Ambiente / Opinioni
L’overdose di azoto minaccia i suoli e la salute
A livello globale se ne producono circa 130 milioni di tonnellate all’anno, la metà torna in atmosfera o contamina le falde. Un problema per l’ecosistema. La rubrica di Riccardo Bocci di Rete Semi Rurali
Dal 1909 una droga ha alterato i sistemi agricoli: l’azoto di sintesi. In quella data, infatti, il chimico tedesco Fritz Haber e l’industriale Carl Bosch riuscirono a produrre ammoniaca a partire dall’azoto atmosferico. Questo processo, usato durante le Guerre mondiali per sintetizzare nitrati necessari a produrre esplosivi, dopo il 1945 è diventato la base per produrre fertilizzanti chimici di sintesi.
Da allora abbiamo inondato l’agricoltura di una quantità di azoto senza controllo, in una specie di ebbrezza legata all’illusione di aver finalmente e per sempre superato i limiti della fertilità dei suoli. Oggi a livello globale ne produciamo circa 130 milioni di tonnellate all’anno da usare come fertilizzante, ma solo la metà viene realmente utilizzata dalle colture; il resto ritorna in atmosfera o si perde nelle falde per poi finire in mare.
Come ormai dovremmo aver imparato studiando Gaia (come si definisce la Terra nella sua complessità), le oltre 60 milioni di tonnellate disperse non sono senza conseguenze. Nel 2011, dopo cinque anni di lavoro da parte di 200 ricercatori in 21 Paesi, è stato pubblicato il rapporto “The european nitrogen assessment”, che mette nero su bianco gli effetti di questa overdose. Ecco un sintetico elenco per niente incoraggiante. Conseguenze sulla salute umana: malattie respiratorie legate alle concentrazioni eccessive di ammoniaca, ozono, ossidi di azoto e particelle fini nell’aria; contaminazione dell’acqua potabile da nitrati; produzioni di alghe tossiche.
Effetti diretti sugli ecosistemi: acidificazione dei suoli, delle foreste e degli ecosistemi acquatici, eutrofizzazione dei laghi e degli ecosistemi costieri; aumento delle malattie e dei parassiti; saturazione in azoto dei suoli forestali; contribuzione al cambiamento climatico dalle emissioni di protossido di azoto. Inoltre, l’eccesso di questa sostanza ha un effetto collaterale sulle piante: più le concimiamo più diventano appetibili per gli insetti e i patogeni fungini, in un circolo vizioso che tiene insieme fertilizzanti chimici di sintesi e pesticidi.
Il rapporto “The european nitrogen assessment” contiene anche molte soluzioni per cercare di risolvere il problema, tutte imperniate sul rendere più efficiente l’uso dell’azoto e ridurre la sua dispersione. Così leggiamo che colture associate (graminacee e leguminose piantate insieme) e rotazioni sono da preferire alle monocolture e che il letame consente un uso più efficiente di questa sostanza agendo sulla componente biologica del suolo. Gli allevamenti intensivi, inoltre, sono una delle cause principali dello sconvolgimento del ciclo dell’azoto: il rapporto quindi consiglia un cambiamento drastico delle nostre diete con la riduzione delle proteine di origine animale.
La stima dei costi ambientali causati da un chilogrammo di azoto oscilla tra i 25 e i 100 euro. Per acquistarne la stessa quantità, un agricoltore paga circa un euro.
Sono passati più di dieci anni dalla pubblicazione del report e ancora il modello agricolo intensivo vede nei fertilizzati chimici di sintesi l’unica via possibile per fare agricoltura.
Come mai? Per cercare di trovare la risposta ci viene in aiuto un recente libro “Les apprentis sorciers de l’azote” (“Gli apprendisti stregoni dell’azoto”, editore Terre Vivante, 2021) scritto dall’agronomo e pioniere dell’agricoltura biologica Claude Aubert. Prendendo in esame alcuni studi americani ed europei sui costi ambientali legati a questa overdose, emerge che ogni chilogrammo di concime di sintesi usato nei campi costa circa un euro all’agricoltore, ma 25-100 euro alla società sotto forma di danni ambientali. Finché le politiche pubbliche non colmeranno questa differenza, in cui i danni sono a carico della società, sarà difficile promuovere una vera transizione agroecologica dei sistemi agroalimentari.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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