Ambiente / Opinioni
La transizione ecologica non può essere nemica del suolo
È necessaria la conversione alle energie rinnovabili, ma non divorando fertili terreni agricoli che assicurano cibo e biodiversità. La rubrica di Paolo Pileri
“Luglio col bene che ti voglio i pannelli sullo scoglio vedrai li metterò…”. Se il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) cantasse, questo sarebbe il suo ritornello, considerata la quantità di pannelli solari che vuole mettere a terra in poco più di cinque anni. È necessaria la conversione alle energie rinnovabili, ma non divorando fertile suolo agricolo che ci dà cibo e biodiversità. Spiace vedere una transizione ecologica praticare il vecchio vizio secondo cui si annuncia sostenibilità da una parte a colpi di insostenibilità dall’altra.
Ci mettono sempre dentro al dilemma della guerra tra poveri: buona energia contro suolo; posti di lavoro contro suolo; sostenibilità contro suolo. E noi, disperati, accettiamo. Quando invece una transizione ecologica seria dovrebbe spaccarsi la testa per generare eco-risorse dalle ceneri di quanto il modello di consumo aveva distrutto fino a un momento prima e non da quanto è rimasto di intatto.
Vuoi vedere che il modello che ci propongono non è mutato? Uno scenario possibile del Pnrr-Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) vorrebbe mettere a terra in meno di sei anni circa 15 GigaWatt (12 da Pniec con l’opzione “Power-up” e tre con misure ad hoc). È una quantità enorme da attuare in un tempo troppo breve, che vuol dire non farsi tanti scrupoli di rispetto ecologico. Per i soli 15 GigaWatt di solare potrebbero essere necessari tra i 10 e i 18mila ettari di suolo (agricolo).
Si potrebbe arrivare ad aumentare del 50% il consumo di suolo annuale italiano riducendo ancora la già scarsa produzione di cibo. E cosa accadrà fra 25 o 30 anni quando quei pannelli saranno da buttare? Qual è il programma di dismissione e recupero previsto per quei suoli? Il Pnrr tace. Nella foga di fare presto e di produrre energia sostenibile non si è fatta nemmeno una valutazione sull’impatto insostenibile su suoli e paesaggio. Eppure basterebbe farsi un giro tra i campi solari installati senza criterio in Sardegna, Marche, Puglia, Veneto e persino nelle Langhe piemontesi.
Più 50%. Il possibile incremento di consumo di suolo annuo se i pannelli solari previsti dal Pnrr venissero messi a terra in sei anni
Qual è il messaggio che passa da questo modo di agire? Il solito di sempre, ma ora tinto di green: “In nome della crescita ‘sostenibile’, l’insostenibile è ammesso”. Pensate che occasione straordinaria sarebbe stata mettere in movimento una campagna per fotovoltaico solo sui tetti dei capannoni o nelle aree dismesse o in cave o discariche. Solo 0,43 GW sono destinati ai tetti di edifici agricoli, ovvero il 2,8% di quanto previsto entro il 2025-26.
Non possiamo neppure far pieno affidamento sulla Commissione per la valutazione di impatto ambientale perché nel frattempo il decreto legislativo del 31 maggio 2021 l’ha sgambettata per bene, affermando che tutti gli interventi del Pnrr sono da ritenersi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti (art. 18); che il ministero della Cultura, titolare della cura del paesaggio, può dare pareri ma non vincolanti (art. 30); che la soglia di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (Via) è stata innalzata da 1 a 10 MW per alcuni impianti (art. 31). Infine è stata creata una commissione Via ad usum Pnrr-Pniec interdetta ai professori (art. 17). Ci mancavano pure le epurazioni-esclusioni: e perché mai? Sono loro i grandi colpevoli del ritardo nel fare le opere di energia rinnovabile? Sono troppo ambientalisti? Oppure pensano molto con la loro testa? Francamente è una caduta di stile che si aggiunge alle tante fratture con la quale la transizione ecologica imprimerà il suo marchio.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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