Ambiente / Varie
L’energia del Piave
Numerose comunità locali del bellunese contestano il sovrasfruttamento idroelettrico delle acque del fiume, dopo la presentazione di ulteriori 3 progetti lungo soli 20 chilometri. “Ci dobbiamo difendere dalle provocazioni. Avete presentato un progetto di centralina sotto il ponte di Santa Caterina che è il simbolo del nostro Comune. Voi pensate che noi lasceremo che il nostro stemma veda comparire anche la vostra barriera?" dice Ezio Orzes, assessore a Ponte nelle Alpi
“Ci dobbiamo difendere dalle provocazioni. Avete presentato un progetto di centralina sotto il ponte di Santa Caterina che è il simbolo del nostro Comune. Voi pensate che noi lasceremo che il nostro stemma veda comparire anche la vostra barriera? Lo avete fatto in modo irrispettoso, venite qui a presentarlo senza nemmeno interloquire con l’amministrazione comunale. Basta con le continue aggressioni al nostro territorio, speculando sui beni comuni”. È con durezza che Ezio Orzes, assessore all’ambiente del comune di Ponte nelle Alpi, accoglie i tecnici giunti il 19 novembre 2015 per un sopralluogo per la costruzione di una centralina idroelettrica sul corso del fiume Piave nel tratto che attraversa il piccolo comune alle porte di Belluno. L’assessore e il sindaco Paolo Vendramini abbandoneranno poi la presentazione, lasciando nell’aula del comune solo i tecnici e i pochi giornalisti presenti. Fuori, qualche decina di poliziotti, numero esagerato, soprattutto per contestazioni che non ci sono state. Il sopralluogo di Ponte nelle Alpi era stato inizialmente annullato proprio per il timore di proteste. Pochi giorni prima, il 12 novembre, a Limana, a pochi chilometri da Ponte nelle Alpi, i tecnici privati e quelli del Genio Civile erano stati pesantemente criticati dai comitati che si occupano di acqua, per l’ennesimo progetto di centralina idroelettrica.
Quello di Ponte nelle Alpi è il terzo di tre progetti molto simili presentati dalla Reggelbergbau, azienda di costruzioni altoatesina con una ventina di dipendenti di proprietà della famiglia Brunner, le cui domande di derivazione presso l’Autorità di bacino competente per la Piave risalgono al marzo 2015. Gli impianti sono progettati dallo studio Zollet (di Santa Giustina, BL), che ha già realizzato alcuni impianti su queste acque.
Le tre centraline dovrebbero sorgere a poca distanza l’una dall’altra, a Ponte nelle Alpi, a Belluno (sotto il Ponte della Vittoria, uno dei simboli della città) e appunto a Limana, in un tratto di fiume che non supera i 20 chilometri.
Vista la difficoltà a parlare con i progettisti (nonché di reperire i materiali depositati), il progetto ce lo spiega Michela Rossato, assessore ai Lavori pubblici del comune di Limana. “Anche noi Comuni abbiamo fatto richiesta di copia degli atti al Genio Civile richiesta, ma ce l’hanno negata -racconta-, per cui siamo stati costretti a valutarlo solo il giorno del sopralluogo. La tecnologia utilizzata sui tre bacini si chiama rubber dam, consiste in piccole dighe gonfiabili, costituite da un piede fissato al suolo in cemento armato e una parte mobile che crea il salto idraulico. Non si tratta di un vero e proprio sbarramento, le dighe gonfiandosi dovrebbero convogliare l’acqua verso le turbine che poi verrebbe reimmessa nel fiume. Per noi è pericoloso: il livello della Piave si alza, creando una sorta di lago. Noi siamo quelli più a valle, quindi in caso di piena siamo quelli più a rischio. Si tratta di centraline sotto il megawatt, so che il progetto (che costa 5 milioni di euro) prevede anche una cabina di trasformazione”.
“La legislazione è carente -spiega Paolo Vendramini, sindaco di Ponte nelle Alpi-, e non abbiamo potuto leggere un progetto che riguarda il nostro territorio fino al giorno del sopralluogo. I Comuni sono spettatori passivi in tutto questo, non abbiamo il peso politico per opporci. Ma questa è una zona franosa, ed è evidente che i proponenti nemmeno la conoscono. Abbiamo scritto alla Reggelbergbau perché ritiri ufficialmente il progetto”. Secondo il sindaco di Ponte nelle Alpi, “il progetto va a colpire una zona dall’enorme valore paesaggistico, con i tre castelli e il ponte di Santa Caterina che risale almeno all’epoca romana”. Ad ottobre anche il consiglio comunale di Belluno ha preso una posizione netta contro il progetto relativo al proprio territorio, votando all’unanimità, con il sindaco Jacopo Massaro che in un’intervista pubblicata dal Corriere delle Alpi il 26 ottobre ha parlato di “stupro del territorio”.
Secondo Arpav, sul territorio bellunese sono presenti 26 grandi impianti di proprietà dell’Enel, quasi una cinquantina di piccoli impianti (il cosiddetto mini-idroelettrico, con centrali la cui potenza nominale è inferiore a un megawatt) e 75 concessioni attive per derivare l’acqua a scopo idroelettrico. Sono 200 i chilometri di condotte forzate. Non esiste un database provinciale o regionale che metta però insieme tutte le domande di concessione in attesa. Questo compito ha cercato di svolgerlo il comitato Acqua Bene Comune, che nel 2013 ha presentato un primo lavoro di documentazione sulle richieste di autorizzazione delle nuove centraline (vedi Ae 153, http://bit.ly/mini-idro-belluno). Hanno calcolato circa 150 domande, ma il dato è da aggiornare. In pratica non c’è fiume o torrente che non siano derivati o su cui penda una richiesta di concessione. La prima derivazione della Piave è la diga del Tudaio, a Santo Stefano di Cadore, a nemmeno 30 chilometri dalla sorgente (su un fiume lungo 220 chilometri). Il comitato cita uno studio dei primi anni 90 della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) che parla del 90 per cento di artificializzazione per quanto riguarda i principali fiumi alpini. “La situazione aggiornata potrebbe essere addirittura peggiore”, confermano dalla Cipra.
Per la Piave, le stime sull’artificializzazione corrispondono a questi dati e le richieste di concessione si riferiscono per lo più a quel 10 per cento di acque ancora libero.
Il comitato ha avviato negli ultimi mesi una mobilitazione permanente con lo slogan “Adesso basta centrali”. L’ultima manifestazione si è tenuta il 13 dicembre, quando una settantina di attivisti hanno organizzato una pacifica camminata sul Col Visentin, da cui nelle giornate limpide si può vedere la laguna di Venezia. Per i manifestanti voleva essere un simbolico appello verso la sede della Regione, che i comitati accusano di autorizzare troppo facilmente le nuove concessioni. Accusa che l’assessore regionale all’Ambiente Giampaolo Bottacin respinge: “Le contestazioni sono indirizzate all’obiettivo sbagliato. Le centraline infatti esistono solo in virtù del fatto che sono incentivate dallo Stato. Le direttive europee vanno nella stessa direzione, perché incentivano le fonti rinnovabili” spiega l’assessore. La bozza del nuovo Decreto che disciplina gli incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche, in discussione, parrebbe tener conto dell’esigenza di tutelare il corso d’acqua, limitando gli incentivi per quegli impianti che dovessero avere un impatto negativo sui parametri ambientali, come definiti dalle Direttiva 2000/60. Secondo l’assessore veneto, in ogni caso “i Comuni non possono avere diritto di veto, perché questo violerebbe la legge italiana. Il problema vero è il vuoto normativo che esiste in Italia a livello nazionale”. Vuoto normativo significa, ad esempio, non valutare complessivamente 3 progetti in pochi chilometri lungo lo stesso fiume, ma esaminarli uno per uno, non considerando l’impatto cumulato. —