Cultura e scienza
L’economia recita il copione
In provincia di Lucca, un’avventura teatrale cerca di scardinare l’impero della finanza e l’invadenza del consumo. Provando a far cambiare l’ordine dei desideri. Intervista a Roberto Castello
Roberto Castello è un uomo di spettacolo. Proviene dalla danza e coltiva la sperimentazione, all’incrocio con il teatro, la musica, le arti visive. Lo fa in un piccolo centro, Porcari, in provincia di Lucca, con l’associazione Aldes, che gestisce il progetto “Spam!”, “residenza coreografica” e laboratorio permanente per le arti contemporanee. Castello dice che “lo spettacolo dal vivo è un sistema immunitario” che protegge dall’omologazione tipica dei grandi media.
La sua avventura più recente è un atto comico -concepito e realizzato con Andrea Cosentino- che azzarda un titolo sorprendente: “Trattato di economia”. È un duetto che fa ridere e sorridere (anche amaramente) mentre conduce, con toni e argomenti semiseri quanto intelligenti, una critica serrata al “sistema”: mette alla berlina il dominio anche emotivo del denaro, l’impero della finanza, l’obbligo del consumo, le bizzarre logiche di prezzo. È un cabaret da dadaisti del ventunesimo secolo.
Roberto, addirittura un “Trattato”?
RC (sorride) Il titolo è altisonante e presuntuoso quanto è supponente la pretesa dell’economia, specie quella finanziaria, di essere la misura di tutto. Sembra che con i soldi si possa capire tutto, si possa decidere tutto, si possa orientare tutto.
Che cosa vi ha spinto a occuparvi di economia?
RC Siamo partiti da una mia inquietudine, cioè dall’osservazione che il denaro viene distrattamente ritenuto un elemento oggettivo, come se fosse un elemento di natura. Da lì è partito il discorso. Se si guarda con un po’ di distanza che cosa il denaro ci spinge a fare, ci si imbatte in una serie di stranezze e quindi si apre un grande spazio di riflessione.
Infatti cominciate lo spettacolo comparando un fallo di gomma e una paperetta: stessa quantità di plastica, prezzi al consumo molto diversi.
RC È stata un’idea geniale di Andrea. Avevamo lì questi oggetti e lui si è domandato: ma com’è possibile che due cose così simili abbiano due valori così diversi? E che la meno costosa sia quella che serve di più? Tutto lo spettacolo è costruito così, con spunti magari ridicoli ma che offrono motivi di riflessione.
Avete approfondito molti aspetti dell’economia contemporanea. Quanto e come avete studiato?
RC C’è stato lo studio e ci sono state le domande che abbiamo rivolto ad amici commercialisti e a qualche economista. Fra le letture, devo dire che sono stati fonte di grande ispirazione anche testi che potremmo definire marginali, magari strampalati ma per noi interessanti. Il nostro è un lavoro comico e quindi tutto ciò che è capace di ribaltare la visione convenzionale delle cose ci è congeniale. Penso ad esempio ai testi di Domenico De Simone sulla moneta. Non è un economista, non è un accademico e non è tenuto in grande considerazione, ma ha scritto qualcosa sul denaro a scadenza. Grazie ai suoi libri ho scoperto che il denaro è l’unica cosa non deperibile del nostro universo. Tutto ha un processo di deterioramento e poi una fine. Il denaro no. A quel punto ad Andrea è venuta l’idea che abbiamo messo nello spettacolo: se le salsicce fossero il denaro, sai come circolerebbe velocemente.
Che idea ti sei fatto dell’economia e degli economisti?
RC Più sono avanzate le mie letture, più mi è sembrato di capire che il cuore della disciplina economica è il nostro rapporto con le cose che utilizziamo. Punto. Quindi l’economia mette insieme morale, etica, psicologia, il sistema dei valori: è qualcosa che sorregge le nostre azioni e le relazioni con gli altri. Questo è lo specifico dell’economia, non il denaro, che ha un ruolo tutto sommato marginale. Ed è una materia di enorme interesse.
Quindi Trattato di economia può essere interpretato anche in chiave esistenziale, uno strumento di riflessione su di sé?
RC Diciamo che lo spettacolo ha un presupposto: escludere l’idea che l’economia abbia prevalentemente a che fare con la finanza e con il denaro. Per dire: c’è un’economia anche nel rapporto che abbiamo con il successo nella società. Uno può anche dire: non mi interessano i soldi, bensì il successo. Ma il successo mette in moto dei meccanismi che sono molto simili a quelli finanziari, anche se non si traducono necessariamente in denaro. Una persona che fa teatro per forza di cose è dentro un meccanismo economico; ma se non sei schivo rispetto al successo, questo è un lavoro che non puoi fare. Allora la domanda è: come puoi coniugare il desiderio di essere retto dal punto di vista deontologico, quindi non rincorrere il successo a qualsiasi costo, con il fatto che tu sia popolare e abbia un esito economico del tuo lavoro?
Al punto che verso la fine mostrate il video di una recensione: un vero critico commenta il vostro stesso spettacolo, senza averlo visto…
RC È Attilio Scarpellini, noto per essere un critico integerrimo. Nel nostro mestiere, come in tanti altri, ci sono persone incorruttibili e persone che senza ritenersi corruttibili sono più propense a rapporti per così dire flessibili. In Trattato di economia il fatto di pagare preventivamente una recensione a un noto giornalista che commenta lo spettacolo senza averlo visto, dice più cose contemporaneamente. Una è che i critici non di rado scrivono -più nel passato che oggi, a dire il vero- senza avere visto lo spettacolo, o non fino in fondo. In secondo luogo svela e trasforma in barzelletta una contiguità che a volte non è così innocua e innocente fra artisti e critica. Terzo, c’è l’idea che con il denaro si può comprare tutto e quest’idea è parte integrante delle filosofie neoliberiste.
Com’è andata con Scarpellini?
RC Attilio ha scritto veramente la recensione da solo. Non ha visto un minuto di prove, non gli abbiamo detto niente dello spettacolo, salvo: si chiama “Trattato di economia” e abbiamo pensato che si debba concludere con una tua recensione, professionale e regolarmente pagata, ma tu non devi avere visto niente e devi dire durante la recensione stessa che sei stato pagato per commentare uno spettacolo che non hai visto. Ha chiesto 250 euro.
E glieli avete dati?
RC Certamente sì.
Giusto, è una cosa seria…
RC No, è una cosa poco seria, ma non avrebbe lo stesso senso se fosse semplicemente una favola.
Credi che lo spettacolo abbia un ruolo nel cambiamento economico e politico?
RC Ammesso che quanto ho detto finora abbia senso, l’unico modo per essere meno prigionieri di questo sistema è squisitamente culturale. In definitiva, ci può essere un cambiamento solo se i nostri desideri cambiano. Il nostro schema del desiderio dovrebbe ruotare di qualche grado verso un rapporto con la realtà più concreto. Se dobbiamo sviluppare un pensiero che ci porti a ridurre i conflitti, le sopraffazioni, l’obiettivo è riuscire a dare un senso alla nostra vita; l’arte e lo spettacolo costituiscono uno dei campi in cui si elaborano i nuovi pensieri.
E tutto ciò è possibile anche da un luogo piccolo e periferico come Porcari?
RC Molte persone continuano a pensare che la contiguità fisica della grande città sia indispensabile per la produzione culturale. Io credo invece che questa sia una visione sbagliata, specie in un Paese come l’Italia, nel quale il 60% della popolazione vive nei piccoli centri. Negli anni 80 siamo stati travolti dalle politiche mediatiche dei grandi centri politici e televisivi perché in provincia non arrivava una comunicazione di qualità. Viceversa, insediare nel territorio, sparpagliato, lo spettacolo dal vivo, di qualità, è una grande assicurazione di profonda democraticità e di pluralismo.
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