Terra e cibo / Opinioni
Le sfide della nuova legislazione sulle sementi
Dalla tutela della biodiversità allo scambio di semi, la riforma della Commissione europea chiarisce le criticità da sciogliere. In Italia il dibattito è indietro. La rubrica di Riccardo Bocci
Nel 2014 il Parlamento europeo ha bocciato senza appello la proposta di riforma della normativa sementiera, presentata dopo un percorso lungo ben sette anni di discussioni e negoziati tra gli Stati membri e i vari stakeholder coinvolti. Il brusco stop ha bloccato di fatto qualsiasi discussione sulla legislazione sementiera per cinque anni. L’unica apertura della proposta che ha trovato una sua vita indipendente è stata quella legata alle popolazioni, diventate il materiale eterogeneo previsto nel nuovo regolamento del biologico in vigore da gennaio 2022. Ma più per insistenza e caparbietà del mondo del biologico che per scelta dei decisori politici o degli Stati membri. Infatti la deroga usata in questi anni per commercializzare le sementi delle popolazioni è scaduta nel 2020 e non è stato fatto nessun nuovo atto legislativo per inserire tale possibilità nel corpo della normativa attuale.
Per questo motivo assume particolare valore la decisione del Consiglio del novembre 2019 di riaprire il vaso di Pandora, chiedendo alla Commissione europea uno studio per valutare le opzioni per una modifica della legislazione sementiera. Si tratta di un’occasione da non perdere perché difficilmente ce ne sarà un’altra nei prossimi anni. La sfida non è solo adeguare una normativa suddivisa in una dozzina di direttive per le varie specie, con interpretazioni diverse nei vari Stati membri, e pensata per i bisogni dell’agricoltura del secondo dopoguerra focalizzati sulla produttività e l’aumento delle rese per ettaro; ma anche capire come questa possa rispondere ai bisogni di oggi.
Anche la normativa sementiera, infatti, dovrà essere allineata e coerente con i nuovi obiettivi stabiliti dalle strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità” andando a contribuire alla conservazione dell’agrobiodiversità, alla necessità di una maggior diversità coltivata in campo, a supportare metodi di coltivazione alternativi attraverso lo sviluppo di varietà e materiale eterogeneo per il biologico. Tutti temi fondamentali per costruire sistemi sementieri e alimentari diversificati. Il documento di lavoro prodotto dalla Commissione nell’aprile 2021 ha individuato alcuni di questi punti critici da sciogliere con la riforma: chiarire che lo scambio di sementi e la loro commercializzazione per alcuni attori dovrebbe essere fuori dalla normativa, facilitare la registrazione e la vendita delle varietà da conservazione, e conservare e promuovere l’agrobiodiversità attraverso processi di innovazione partecipata.
In seguito, lo scorso giugno la Commissione ha prodotto una valutazione d’impatto su cui i vari portatori d’interesse e i cittadini si sono espressi durante l’estate. Il documento individua quattro possibili opzioni di cui solo la seconda contiene aperture interessanti al mondo dell’agrobiodiversità. È ancora sul tavolo, tra l’altro, la possibilità di non cambiare nulla, quindi è importante, come società civile, far arrivare una voce chiara a Bruxelles sulla necessità di una seria e profonda revisione del settore.
4 sono le realtà italiane che hanno risposto alle proposte, elaborate nel giugno 2021 dalla Commissione europea, sulla revisione della normativa sementiera.
Purtroppo a queste proposte hanno risposto solo un numero limitato di attori, 66 a livello europeo e appena quattro dall’Italia. Per fine anno è prevista una nuova consultazione pubblica con i cittadini e tutto questo processo dovrebbe concludersi a fine 2022 con una nuova normativa orizzontale (probabilmente un regolamento al posto delle attuali direttive) che regolamenterà la commercializzazione delle sementi.
In Italia il dibattito su questo processo è completamente assente, eppure dovrebbe essere ormai evidente che la qualità del cibo è strettamente legata ai semi e alle varietà che si coltivano per produrlo.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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