Ambiente / Reportage
L’impero siderurgico Arvedi, da Cremona a Terni. Tra inquinamento e proteste
Gli impianti insistono in zone già duramente provate dagli impatti ambientali e non solo, con una situazione sanitaria critica. Il nostro viaggio dalla Lombardia all’Umbria, incontrando residenti, medici e ambientalisti, che denunciano da anni situazioni ormai insostenibili. Tra gli ultimi sviluppi, il caso delle scorie radioattive inviate in Sardegna
Il Gruppo Arvedi, colosso italiano della siderurgia, produce e trasforma oltre cinque milioni di tonnellate l’anno di acciaio e nel 2023 ha registrato un fatturato di sette miliardi di euro. Nonostante utilizzi solo forni elettrici e non altoforni a carbone (come l’Ilva di Taranto), le criticità ambientali lamentate da chi vive vicino ai suoi impianti, a Cremona come a Terni, sono numerose.
Il nostro viaggio inizia proprio dall’acciaieria cremonese, che si sviluppa tra Spinadesco e la frazione di Cavatigozzi (CR), lungo la riva sinistra del canale Pizzighettone. Nella città del violino occuparsi in modo critico dell’acciaieria non è semplice. Il magnate Giovanni Arvedi, con un patrimonio personale stimato in 1,8 miliardi di euro, supporta il museo del violino, la squadra di calcio della Cremonese (42 milioni di euro nel 2023), le squadre di atletica e ciclismo, l’Università del Sacro Cuore e l’ateneo Santa Monica, sua è la casa di riposo “Giovanni e Luciana Arvedi”, senza dimenticare i giornali locali e la tv locale Cremona 1.
“Iniziammo con una petizione firmata nel 2004 da 96 persone residenti per chiedere al sindaco di Cremona se tra i rifiuti e le polveri prodotte dall’acciaieria fosse presente anche la diossina -ricordano alcuni ex residenti di Cavatigozzi-. Dopo poche settimane ci trovammo a casa lettere di diffida e pretese di scusa dal pool di avvocati di Arvedi. Molti si spaventarono, pochi di noi andarono avanti, con ricorsi contro l’ampliamento dell’acciaieria e contro la nuova discarica”.
A settembre 2019 dopo il terzo incidente in pochi mesi, il sindacato Ugl attaccò duramente l’azienda per mancanza di sicurezza, lamentando che “chi tenta di far uscire una piccola parola viene immediatamente licenziato”.
A Cavatigozzi, a poche centinaia di metri dalle prime case, sorge una discarica di rottami a cielo aperto, autorizzata nel 2020. “In realtà l’autorizzazione era per un deposito temporaneo coperto ma da allora ha sempre lavorato in deroga -dice Paolo Galante, ex residente della zona che non abita più lì per disperazione-. Ogni giorno polvere, rumori, e paura di ammalarsi. Arvedi si era impegnato a ricoprire il deposito ma non l’ha mai fatto. Dopo anni di proteste inascoltate, chi poteva se n’è andato”.
A Crotta d’Adda, a otto chilometri dell’acciaieria di Cremona, sulla sponda del Canale e a poche centinaia di metri dalle anse dell’Adda, sorge un’altra grande discarica a cielo aperto di 86.900 metri quadrati e oltre un milione di metri cubi di scorie dell’acciaieria, vicino a campi coltivati e allevamenti.
A maggio 2024 otto container su venti, provenienti dalla Arvedi di Cremona, avviati allo stabilimento di Portovesme, in Sardegna, sono stati bloccati nel porto di Cagliari per la presenza di cesio-137, una sostanza radioattiva.
Stando alle dichiarazioni ufficiali, il portale radiometrico per i materiali in ingresso all’acciaieria aveva sempre funzionato regolarmente e non aveva mai rilevato alcuna radioattività.
“I materiali radioattivi in entrata sono schermati in contenitori a parete di piombo -spiega Edoardo Bai, medico di Isde, Medici per l’Ambiente-. Ma nei forni il piombo fonde. Per questo, fin dal 1997 in Regione Lombardia vige un’ordinanza che impone che i controlli radiometrici vengano effettuati anche in uscita dallo stabilimento. Arvedi ha fatto questi controlli anche in uscita?”.
Varie interrogazioni regionali e comunali hanno cercato di far luce sull’evento. “Se questi container torneranno a Cremona, dove saranno stoccati? -si domanda Paola Tacchini, consigliera comunale del Movimento 5 Stelle-. E perché l’Osservatorio attività metallurgiche creato anni fa, che riuniva vari soggetti, comitati compresi, non si è più riunito?”.
Ezio Corradi, storico attivista ambientale, ricorda di aver segnalato camion scoperti e fumanti sul percorso dall’acciaieria ai siti di stoccaggio. “Quale sarà il livello di contaminazione dei terreni tutt’intorno l’acciaieria?”, incalza.
Intanto pende la richiesta per una nuova discarica di scorie (non pericolose) poco lontano, nell’ex cava di Grumello, dove dal 2010 al 2013 furono illegalmente smaltiti rifiuti edili dal precedente proprietario. “Siamo già pieni di discariche, polveri e inquinamento, non si può più aggiungere altro”, protestano esasperati i residenti.
Cremona anche quest’anno si conferma la città più inquinata d’Italia e tra le peggiori in Europa, secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente (2024), per le numerose fonti emissive. All’acciaieria, infatti, si aggiunge l’inceneritore di rifiuti, le centrali a biomassa, l’autostrada, e altro ancora.
Uno studio epidemiologico preliminare nel 2019 firmato dal dottor Paolo Ricci, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico della Ats Val Padana, aveva evidenziato un’incidenza di patologie respiratorie del 13 per cento in più a Cremona rispetto ad altri Comuni della zona meno esposti, un eccesso di mortalità per il tumore del polmone del 17 per cento, e un eccesso del 23 per cento di casi di leucemia. Lo studio epidemiologico doveva andare avanti, per trovare la connessione tra malattie e inquinanti e accertare le cause di tanti tumori, ma venne bloccato e Paolo Ricci andò in pensione anticipata.
La seconda fase dello studio epidemiologico resa pubblica nell’ottobre 2023 dalla Ats Val padana ha messo in evidenza l’aumento dell’asma tra i bambini tra i sei e gli undici anni nel decennio 2010-2019. Secondo Ricci, però, “l’obiettivo originario dell’indagine epidemiologica, cioè la valutazione di impatto sanitario delle emissioni industriali, è purtroppo uscito dall’orizzonte del nuovo studio, che non ha identificato l’area di ricaduta delle principali emissioni industriali, né quantificato il peso della esposizione aggiuntiva di chi vive nella zona industriale rispetto all’inquinamento di fondo della Val Padana”.
Nel 2022 l’impero di Arvedi ha raggiunto anche Terni, rilevando l’85% dell’acciaieria Ast (Acciai speciali di Terni) dalla ThyssenKrupp. Nei quartieri di Prisciano e Borgo Bovio una coltre di pulviscolo bianco, aggressivo e corrosivo, ricopre ogni cosa. Anche gli alberi sono bianchi e svettano scheletrici ai lati della strada. Dalle scale alle auto, dai cartelli stradali alle siepi: “L’acqua non lava questa polvere, solo con l’acido se ne va. Qui da noi è perfino impossibile installare pannelli fotovoltaici, dopo poco sono oscurati dalla polvere e non funzionano più”.
Dal 2016 a Prisciano c’è il divieto di coltivare e di allevare animali all’aperto. “Questa polvere è causata dal processo di ‘scorificazione’ che consiste nel gettare calce sopra l’acciaio fuso per assorbire le impurità, la calce liquida ricca di impurità viene quindi portata nella rampa scorie e buttata per terra, così si crea una corrente ascensionale che raffreddandosi genera nuvole di polvere basica e ricca di metalli pesanti, tra cui nichel e cromo, che trasportata dai venti ricade sulle abitazioni. Questo avviene circa una volta all’ora”, spiega un ex dipendente.
L’ex assessore all’Ambiente del Comune di Terni, Mascia Aniello (Alternativa Popolare), dimessasi nel giugno 2024, ha presentato vari esposti alla magistratura e non usa mezzi termini: “È un sistema inaccettabile e Arvedi è l’ennesima multinazionale, dopo ThyssenKrupp, che si stabilisce nel nostro territorio già martoriato. Oltre alle polveri bianche che cadono dal cielo, a terra ci sono 330mila metri quadrati di discariche asservite al siderurgico, con colline artificiali alte 80 metri e valutazioni di impatto ambientale vecchie di vent’anni. Nei decenni sono state interrate scorie e fanghi tossici, contaminate le falde con metalli pesanti e cromo esavalente. Siamo un’area Sin mai bonificata. Mi sono dimessa opponendomi a una nuova ennesima discarica”.
Nel frattempo, a marzo 2024 si è costituito il comitato dei cittadini di Prisciano. “Secondo la stessa Arpa -spiegano- le emissioni di nichel nell’aria sono raddoppiate negli ultimi tre anni. A questo si aggiunge un odore acre e sgradevole, di plastica bruciata, che deriva, su ammissione dei dirigenti Ast, dagli pneumatici dei mezzi che passano sopra le scorie in raffreddamento. Chiediamo centraline per rilevare diossina e altri inquinanti ma le risposte sono insoddisfacenti”.
Anche le misure tampone prescritte nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), cioè bagnare i piazzali e le strade, non ottengono i risultati sperati.
“Da anni siamo sepolti dalle polveri e la terra trema sotto ai nostri piedi, a causa della triturazione delle scorie nere (destinate ad essere riutilizzate da aziende di calcestruzzo, ndr) -sospira un’anziana signora che abita vicino all’acciaieria, mostrando la sua casa piena di crepe-. Non si può più vivere così”.
Nella Conca ternana come a Cremona la situazione sanitaria è critica. Il rapporto Sentieri 2023 dell’Istituto superiore di Sanità aveva evidenziato la presenza di un eccesso di tumori tra bambini e giovani e un eccesso di mortalità nella popolazione in tutta la Conca rispetto al resto dell’Umbria.
I cittadini chiedono ora uno studio che approfondisca la correlazione tra emissioni dell’impianto siderurgico e le malattie dei quartieri più esposti.
Nel frattempo Arvedi-Ast ha annunciato che entro agosto 2025 saranno costruiti capannoni dove confinare le scorie bianche, promettendo così di ridurre le emissioni delle polveri e del nichel del 30%. Ma secondo Mascia Aniello non può essere sufficiente: “Parte della produzione deve essere sospesa, questo territorio ha già dato”.
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