Inchiesta
La resistenza di Máxima
In Perù, sesto produttore mondiale di oro, il 20% del territorio è in concessione a compagnie minerarie. Máxima Acuña Chaupe è una contadina della regione di Cajamarca, che si oppone al progetto Yanacocha, che prevede la distruzione di quattro lagune di acqua sorgente, sotto le quali ci sarebbero i giacimenti d’oro, l’eliminazione di 3.000 ettari di flora e conseguenze sull’irrigazione di 25mila ettari. Tra fine gennaio e febbraio 2016, denuncia Latin American Mining Monitoring Programme, la sua famiglia ha subito nuove aggressioni
"In questa terra c’è oro. È per questo che le aziende estrattive cercano di cacciarci, ma noi non lasceremo le nostre case” dice Máxima Acuña Chaupe, contadina della regione di Cajamarca, in Perù. L’investimento di capitale straniero nel settore estrattivo nel Paese ha visto un’impennata tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, a partire dal primo mandato di Alan Garcia, con un incremento durante il governo di Alberto Fujimori. Nel 1993 il presidente di origine giapponese ha favorito l’ingresso nel Nord di Cajamarca della multinazionale estrattiva Yanacocha che in pochi anni ha reso il Paese il sesto produttore d’oro del mondo. Dal quel giorno, la società, proprietà al 51,35% del colosso nordamericano Newmont con sede a Denver, al 43,65% della peruviana Buenaventura e al 5% dell’International Finance Corporation, agenzia della World Bank, ha estratto circa 992 tonnellate d’oro, rendendo l’omonima miniera a cielo aperto il giacimento d’oro più produttivo dell’America Latina. Per estrarre oro sufficiente alla fabbricazione di 8 fedi nuziali classiche da 4 grammi, Yanacocha deve frantumare circa 2 tonnellate di roccia e utilizzare la tecnica della lisciviazione, un processo in cui il materiale viene attraversato da una soluzione di acqua e cianuro che separa l’oro da altri minerali.
A Yanacocha lavorano circa 6.000 dipendenti, a maggioranza peruviana, il cui obiettivo è produrre barre di dorè, lingotti da 22 chili al 30% di oro e al 70% di argento che, come il 50% di tutto l’oro estratto in Perù, vengono inviati in Svizzera. Ogni giorno il prodotto di Yanacocha vola verso la Valcambi Sa, la raffineria d’oro più grande del mondo, con sede nel comune svizzero di Balerna, Canton Ticino. Con i suoi 165 dipendenti l’azienda elvetica ha una capacità di raffinazione di 1.400 tonnellate d’oro all’anno.
La Newmont, che opera anche in Nevada, Suriname, Ghana, Indonesia, Australia e Nuova Zelanda, è stata il socio di maggioranza del gruppo Valcambi fino a luglio 2015, quando l’azienda di manifattura orafa indiana Rajesh Export Ltd – REL, che lavora il 35% di tutto l’oro del mondo, ha acquistato il 100% delle quote.
L’impresa estrattiva statunitense continua a vendere il proprio prodotto alla Valcambi. “Da lì escono lingotti di oro puro che vanno ad alimentare il circuito delle banche Nazionali e l’industria di produzione di gioielli in tutto il mondo”, commenta Javier Velarde, direttore generale di Yanacocha. In concreto, la Rajesh Export Ldt dirotta l’oro raffinato dalla sua costola svizzera agli atelier di Bangalore in India e di Dubai, da dove escono gioielli pronti per la vendita all’ingrosso in 60 Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, India, Brasile, Argentina, Gran Bretagna e Francia. Partono direttamente dalla Valcambi lingotti d’oro che, supervisionati dalla Bank of England, alimentano le riserve di quasi tutte le banche nazionali.
Mentre l’oro che esce dai giacimenti della Newmont a Cajamarca viene palleggiato tra i cinque continenti, la regione del nord del Perù vive il paradosso della ricchezza.
L’Istituto di statistica nazionale peruviano afferma che il 52% della popolazione della regione, pari a circa 700mila abitanti, vive in povertà monetaria, con un tasso di denutrizione del 36% e di analfabetismo al 17%, di cui sono vittima in particolare le donne. Sebbene Yanacocha paghi una tassa sui ricavi derivanti dall’estrazione dell’oro, all’azienda non viene applicata un’imposta fissa per il diritto a coltivare la miniera a cielo aperto. Oggi il 20% della nazione è in concessione ad aziende minerarie, portando il Perù al 35esimo posto al mondo in quanto a clima favorevole agli investimenti secondo il Doing Business Report prodotto dalla World Bank, ma nella top 10 dei Paesi dilaniati da conflitti ambientali, secondo l’Environmental Justice Atlas. Il report della Defensorìa del Pueblo ribadisce che a ottobre 2015 sono 72 i conflitti sociali attivi relazionati all’attività estrattiva in Perù.
In 22 anni di miniera, la maggior parte della popolazione di Cajamarca ha fatto i conti con razionamento di acqua e inquinamento. Nel 2014 la pioggia, filtrata nei depositi di materiali di scavo della miniera, è scesa a valle contaminando il fiume che attraversa i villaggi ai piedi di Yanacocha. Nel 2000 un camion pieno di mercurio proveniente dalla miniera Yanacocha è uscito di strada nei pressi del villaggio di Choropampa.
Il conflitto tra l’azienda estrattiva e la popolazione si è esacerbato nel 2010 quando il governo peruviano ha approvato il progetto di espansione mineraria denominato Conga. Il nuovo investimento di Yanacocha prevede la distruzione di quattro lagune di acqua sorgente, sotto le quali ci sarebbero i giacimenti d’oro, l’eliminazione di 3.000 ettari di flora e conseguenze sull’irrigazione di 25mila ettari. A questo si somma l’urgenza dell’azienda di acquisire i terreni necessari all’espansione, attraverso compravendite private a prezzi spesso stracciati o tentativi di acquistare grandi appezzamenti di terra rivolgendosi alle comunità contadine e non ai singoli detentori delle parcelle.
Oggi la consapevolezza degli autoctoni è cresciuta e molti chiedono che la natura e il territorio vengano preservati dall’attacco delle miniere. Tra loro c’è Máxima Acuña Chaupe. La donna andina vive da 24 anni in una terra di 25 ettari nel cuore di Conga che Yanacocha ha rivendicato di sua proprietà. La donna non solo ha rischiato di essere sgomberata a forza, ma è stata denunciata per aver invaso illegalmente il suo stesso terreno. Al momento l’accusa di usurpazione è decaduta. Dopo quasi 4 anni di processo penale, il 17 dicembre 2014 Máxima è stata riconosciuta innocente dal tribunale di Cajamarca. —
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