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Esteri

Le strade dell’invasione

La Cina sta realizzando un’autostrada in Nepal, nel bel mezzo di un parco nazionale. Per espandere la propria egemonia commerciale

Tratto da Altreconomia 134 — Gennaio 2012

Dal lato nepalese della frontiera c’è soltanto una guardia dall’aria rassegnata. Protetto dalla sua povera giacca d’ordinanza, batte i denti contro il vento freddo che le montagne tibetane costringono nella valle del fiume Bhote Koshi. Intorno a lui un universo di desolazione. Le rovine dell’antico forte in pietra di Rasuwaghadi, simbolo dell’epoca in cui il Grande Nepal era una potenza rispettata e temuta dai suoi vicini, sono nascoste da montagne di cemento e ferraglia. Materiale rosicchiato dal tempo prima ancora che venga impiegato nella costruzione del futuro.

Dal lato cinese della frontiera, ci si attrezza invece al meglio per gestire il traffico commerciale che presto investirà la valle nepalese. Un mastodontico edificio di 5 piani, cui mancano soltanto gli ultimi ritocchi, rimpiazzerà i 2 prefabbricati che costituivano il vecchio ufficio di controllo. La rete ferroviaria arriverà qui tra qualche mese. Quella stradale è già distesa fino al confine: una lingua di cemento grigio, pronta a tuffarsi sui grandi piloni costruiti accanto all’esile ponte pedonale che ha garantito finora l’attraversamento del fiume.

Con un investimento iniziale di 20 milioni di dollari, il governo cinese si è assicurato il diritto di costruire un’autostrada all’interno del Parco nazionale del Langtang, la più antica tra le aree protette istituite dal governo nepalese lungo la catena dell’Himalaya. Una volta terminata, la Rasuwagadhi-Syaphrubesi garantirà il collegamento principale e più rapido tra Kathmandu e Lhasa, e di conseguenza anche tra le superpotenze Cina e India.

“I prodotti nepalesi conquisteranno il mercato globale!”. Arrivato qualche mese fa dalla capitale per insegnare in un villaggio locale, Adripathi fa eco alla propaganda governativa. “La nuova autostrada è una grande opportunità per il Nepal. Soprattutto per gli abitanti di queste valli, dove il trasporto delle merci è affidato alla schiena degli uomini o al dorso di qualche mulo”. La valle del Bhote Koshi è stata una delle antiche vie della seta. Mandrie di yak scendevano dall’altopiano tibetano coi dorsi carichi di sale, che veniva scambiato con il prezioso tessuto prodotto nella grande pianura ai piedi dell’Himalaya. Ancora oggi nella zona il trasporto merci è affidato agli animali, che si muovono sui vecchi sentieri disegnati lungo le pendici delle montagne. Quando nei primi anni 50 la Cina ha dato il via all’invasione del Tibet, molti tibetani hanno usato gli stessi sentieri per sfuggire all’occupazione della loro terra. Le montagne del Langtang e del Ganesh erano semi deserte, e il governo nepalese non ha mai fatto nulla per ostacolare o incentivare i nuovi venuti.

Dall’istituzione del Parco nel 1976, l’amministrazione statale impone però limiti rigidi agli abitanti della zona: il taglio della legna è severamente razionato, mentre agricoltura e pastorizia possono essere praticate soltanto su piccola scala. Anche chi si avventura tra queste terre remote deve rispettare regole precise. L’uso della plastica è bandito, e per non incoraggiare il taglio clandestino della legna occorre imparare a lavarsi con l’acqua fredda anche quando la temperatura scende sotto lo zero.

Tanto rigore è però venuto meno di fronte al capitale cinese. Il bisogno sempre più urgente di assicurarsi un nuovo sbocco commerciale a cavallo dell’Himalaya, ha spinto la Cina a garantire risorse illimitate per la costruzione dell’opera. Di fronte a tanta “generosità”, il governo nepalese non ha opposto la minima resistenza. La Rasuwagadhi-Syaphrubesi offrirà presto un’alternativa più rapida all’unico corridoio himalayano esistente fino a oggi, l’Arniko Highway. Costruita negli anni 60 con capitali cinesi e recentemente asfaltata sempre dai cinesi, da tempo questo unico sbocco non è più in grado di supportare il flusso regionale delle merci, alimentato quasi esclusivamente dalle economie cinese e indiana.
Se l’opera favorirà sempre di più la mobilità interna della regione, l’incertezza riguardo alle sue conseguenze economiche rimane forte. “I nepalesi di Trisuli e dei villaggi più a Sud -spiega Nima Ghale, abitante del villaggio di Timure- si stanno accaparrando tutti i terreni che sorgono lungo la nuova via. Presto l’intero villaggio sarà loro proprietà, e noi che viviamo qui da mezzo secolo saremo costretti a spostarci e ad abbandonare i nostri campi. Per sopravvivere non ci rimarrà che raccogliere legna da ardere e erbe per il foraggio degli animali. La nostra vita è destinata a essere molto più dura”.

Oltre a portare tensioni interne nella valle, la nuova via commerciale rischia di schiacciare la fragile economia nepalese tra quelle dei giganti regionali. I prodotti cinesi, forti di costi di produzione molto bassi, sembrano destinati a conquistare una fetta sempre più ampia del mercato interno nepalese, spazzando via i produttori artigianali locali. Difficile immaginare invece quali prodotti nepalesi possano guadagnare terreno sul mercato cinese. Già oggi la bilancia commerciale tra i due Paesi pesa in modo deciso a favore della Cina, che nel 2008 esportava in Nepal beni per oltre 400 milioni di dollari, importando appena per 15 milioni. Uno giro per Syaphrubesi, ultimo villaggio della regione del Langtang a essere connesso con la rete stradale nepalese, lascia già immaginare quali potrebbero essere gli scenari futuri. Nelle bancarelle locali infatti è possibile trovare biscotti, saponi, cioccolata e bibite di grandi multinazionali straniere, mentre non c’è alcuna traccia dei prodotti tipici della regione, come il formaggio di yak o i tessuti tradizionali tamang.
Camminando lungo il fiume, avvolti nella polvere di una lunga serie di cantieri a cielo aperto, l’alto impatto ambientale dell’opera sull’ecosistema himalayano è già evidente. I fianchi delle montagne sono segnati da frane ripetute, che hanno compromesso molti degli antichi sentieri lungo le pendici. La dinamite impiegata nei lavori di scavo ha causato forti smottamenti della terra, che ha inghiottito alcune sorgenti d’acqua potabile. Le piscine termali nei pressi del villaggio di Timure sono sparite, sommerse dagli scarti di produzione di uno dei cantieri. Ma soprattutto la vita di buona parte degli abitanti dei villaggi toccati dalla nuova via ha subito una rivoluzione profonda: la televisione al posto del fuoco intorno a cui si chiacchierava, indifferenza o risentimento per lo straniero dove prima albergava una generosa curiosità, dispense imbottite di alcool cinese a basso costo in cui affogare la polvere del presente.

Con i lavori di costruzione dell’autostrada avanza anche la penetrazione dello Stato. “Il governo nepalese -racconta lo sciamano del villaggio di Thuman- sta compiendo grandi sforzi per assorbire gli abitanti di queste aree remote. Con la scusa di renderci beneficiari di programmi assistenziali o di concederci diritto di voto, gli ufficiali governativi vengono nei villaggi a raccogliere le nostre generalità, impronte digitali comprese. Lo stesso sistema che permette ai cinesi di devastare questa valle si occupa d’individuare eventuali focolai della dissidenza indipendentista tibetana ed estinguerli per sempre”.
Negli ultimi mesi la questione tibetana si è letteralmente infiammata. Oltre frontiera, nella regione di Ngaba (Sichuan orientale), alcuni monaci si sono suicidati dandosi fuoco per protestare contro la repressione culturale cinese. La comunità tibetana residente in Nepal è molto numerosa. Bouddha, sobborgo di Kathmandu, è un centro di un’importanza paragonabile solo a quello di Dharamsala in India, dove vive in esilio il Dalai Lama e ha sede il governo tibetano. Da quando i maoisti hanno preso il potere in Nepal, il governo ha assicurato la massima collaborazione nella repressione dei dissidenti tibetani sul proprio territorio. A Kathmandu, le manifestazioni di solidarietà ai monaci che si sono immolati sono state soffocate dalla polizia nepalese in assetto antisommossa, che ha ferito e imprigionato decine di persone.

Anche la cerimonia di apertura dei cantieri della Rasuwagadhi-Syaphrubesi è stata occasione per il governo maoista di ribadire la propria fedeltà alla causa cinese. “Nel costruire questo importante collegamento tra i nostri Paesi -ha dichiarato Madha Kumar, allora Primo ministro del governo nepalese- la Cina ha una sola preoccupazione: la stabilità del Tibet. Il governo nepalese considera il Tibet parte integrante della Cina, e non permetterà che il proprio territorio venga utilizzato per destabilizzare la regione”. A chi gli ha chiesto cosa comportasse questa politica per gli abitanti della regione del Langtang, l’ex Primo ministro ha risposto che non hanno nulla di cui preoccuparsi. “Da quando la Cina ha occupato il Tibet, i cinesi sono stati bollati come violenti e traditori. Ho avuto modo di vistare i territori oltreconfine, e mi sono fatto un’impressione diversa. Il governo cinese ha costruito ovunque case e strade, così che la gente potesse avere una vita migliore”. —

 

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