Ambiente / Attualità
“L’inganno”: per chi vale il petrolio in Basilicata. Il webdoc di ReCommon
Il documentario interattivo dell’associazione fa il punto sulle riserve petrolifere lucane attualmente in mano a Eni, Shell e Total. E mette in fila costi e impatti dello sfruttamento del giacimento su terraferma più “ricco” d’Europa. È uscito il 30 giugno, alla vigilia dell’udienza preliminare dei manager Eni accusati di disastro ambientale in Val d’Agri
Falde acquifere contaminate, aria irrespirabile, maggiore incidenza di tumori e malattie respiratorie sono alcuni degli impatti sull’ambiente e sulla salute dello sfruttamento petrolifero nella Val d’Agri, in Basilicata. I costi sono davvero giustificati dai benefici? Attraverso il documentario interattivo “L’inganno”, l’associazione ReCommon fa il punto della situazione sulle riserve petrolifere lucane, attualmente controllate da Eni, Shell e Total, facendo luce sui costi dello sfruttamento del giacimento su terraferma più ricco d’Europa -per questo chiamato il “Texas d’Italia”- in una tra le zone più povere e con i più alti tassi di disoccupazione del Paese.
Il webdoc è uscito il 30 giugno 2021, alla vigilia dell’udienza preliminare dei manager Eni accusati di disastro ambientale. Come spiega ad Altreconomia Luca Manes, executive manager di ReCommon, appena uscito dall’aula di tribunale dove è stato stabilito il rinvio dell’udienza a settembre, “nel 2017 nel Centro olio Val d’Agri (Cova), il più grande d’Italia, è avvenuto uno sversamento di più di 400 tonnellate di petrolio che ha inquinato la falda acquifera del Pertusillo, fonte di acqua potabile per buona parte del Sud Italia”.
Nel documentario si ricorda quanto accaduto a Giuseppe Di Bello, capitano della polizia provinciale per quasi dieci anni, e che è stato demansionato fino a diventare il custode del museo di Potenza per via delle sue denunce sull’inquinamento delle falde acquifere della zona. Non è infatti il primo disastro avvenuto nella Val d’Agri. Nel marzo 2021 si è concluso il primo grado del processo “Petrolgate”, con la condanna di Eni per traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi da attività estrattive. I fatti risalgono in questo caso al 2013-2014, quando vennero gestiti illegalmente 1 milione e 485mila tonnellate di rifiuti liquidi che richiedevano un trattamento particolare. Le compagnie detentrici della concessione Val d’Agri -Eni al 61% e Shell per il restante delle quote- li hanno però trattati come rifiuti non pericolosi, per poter risparmiare 110-140 milioni di euro in un solo anno.
Come spiega nel webdoc Di Bello, “i due processi hanno molto in comune: massimo risparmio e utile, senza alcun riguardo per l’ambiente e la salute dei cittadini”. Eni è ora costretta a pagare 700mila euro, si è vista confiscare 44,2 milioni di euro, mentre sei manager e un ex dipendente della Regione Basilicata sono stati condannati a 1 o 2 anni di reclusione. “Si tratta del primo grado a cui seguirà l’appello, ma è quanto mai significativa questa prima condanna”, afferma Manes.
Poi c’è Tempa Rossa, la centrale nell’alta Valle del Sauro gestita da Total, che è entrata in funzione qualche mese fa ma le autorità locali hanno già dovuto fermare l’attività per i continui malfunzionamenti. Definito da Manes “un buco nero”, Tempa Rossa sarebbe “la riprova che fare un impianto a mille metri di altezza sventrando una montagna è una follia”.
Aria, acqua, terra e mente. Sono i quattro capitoli de “L’inganno”, l’ultimo dei quali è dedicato alle persone e a ciò che comporta vivere nei pressi del Cova. “Odori nauseabondi, sfiammate, rumori fortissimi”, sono all’ordine del giorno, e gli impatti sulla salute non sono ancora stati valutati dalle autorità. A detta dell’executive manager di ReCommon, “il ruolo delle istituzioni è a dir poco deficitario, con controlli per la tutela della salute delle persone del tutto inadeguati”.
Le prime valutazioni di studi indipendenti condotti nella zona non sono certo rassicuranti. Nel webdoc è citata la Valutazione d’Impatto Sanitario realizzata nel 2017 e coordinata da Gianbattista Mele, dell’associazione italiana dei Medici per l’ambiente (Isde), dove è stato riscontrato un aumento della mortalità del 15% a Viggiano e Grumento -i due Comuni limitrofi al Cova- collegato alle emissioni del centro olio, rispetto a quelli degli altri 20 Comuni della Val d’Agri. Una ricerca condotta da ReCommon in collaborazione con Source International certifica poi che nella zona alcuni valori inquinanti dell’aria sono più elevati di quelli registrati a Pechino o Nuova Delhi.
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