Con una accelerazione finale sorprendente, dopo quasi 23 anni di discussioni e di rinvii sempre più artificiosi, il 14 settembre l’ Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la nuova versione della Dichiarazione sui diritti comunitari dei popoli indigeni, modificata in alcune parti per iniziativa di 9 Paesi africani, fra cui gli stessi che riuscirono a far rinviare lo scorso anno, in extremis, l’accettazione del testo precedente che sembrava arrivato in dirittura finale, cioè Botswana e Namibia. Modifiche infine accettate dai Paesi co-patrocinatori della presentazione (Messico, Guatemala e Perù [1]). La Dichiarazione consta di 46 articoli. I paesi che hanno votato a favore sono stati 142, i contrari 4 (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda), gli astenuti 11.
Le prime dichiarazioni dopo l’annuncio sono state in genere positive. Il Relatore speciale (uscente) per i diritti dei popoli indigeni, Rodolfo Stavenhagen, ha dichiarato che il fatto “non solo costituisce un momento fondamentale per i popoli indigeni, ma rappresenta anche un importante contributo che essi hanno dato alla costruzione di un sistema internazionale dei diritti umani”. Manifestazioni di giubilo si sono avute nell’Oriente boliviano e il rappresentante dei 4 popoli indigeni della regione di Santa Cruz, Ramiro Galindo, ha dichiarato: “Ciò che la Dichiarazione afferma sulla consultazione rafforza la nostra proposta fatta all’ Assemblea costituente in cui noi chiediamo la consultazione preventiva perché i nostri territori non siano asserviti come è avvenuto fino a oggi dalle attività petrolifere e minerarie con danni sociali, economici e ecologici alla nostra biodiversità”. Certamente l’adozione della dichiarazione aiuterà a far ripartire su una base più incoraggiante i lavori dell’Assemblea costituente boliviana in stato di difficoltà. Probabilmente gioverà anche alla causa indigena nei lavori dell’Assemblea costituente ecuadoriana che sarà eletta domenica 30 settembre, e su cui si sono addensate le nubi della protesta indigena dovute alla mancata accoglienza delle loro richieste di distribuzione dei seggi, con minaccia di diserzione dalle urne.
Tuttavia le dichiarazioni dei giorni precedenti di molti popoli indigeni che avevano preso visione delle modifiche apportate dai Paesi africani (oltre 100, ridotte poi in sede finale a 9, con modifica di 5 dei 46 articoli del documento), erano state negative. In particolare il Consiglio di tutte le terre del popolo Mapuche del Cile aveva raccolto su un proprio documento le firme significative di molti importanti movimenti indigeni latinoamericani [2]. Al punto 5 del documento si afferma che “…la Dichiarazione ha sofferto cambiamenti che ne sminuiscono i contenuti. Esaminando i 9 emendamenti presentati dal Gruppo africano, tutti convergono nello spirito di debilitare e ridurre la sua portata. Inoltre gli emendamenti sono stati negoziati unicamente fra rappresentanti governativi, senza la partecipazione dei rappresentanti indigeni”.
Il documento quindi conclude in modo durissimo: “Pertanto NON appoggiamo né approviamo alcun emendamento che modifichi il testo della Dichiarazione e rinnoviamo ai governi la nostra ferma posizione di sostegno alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, adottato dal Consiglio dei Diritti Umani nel giugno 2006”. [pagebreak]
Il documento Mapuche rileva che gli emendamenti contrastano con l’ affermazione del diritto alla libera determinazione dei popoli indigeni e riducono la Dichiarazione a “strumento privo di contenuti, ciò che risulterebbe un assurdo politico”. In realtà vi è stata una spaccatura nel mondo indigeno: favorevoli per lo più le popolazioni indigene africane, europee e parte delle asiatiche. Contrari in grande maggioranza i latino e i nord americani e parte degli asiatici. Le modalità della consultazione, fatta in tempi brevi, ha lasciato la bocca amara a molti perché si è proceduto sì a una consultazione ma che le conclusioni sono state tirate dai governi, contro il parere di una parte consistente delle popolazioni interessate. È significativo che una Dichiarazione che impegna i vari stati firmatari a esercitare la consultazione dei popoli indigeni prima di decisioni che li riguardano, venga approvata senza adeguate modalità. È un segno di come sarà interpretato il diritto all’autonomia?
Non si deve poi dimenticare che votazioni su documenti di questo genere non vincolano i governi votanti e ciò potrà avvenire solo dopo la votazione di leggi nazionali facenti riferimento al loro contenuto. Così l’ Italia dopo circa 20 anni dalla firma non ha ancora ratificato l’ unico documento giuridico internazionale richiamante i diritti dei popoli indigeni è cioè il Trattato 169 dell’ Ufficio Internazionale del Lavoro di Ginevra, emanazione delle Nazioni Unite
Trascorso il primo momento di soddisfazione, adesso è il momento delle prime valutazioni analitiche.
E’ certo necessario un esame approfondito di questi emendamenti ma un primo commento articolato è stato messo in rete nei giorni immediatamente precedenti da Aucon Huilcaman Poillama, su cui ritorneremo. Ci limitiamo a titolo di esempio alla sua critica del primo emendamento che ha eliminato dal testo la frase : “riconoscendo che i Popoli indigeni hanno il diritto a determinare liberamente le proprie relazioni con gli Stati in uno spirito di coesistenza, mutuo beneficio e pieno rispetto”. Egli nota che fino a oggi sempre gli Stati hanno tenuto un comportamento di rispetto ne di reciprocità nei loro rapporti coi popoli indigeni.
Il nodo centrale delle modifiche è contenuto nel nuovo punto ove si afferma che in nessun caso decisioni di popoli indigeni potranno riguardare la modifica degli assetti territoriali e che, in caso di contrasto con punti specifici di precedenti legislazioni, esse non potranno prevalere su queste.
Intanto i popoli indigeni latinoamericani stanno stringendo i preparativi della grande marcia del 12 ottobre, ricorrenza dell’inizio della conquista e certamente in tale occasione si potranno conoscere meglio le reazioni, positive o negative, a questa votazione che comunque realizza un passo avanti morale nella definizione della questione indigena.
[1] Si potrebbe restare sorpresi che si tratti di 3 paesi con governi fra i più chiusi, in America Latina, di fronte alle rivendicazioni dei popoli indigeni oltre che quelle sociali in genere.
[2] Hanno firmato: Consejo de Todas las Tierras, Aucan Huilcaman P. Mapuche – Chile ; Área Mujer Mapuche Nelly Ayenao Cotrena Mapuche – Chile; Consejo Autónomo Aymara ngel Bolaño Aymara – Chile; CONAIE Luis Macas -Presidente Quichua – Ecuador; ECUARUNARI Humberto Cholango Quichua – Ecuador; Diputado Asunto Indígena Raúl Ilaquiche Quichua – Ecuador; Atencio López Kuna – Panamá; CONAVIGUA Lucia Quila Quiche – Guatemala; Coordinación y Convergencia Nacional Maya Waqib Kej Rodolfo Pocop Maya – Guatemala; MOJO MAYAS Efraín Vicente Maya – Guatemala; Coordinadora de Organizaciones Resarcimiento Pueblo Maya María Toj Maya – Guatemala; Confederación de Nacionalidades Indígena del Peru – CONAIP Lucio Ramírez Quechua – Peru; Movimiento al Socialismo Andino Amazónico – MASA Javier Lajo Quechua – Peru; Consejo Nacional Aymara De Arica Richard Fernández Aymara – Chile 4 de Agosto 2007