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Opinioni

L’errore del manager

"Fabbrica Italia" per la Fiat e l’acquisizione di Antonveneta per Monte dei Paschi di Siena sono due operazioni fallimentari, frutto di previsioni sbagliate di Sergio Marchionne e Giuseppe Mussari. Che -però- non saranno i soli a pagare, e lo faranno in misura minore rispetto ad operai (dell’una) e azionisti e risparmiatori (dell’altra)

Sergio Marchionne, in una recente intervista rilasciata ad Ezio Mauro, ha dichiarato testualmente che la  sua proposta di “Fabbrica Italia” è stata un’”imbecillaggine”. Peccato che su questa imbecillaggine si sia giocato il risultato di un referendum che ha messo in grave difficoltà i sindacati nazionali, e in particolare la FIOM.
Marchionne sostiene che, quando ha proposto l’iniziativa di fabbrica Italia, il mercato dell’auto era in condizioni migliori, e che è la flessione del mercato ad avere reso il progetto non più fattibile. In realtà la flessione del mercato dell’auto, che avrebbe penalizzato la FIAT ben più delle sue concorrenti, era già cominciata da qualche mese, ed era tutt’altro che impossibile prevedere il suo progressivo aggravamento.
Ma Marchionne non fu in grado di prevederlo, e, comunque, il suo scopo non era quello di salvaguardare la produzione e i posti di lavoro, ma piuttosto quello di fare gli interessi dei suoi azionisti nel miglior modo possibile -vale a dire,  mettendo in CIG il massimo numero di lavoratori, non investendo miliardi in nuovi modelli, acquisendo la maggioranza in Chrysler per poi fonderla con FIAT-.

Giuseppe Mussari ha commesso lo stesso errore (se di errore si è trattato): ha fatto una scommessa ad alto rischio sui derivati, e l’ha persa. Questi derivati, dei quali si parla tanto, possono essere spiegati con un esempio semplice, quello della caparra su un appartamento. Posso dare 20 di caparra per un appartamento che vale 100; se trovo da rivenderlo a 110, guadagno 10 su un anticipo di 20: vale a dire, il 50%. Ma se lo devo rivendere a 90, ecco che ho perso il 50%. Dunque ho effettuato un rischioso investimento in derivati, essendo il cosiddetto “sottostante” il valore dell’appartamento.

Lo stesso posso fare con titoli azionari, materie prime, pacchetti di mutui ipotecari.
Per coprire l’esborso, forse eccessivo, dovuto all’acquisto di Antonveneta, Mussari ha investito in derivati e, non avendo previsto correttamente l’andamento del mercato specifico, ha perso. Anche qui, un clamoroso errore di previsione, effettuato quando era già possibile immaginare  come sarebbero andate le cose.

Possiamo dedurne che sia Marchionne che Mussari siano stati degli incapaci? A cose viste, probabilmente sì. Sia la FIAT che il MPS pagano oggi duramente gli errori dei loro capi.
Questo giudizio è forse impietoso.

In tempi non remotissimi, tutte le grandi organizzazioni -tanto la FIAT che le maggiori istituzioni creditizie- avevano degli uffici studi, il compito dei quali era proprio quello di prevedere gli andamenti dei maggiori mercati, oltre che dell’economia nel suo insieme. Quando di è trattato di ridurre le spese, si è cominciato con lo smantellare questi uffici. Oggi resistono, salvo errore,  solo quello della Confindustria e quello della Banca d’Italia.

Ciò non significa che gli uffici studi abbiano saputo sempre prevedere le crisi dei sistemi economici e dei singoli mercati. In realtà, la previsione dei “punti di svolta” congiunturali è sempre stata ardua, e sono molto più numerosi gli insuccessi dei successi (pare che un grande economista come Samuelson dicesse, come battuta, che i migliori modelli econometrici avevano previsto cinque delle ultime due recessioni). Tuttavia, quando la previsione è frutto dell’intuito di un singolo manager, e non di una squadra, è più che probabile che questa previsione sia sbagliata: il che sembra dimostrato dai due casi che abbiamo citato.

Se è vero che gli errori si pagano, in ogni caso non è mai il manager che ha sbagliato a pagare: nel caso di Marchionne, a pagare sono gli operai; in quello di Mussari, gli azionisti e -forse- i risparmiatori.

* l’autore è ex direttore centrale IRI

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