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Opinioni

Luca Abbà, la protesta nonviolenta e l’agricoltura “bio”

L’attivista "No Tav" in ospedale a Torino, per le conseguenze della caduta da un traliccio dell’alta tensione, è un agricoltore biologico. Tenace come sa esserlo chi lavora la terra in montagna, scrive Lorenzo Vinci, piemontese come Luca e membro del Comitato esecutivo federale dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab) oltre che del consiglio d’amministrazione di Altreconomia. Tratto da "Bioagricoltura notizie" (numero 52, 02 marzo 2012)

C’è chi ama la vita, e non stupisce che sia uno di noi: Luca Abbà, 37 anni, agricoltore biologico dell’alta Val di Susa, che lunedì 27 febbraio è (stato) caduto da un traliccio dell’alta tensione mentre metteva in atto una protesta pacifica e nonviolenta.
Per amare la vita ci vuole tanto, forse troppo coraggio: fare agricoltura, per di più in montagna, e farla amando la terra, secondo le logiche dell’agricoltura biologica, come sanno i tanti soci Aiab sparsi per l’Italia, significa spaccarsi la schiena su terreni aspri e duri: "…una giornata di lavoro con me al mio ritmo e con i miei orari (….). Chi mi ha visto lavorare sa cosa intendo”, (da “Il Fatto Quotidiano” del 28/02/12) diceva Luca qualche tempo fa invitando uno dei tanti politici parolai a passare un po’ di tempo con lui in montagna a discutere d elle ragioni pro o contro la lotta del movimento No Tav.
Ma i motivi per amare la vita (ricordiamo che  “bio” significa “vita”!) ci sono, e ne vale la pena, sia per la qualità dei prodotti coltivati sia per la “qualità” degli scambi economici e sociali che sono nati attorno a chi sperimenta “un altro modo possibile” di vivere e lavorare (l’associazione Aiab in Piemonte conosce e stima Luca, i suoi prodotti e la rete dei consumatori che sostiene le attività come le sue).
Nonviolenza ed agricoltura biologica vanno “naturalmente” d’accordo, e le ragioni di chi vuole aiutare se stesso e gli altri a vivere una vita più sana, basata non sullo sfruttamento ma sulla collaborazione e l’"amicizia” tra esseri umani, animali, risorse naturali, produttori e consumatori, vengono rafforzate dalle circostanze difficili se non impossibili che la Val di Susa sta vivendo da anni.
C’è una comunità intera che vive e lavora in Valle, che in fondo chiede solo rispetto.
Non sono (non siamo) soli: ci sono almeno 120 docenti universitari che sostengono da tempo l’inutilità ed i pericoli dell’ennesima inutile “grande opera” che, come sempre nel nostro disgraziato paese, porta sicuri vantaggi solo a chi campa speculando sugli appalti pubblici e la distruzione dell’ambiente.
Quale rispetto hanno i sostenitori dell’ex Tav ora Tac (si decidessero, almeno…) e questa specie di “esercito di occupazione” che ha invaso questa valle piemontese contro la lotta di un intero popolo?  
Quale rispetto dimostra chi non ferma i lavori (iniziati in modo palesemente illegale, come dimostrano i legali del movimento) nemmeno con un ferito grave in cantiere, aspettando più di mezz’ora per far entrare l’ambulanza parcheggiata duecento metri più in là?
Non vogliamo neanche rispondere: noi andremo avanti con le nostre lotte e le nostre ragioni nonviolente e costruttive per costruire insieme un “altro” mondo, che la comunità della Valle ha dimostrato essere non solo possibile, ma necessario.
“A sarà dura”, ma noi ci saremo.

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