Opinioni
La ‘rivoluzione’ delle energie rinnovabili
Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci. È una celeberrima frase di Gandhi che sembra scritta apposta per descrivere quel che accade oggi al sistema energetico italiano. Fino a non molti anni fa, chi auspicava la rapida diffusione delle fonti rinnovabili in Italia e nel mondo era semplicemente invisibile, inascoltato. Una bella disposizione dell’animo: i bravi ragazzi col pannello fotovoltaico. Le cose serie lasciatele agli esperti, agli industriali, ai manager.
Si è passati rapidamente alla delegittimazione: “Le fonti rinnovabili non potranno mai soddisfare la domanda di energia”. Oggi, senza considerare l’idroelettrico il 10% dell’energia elettrica lorda italiana proviene da vento, sole, geotermia, biomasse. Non è insensato affermare che la prossima estate l’installato rinnovabile potrebbe arrivare a coprire del tutto la domanda di energia elettrica italiana. La premessa doverosa è che anche per le rinnovabili vale il principio -lo stesso dell’Alta velocità, per intenderci- che una cosa non è buona in sé, ma nel contesto e nella modalità in cui viene realizzata (è il tema -spinoso- che affrontiamo senza tirarci indietro alle pagine 22 e 35).
Ma qui siamo di fronte all’inizio di una rivoluzione. Inevitabile quindi l’attacco: oggi in Italia è in atto il tentativo di frenare le rinnovabili, o perlomeno di controllarle. Lo ha detto chiaramente Andrea Colombo, il presidente di Enel, a fine marzo: “Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzioni degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio”. Colombo ha ragione: in 3 anni si è installata in Italia una potenza fotovoltaica dieci volte superiore a quella di una centrale nucleare (la cui realizzazione impiega 10 anni). Risultato: il prezzo dell’energia non ha più il picco che registrava sempre attorno alle 12. Dalle 9 in poi si ferma. È merito del sole. Solo quando tramonta, il prezzo risale (tanto che qualcuno ha pensato a un “cartello” dei produttori fossili per rifarsi delle perdite). Oggi abbiamo un surplus di potenza “fossile” installata, risultato di investimenti per circa 25 miliardi di euro. Ancora, inevitabile che chi ha messo quei soldi si senta minacciato.
È questo il punto: altro che incentivi alle rinnovabili “troppo alti”. La partita è imponente, e ha a che fare con la sicurezza energetica e l’indipendenza politica di questo Paese. L’Italia importa l’83% delle risorse energetiche che consuma. È sulla stessa linea di tutti i Paesi che oggi consideriamo in fallimento: Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda. Ed è davanti a un bivio.
Le grandi società dell’energia spingono perché si mantenga lo status quo. Hanno una sponda politica, che addirittura parla di usare il petrolio italiano (vedi pag. 20).
Ma è un atteggiamento perdente. Tanto è vero che Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, ha affermato che “il paradigma è cambiato e il mondo dell’energia così come l’abbiamo conosciuto fino al 2008 non tornerà mai più”.
A giugno a Rio si discuterà del “futuro che vogliamo” (pagina 25). Le parole d’ordine saranno “lavoro” e “democrazia”. Lasciamo allora gli altri “fossili” nel mondo nostalgico del passato energetico.
È un mondo che comunque per loro è dorato. L’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, ha percepito nel 2011 una retribuzione di 4,37 milioni di euro, grazie a un bonus di 2,93 milioni di euro, cui si aggiungono compensi in azioni pari a circa 270mila euro. Andrea Colombo ha percepito fino ad ora 923mila euro.
Ecco che cosa dice in proposito la Corte dei conti, che ad aprile ha pubblicato una “Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Enel spa, per l’esercizio 2010”: “Ciò (l’impatto della crisi sui bilanci, ndr) deve spingere la Società a intraprendere con sempre maggiore impegno, specie in un periodo di volatilità dei mercati finanziari, l’opera di progressiva riduzione del cospicuo indebitamento del Gruppo anche con l’eventuale dismissione delle partecipazioni in società non strategiche e la limitazione di nuove acquisizioni se non indispensabili sul piano industriale, nonché con un attento monitoraggio e controllo di costi del personale, specie dirigenziale”. —