Ambiente / Approfondimento
La proposta dell’Ue di limitare l’uso dei Pfas è minacciata dalle lobby industriali
Secondo il Corporate Europe Observatory i rappresentanti del settore stanno facendo pressione sulla Commissione von der Leyen per fiaccare le politiche di eliminazione delle sostanze chimiche inquinanti. Attraverso lettere, incontri e il finanziamento di studi e valutazioni d’impatto a loro favorevoli. E sostenendo l’importanza di queste sostanze per la transizione e per la competitività delle industrie del continente
Le grandi imprese stanno cercando di condizionare la Commissione per difendere i propri profitti, nonostante l’evidenza delle gravi conseguenze dei “forever chemicals” sulla salute umana e sull’ambiente. Un’analisi pubblicata a dicembre 2024 dal Corporate Europe Observatory (Ceo) svela le strategie con cui l’industria chimica sta cercando di influenzare i lavori della Commissione per tutelare i propri interessi economici.
I Pfas sono sostanze chimiche utilizzate in svariati oggetti, ad esempio nei cappotti impermeabili, nelle pentole, nei frigoriferi, negli inalatori per l’asma e nella produzione industriale. Tali sostanze sono molto resistenti e persistenti nell’ambiente, il che significa che hanno enormi implicazioni per la salute umana. Nel 2023, l’indagine giornalistica Forever pollution project ha identificato 23mila siti contaminati da Pfas solo in Europa, con 20 impianti di produzione e più di 2.100 siti considerati “hotspot”.
Sono presenti nella maggior parte dei suoli, nei corsi d’acqua e persino nell’aria che respiriamo. Un problema che riguarda tutti noi, indipendentemente da dove viviamo. Il Ceo ha calcolato che i costi per la bonifica dell’inquinamento nei prossimi 20 anni potrebbero superare i duemila miliardi di euro, ovvero cento miliardi di euro all’anno.
Nel 2020, durante il suo primo mandato, Ursula von der Leyen aveva presentato una strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili ambiziosa. “Tale strategia”, si legge sul sito dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa), ha l’obiettivo “di ridurre a zero l’inquinamento” e “mira a proteggere meglio i cittadini e l’ambiente dalle sostanze chimiche dannose”. Attualmente, l’Echa sta esaminando una proposta (presentata da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) per introdurre un ampio divieto sui Pfas, con alcune esenzioni limitate nel tempo per quei materiali per cui non esistono alternative adeguate. Il dossier dovrà passare alla Commissione europea che preparerà una proposta finale da sottoporre all’approvazione degli Stati membri.
Ma quattro anni dopo di quell’ambizione originaria è rimasto poco: dal ridurre l’inquinamento “a zero” ci si limiterà a “fare chiarezza”, come indicano le linee guida della nuova Commissione von der Leyen istituita a dicembre. Ad esempio, nella lettera di incarico della commissaria all’Ambiente Jessika Roswall, responsabile della regolamentazione chimica, si sottolinea che il suo lavoro dovrà tenere conto sì dei principi della sostenibilità ma anche di quelli della competitività.
Questo cambiamento così repentino si spiega con l’influenza esercitata dalle lobby aziendali sulla Commissione, nonostante in questa fase il loro ruolo debba limitarsi a quello di osservatori. Già nel 2023, prima delle elezioni europee, Chemours (uno dei maggiori produttori di Pfas al mondo) aveva evidenziato, in una lettera indirizzata ai commissari europei, come fosse “altamente probabile” che tutti gli investimenti in Europa “saranno influenzati (sospesi o bloccati) fino a quando questa incertezza (sulla proposta di restrizione degli Pfas, ndr) non sarà risolta”.
Per perseguire il proprio obiettivo, ovvero impedire le restrizioni proposte alla produzione di Pfas, l’industria chimica ha adottato tattiche di lobbying che hanno incluso incontri diretti con la Commissione e altri decisori europei, spesso avvalendosi di consulenti e studi legali. Tra le strategie sono rientrati anche il finanziamento di “valutazioni d’impatto” e altri studi favorevoli agli interessi dell’industria, oltre alla promozione di “impegni volontari” come alternativa a una regolamentazione più rigida.
L’esecutivo dell’Ue, d’altra parte, invece di adottare misure concrete per arginare l’influenza delle imprese su questa tematica, ha agevolato i lobbisti offrendo loro segnali di incoraggiamento e rassicurazioni sul futuro del processo decisionale. Tra le numerose evidenze a supporto di questa tesi spicca l’adozione, da parte della nuova Commissione von der Leyen, della cosiddetta “Dichiarazione di Anversa”: questo decalogo, proposto dal Consiglio europeo delle industrie chimiche (Cefic), lobby influente nell’industria chimica, ignora completamente la necessità di controllare i prodotti nocivi del settore, chiedendo invece una maggiore deregolamentazione.
“La campagna delle lobby aziendali si basa in larga misura su propaganda e studi scientifici finanziati dall’industria, su allarmismo e affermazioni non comprovate”, scrive il Ceo nel suo comunicato di lancio del report “Chemical reaction: inside the corporate fight against the Eu’s Pfas restriction”.
“È preoccupante che molti di questi argomenti siano stati ripetuti dai politici e stiano ora influenzando il dibattito politico sui Pfas”. Tra questi si distingue l’eurodeputato conservatore tedesco Peter Liese, che ha ricevuto una risposta da Ursula von der Leyen: la presidente della Commissione, pur precisando di non poter anticipare l’esito del processo di regolamentazione sui Pfas né garantire certezze legali sulle esenzioni, ha dichiarato che “i Pfas sono attualmente necessari per applicazioni critiche legate alle transizioni verde e digitale e per l’autonomia strategica dell’Ue”.
La lobby aziendale più prolifica per quanto riguarda la restrizione di Pfas è quella del grande produttore Chemours (spin-off di DuPont), che ha avuto più incontri di alto livello con la Commissione rispetto a qualsiasi altro gruppo. Nell’ultimo anno ha più che raddoppiato le spese di lobby dichiarate. Anche la più ampia lobby dei prodotti chimici, guidata dalle associazioni di categoria Cefic e Plastics Europe, è chiaramente molto attiva sulla proposta Pfas: collettivamente, si è registrato un aumento medio della spesa dichiarata dalle lobby dell’Ue del 34% solo nell’ultimo anno.
“Sappiamo che l’industria chimica ha una lunga storia di successo nel ritardare e indebolire le normative per limitare le sostanze nocive -spiegano da Ceo-. I parallelismi con le tattiche adottate dall’industria del tabacco sono evidenti, ed è necessario introdurre regole aggiuntive per limitare il lobbying tossico e proteggere l’interesse pubblico”.
L’organizzazione chiede lo stop immediato a tutti gli incontri privati di lobbying presso la Commissione e di intensificare gli sforzi per sostituire le sostanze nocive come i Pfas. Per Ceo non è troppo tardi perché le istituzioni europee adottino una rigorosa restrizione universale dei Pfas, ma per farlo è necessario un approccio diverso, che includa nuove regole sul lobbying e sulla trasparenza per proteggere l’interesse pubblico.
© riproduzione riservata