Cultura e scienza / Opinioni
La pratica della storia per diventare umani
Non c’è materia più urgente, oggi, dell’insegnamento della storia. La scienza “del diverso”, come scrisse Marc Bloch. La rubrica di Tomaso Montanari
A che cosa serve insegnare la storia a scuola, oggi? Lo scorso 29 ottobre ho provato a rispondere a questa domanda, durante la mia audizione di fronte alla commissione Cultura del Senato, dove ero stato invitato dalla senatrice a vita Liliana Segre. È una domanda solo apparentemente ingenua, o superficiale. Rispondere, infatti, significa mettere a fuoco non solo le ragioni, ma anche i modi e gli obiettivi, di un insegnamento che costituisce il cuore stesso della scuola di una Repubblica fondata anche sulla ricerca (così stabilisce l’articolo 9 della Costituzione). La mia risposta è partita da un libro profondamente ancorato alle vicende drammatiche degli anni quaranta del Novecento: l’Apologia della storia (titolo ahimè assai adatto alla situazione attuale in Italia) di Marc Bloch, scritta tra il 1941 e il 1943 e uscita nel 1949.
Bloch, cofondatore della rivista “Annales”, perse la cattedra alla Sorbona in quanto ebreo, e dovette entrare in clandestinità nel 1942. Membro della Resistenza, fu catturato dalla Gestapo di Klaus Barbie l’8 marzo del 1944. Dopo tre mesi di torture, fu fucilato il 16 giugno di quell’anno. Questo suo libro (scritto lontano dalle biblioteche e in una condizione di concentrazione affatto speciale) ha dunque la natura, terribile e altissima, di un testamento morale e culturale.
La sua prima affermazione cruciale è che la storia non è la scienza del passato, ma la scienza degli uomini nel tempo. “La storia non si occupa solo di fatti, quantità, o oggetti: se lo fa, è per occuparsi degli uomini. La storia come chiave principale della conoscenza, della comprensione, degli uomini. L’atmosfera in cui naturalmente il suo pensiero respira è la categoria della durata”. Scienza della continuità, e scienza dei cambiamenti, dunque. E Bloch, il Bloch in quel momento sconfitto dalla storia, parte da qua per interrogarsi sul rapporto tra conoscenza del passato e comprensione del presente. La conclusione è sorprendente: “L’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato. Ma non è forse meno vano affaticarsi nel comprendere il passato, se non si sa niente del presente”. Lo studio della storia è dunque il mezzo principale attraverso cui i ragazzi possono mettere in discussione il proprio tempo, collegandolo e confrontandolo con un passato diverso: per costruire un futuro che non sia la continuazione di questo presente. La storia come scienza “del diverso”, dice Bloch: antidoto cruciale per chi cresce nell’età del conformismo, dell’indistinto, di un asfissiante assedio del presente. La storia come consapevolezza che forza l’autoreferenzialità dei vivi inducendoli a connettersi con l’eredità dei morti e con la responsabilità verso i non ancora nati. La storia come condizione principale della giustizia ambientale e sociale. Accanto alla definizione della storia, la definizione dei suoi compiti: la ricerca della verità, in stretta analogia con il mestiere dell’investigatore e del giudice. Una ricerca che interroga le fonti, e le giudica. E dunque una storia capace di aprire gli occhi sulle regole eterne del potere: una storia intesa come metodo e manifestazione principale del pensiero critico. Eccoci dunque alla risposta di Bloch alla nostra domanda: la pratica della storia serve perché è il metodo del dubbio, l’attrezzo che scardina ogni totalitarismo, e permette la pratica organizzata del dissenso. Insegnare la storia significa aiutare a diventare umani. Non c’è materia più importante, oggi. Non c’è sfida più urgente.
Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra.
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