Salute / Attualità
La pubblicità “senza fumo” di Philip Morris e il mancato controllo sul marketing del tabacco
La multinazionale compra pagine sui quotidiani promettendo “un futuro senza fumo” ma il suo spot violerebbe la Convenzione internazionale sul controllo del tabacco. La denuncia di Nicoletta Dentico, esperta di salute e direttrice del programma di salute globale della Society for international development. Per la succursale nel nostro Paese intanto le sigarette “tradizionali” valgono ancora un terzo del fatturato
La multinazionale Philip Morris compra pagine sui quotidiani italiani promettendo “un futuro senza fumo” ma il suo messaggio pubblicitario violerebbe la Convenzione internazionale sul controllo del tabacco. Non solo: bilancio della succursale italiana alla mano, le sigarette “tradizionali”, pur doppiate in valore da quelle “a inalazione senza combustione”, valgono ancora un terzo del fatturato. Quasi 900 milioni di euro su 2,7 miliardi di euro.
Nicoletta Dentico, esperta di diritto alla salute e direttrice del programma di salute globale della Society for international development, ha argomenti solidi quando lamenta la scorrettezza della pubblicità di Philip Morris e soprattutto la violazione della Convenzione internazionale sul controllo del tabacco.
Fa riferimento appunto alla Framework convention on tobacco control (Fctc), il primo trattato internazionale di salute pubblica che sia mai stato negoziato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), entrato in vigore nel 2005 e ratificato da oltre 180 Paesi, inclusa l’Italia, “per fornire una risposta globale a un problema globale, cioè l’epidemia di tabacco”, attraverso una serie di misure che ne riducono al minimo sia la domanda sia l’offerta.
L’articolo 1 dà una spiegazione precisa di che cosa la Convenzione intende per pubblicità e promozione del tabacco: “Qualsiasi forma di comunicazione commerciale, raccomandazione o azione avente lo scopo, l’effetto o il probabile effetto di promuovere un prodotto del tabacco o l’uso di tabacco, direttamente o indirettamente”. Per poi affermare più avanti che le parti riconoscono che un divieto totale di pubblicità, promozione e sponsorizzazione ridurrebbe il consumo di prodotti del tabacco e che gli Stati parte devono intraprendere un divieto globale di tutta la pubblicità, la promozione e la sponsorizzazione del tabacco.
“Una delle caratteristiche che contraddistinguono questa Convenzione -riflette Dentico- è che l’Oms si batté duramente affinché non ci fosse alcuna interferenza da parte del settore industriale del tabacco nel momento in cui veniva negoziata per evitare ogni conflitto di interesse”.
Questo rigore fu il risultato di decenni di infiltrazioni da parte dell’industria del tabacco nella ricerca scientifica per negare qualunque connessione tra l’utilizzo del tabacco e l’incidenza dei tumori a livello globale. Vale la pena ricordare anche il caso recente di Philip Morris che è stata espulsa nel 2022 da una collaborazione per lo sviluppo del vaccino anti-Covid-19 in Canada.
Questo tipo di comunicazione pubblicitaria da parte di Philip Morris in Italia non è una novità -così come l’abitudine di diffondere dati sulla “filiera integrata” che avrebbe costituito citando studi del Forum Ambrosetti pagati dalla stessa multinazionale-. Sul suo sito da anni è in corso infatti una campagna che punta a ripulire l’immagine del colosso dal grigio fumo e a dare l’idea di “un futuro in cui tutti i fumatori adulti che diversamente continuerebbero a fumare abbandonino le sigarette per passare a nuovi prodotti senza combustione, valide alternative al fumo tradizionale”.
Il messaggio, come abbiamo già approfondito, è in aperta contraddizione con le posizioni assunte nel corso degli ultimi anni dai principali istituti di ricerca scientifica e dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo le quali sia le sigarette “elettroniche” sia i prodotti a tabacco riscaldato (Htp) presentano rischi per la salute.
La stessa Philip Morris che oggi dichiara di battersi per un “futuro senza fumo”, è quella che nel 2010 aveva intentato un arbitrato internazionale per far fallire due leggi sul controllo del tabacco emanate dall’Uruguay. Una richiedeva che i messaggi di avvertimento relativi ai pericoli del fumo per la salute coprissero almeno l’80% del fronte e del retro dei pacchetti di sigarette e l’altra prevedeva la riduzione a una sola delle varianti dei marchi.
Una situazione simile si era poi verificata l’anno successivo anche in Australia. In entrambi i casi le richieste di Philip Morris erano state respinte dagli arbitri. “Ma comunque sono state cause di arbitrato che hanno per lungo tempo interrotto l’applicazione della legge nei Paesi, messo a dura prova gli Stati e sono costate milioni di dollari per la gestione di questi contenziosi”, sottolinea Dentico.
Scorrendo il bilancio 2023 della Philip Morris Italia Srl -interamente di proprietà della Philip Morris Products domiciliata in Svizzera- si comprende ancora una volta la ragione per la quale la corporation nelle proprie campagne di marketing auspichi un “futuro senza fumo”, guardandosi bene dal prospettarne uno senza tabacco.
Le attività della succursale sono sostanzialmente tre: la distribuzione all’ingrosso dei tabacchi lavorati commercializzati dal gruppo Philip Morris International, l’approvvigionamento di tabacco greggio coltivato in Italia (il cosiddetto “Leaf”) e la distribuzione all’ingrosso di dispositivi elettronici Iqos e dei “tabacchi da inalazione senza combustione”. Su 2,7 miliardi di euro circa di fatturato, i prodotti a base di tabacco pesano 2,4 miliardi. Quelli “da inalazione senza combustione” sono in crescita rispetto al 2022 e si attestano a 1,6 miliardi di euro circa.
Il gruppo che fa capo alla Philip Morris International mantiene una posizione molto forte nella distribuzione all’ingrosso dei prodotti del tabacco nel nostro Paese: nel 2023 la quota nel segmento delle sigarette sfiorava il 50%, in quello dei sigaretti quasi il 40%, così come in quello dei tabacchi trinciati. Il segmento dei tabacchi da inalazione senza combustione registra invece una quota del 17,3%.
Sotto il profilo delle relazioni istituzionali la Philip Morris Italia ricorda nella propria relazione sulla gestione di un nuovo “verbale di intesa programmatica” stipulato nel 2023 con il Governo Meloni, e in particolare con il ministero dell’Agricoltura, per l’acquisto di tabacco italiano in foglia per gli anni 2023-2024 e 2024-2025, con la possibilità di prorogare fino al 2028. Della partita è anche Coldiretti, che con Philip Morris ha firmato contratti di coltivazione che impegnano la multinazionale ad acquistare il raccolto in volumi di tabacco “o equivalente di volumi diversificati” (nel 2023 sarebbero stati circa 21 milioni di chilogrammi).
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