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Opinioni

Le stime inattendibili sul Pil

OCSE, Fondo monetario internazionale, Banca d’Italia e agenzie di rating rivedono le proprie previsioni sul prodotto interno lordo italiano. Secondo il professor Alessandro Volpi, ogni "numero" resterà inattendibile "fino a quando non riprenderà fiato la creazione, continuativa, di nuovi posti di lavoro". Ogni revisione, intanto, partorisce la “sindrome” della manovra aggiuntiva

Ormai sembra non esserci nulla di più incerto delle previsioni sul Pil italiano. Gli ultimi dati forniscono un’indubbia conferma di tale singolare fenomeno. Secondo l’Ocse le iniziali stime di crescita del prodotto interno lordo del nostro Paese, nel 2014, sarebbero state non lontane dall’1%, si sono poi dimezzate nel giro di qualche mese e ora sono precipitate ad un tristissimo -0,4%. 
Revisioni analoghe hanno conosciuto le stime prodotte dal Fondo monetario internazionale che da un’ipotetica crescita dello 0,6, immaginata a gennaio, sono scese a luglio allo 0,3 mentre a settembre sono crollate a -0,1. Più moderatamente ottimista si è rivelata la Banca d’Italia, che ha rivisto le sue previsioni riducendo le stime dallo 0,7 di gennaio allo 0,2 attuale. 
Anche le agenzie di rating sono state costrette a continui aggiustamenti delle loro previsioni, a partire da S&P che ha modificato il dato di una crescita pari a 0,5 abbattendolo fino allo 0%. Dunque si è profilata l’ennesima sequenza di errori di valutazione che, sia pur motivati dalla difficoltà complessiva di qualsiasi attività divinatoria, tendono a rendere davvero inaffidabile persino le stime elaborate dai più rinomati organismi internazionali.

Le cause di tali pesanti scostamenti si legano sia alla normale imponderabilità degli scenari internazionali sia all’estrema difficoltà, molto peculiare del caso italiano, di far ripartire una reale produzione di ricchezza. 

Se la maggiore stabilità politica è riuscita a ridurre in maniera significativa il costo degli interessi sul debito pubblico, non è stata ancora in grado di generare uno stimolo forte in termini di ripresa occupazionale: con una disoccupazione al 12,6%, il livello più alto dal dopoguerra, e in costante ascesa, è inevitabile che il Pil latiti e tenda a legarsi in maniera vincolante proprio alle sorti del mercato del lavoro. Alcune delle variabili che incidono in misura maggiore sulla volatilità del Pil sono infatti, in questa fase, relativamente stabili: dal prezzo del petrolio, a quello delle materie prime, ai tassi di interesse, fino alla domanda mondiale che, sia pur tra varie oscillazioni, non si è modificata negli ultimi mesi in maniera sostaniziale.

Appare chiaro pertanto che la difficoltà nel fare previsioni per la vicenda italiana dipenda, ora, da motivazioni interne e che tra tali cause la debolezza dell’occupazione sia forse la principale. Né il bonus da 80 euro, né il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, insieme alle altre misure varate nel corso dell’anno, sono riusciti a riaccendere il motore della ripresa perché appesantiti dalla grave stagnazione del mercato del lavoro che non viene scossa neppure dalla liquidità gratis messa in circolazione dalla Bce, dal calo degli spread e da alcuni incentivi fiscali. 
Fare previsioni sul Pil italiano sarà quindi sempre una fatica improba fino a quando non riprenderà fiato la creazione, continuativa, di nuovi posti di lavoro. Del resto, gli altri Paesi europei registrano scostamenti nelle stime di crescita certamente meno accentuati in virtù del fatto di disporre di indicatori economici più robusti, a cominciare, non a caso, dalla capacità di dar vita a nuova occupazione. Questa peculiare inattendibilità delle stime italiane rappresenta però, a sua volta, un motivo di ulteriore ritardo in quanto obbliga ad una navigazione a vista dei conti pubblici, ancorati inopinatamente dal Patto di stabilità agli andamenti del Pil.

Ogni revisione delle stime partorisce infatti la “sindrome” della manovra aggiuntiva, aprendo dibattiti e alimentando timori in merito a nuovi incrementi della pressione fiscale o a nuovi tagli destinati ad avere un impatto non trascurabile sulla propensione al consumo degli italiani. È molto probabile che almeno una dose dell’attuale deflazione si leghi alla riduzione della domanda interna provocata dalle ansie di nuove manovre. Se gli errori nelle previsioni metereologiche possono causare danni al turismo, sconsigliando vacanze incerte, quelli relativi all’andamento del Pil possono determinare l’isterilirsi dei consumi per il timore di nuovi salassi. Per restituire al nostro Paese una maggiore serenità, insieme a previsioni più stabili, occorre quindi rimuovere la ragione principale delle incertezze che è ormai facilmente identificabile nella debolezza del mercato del lavoro.
 

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