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La diga degli italiani – Ae 92

In Etiopia un gigantesco impianto idroelettrico minaccia le comunità locali e l’ecosistema di un’area riconosciuta “patrimonio dell’umanità”. Dietro il progetto, il possibile finanziamento della Banca europea per gli investimenti. E del nostro ministero degli Esteri Una volta realizzata, la diga…

Tratto da Altreconomia 92 — Marzo 2008

In Etiopia un gigantesco impianto idroelettrico minaccia le comunità locali e l’ecosistema di un’area riconosciuta “patrimonio dell’umanità”. Dietro il progetto, il possibile finanziamento della Banca europea per gli investimenti. E del nostro ministero degli Esteri


Una volta realizzata, la diga di Gilgel Gibe III sarà il più grande impianto idroelettrico della storia dell’Etiopia. Alta ben 240 metri, con una potenza stimata in 1.870 MW, Gibe III dovrebbe costare circa 1,4 miliardi di euro. I macchinari della Salini, l’impresa italiana scelta dal governo locale per realizzare il progetto, sono già in funzione da un anno e mezzo per mettere su questo enorme “muro” sul fiume Omo.

Un muro contro il quale saranno in molti a scontrarsi.

L’Omo è un corso d’acqua importante, lungo oltre 600 chilometri, che nasce dalla confluenza dei fiumi Gibe e Gojeb, formando un vastissimo canyon, per poi attraversare l’omonimo Parco nazionale e sfociare nel Lago Turkana, al confine con il Kenya. Lungo le sue sponde risiedono più di 15 diverse comunità tribali, la cui sicurezza alimentare dipende strettamente dalle risorse naturali e dal delicato equilibrio dell’ecosistema locale. Il fiume offre un habitat unico, ricco di un’incredibile varietà faunistica. Nel 1980 la bassa valle dell’Omo è stata riconosciuta dall’Unesco “patrimonio dell’umanità” per i numerosi ritrovamenti di scheletri e utensili risalenti a diversi milioni di anni fa. L’impianto idroelettrico sbarrerà completamente il corso del fiume provocando la totale inondazione del canyon e la creazione di un bacino lungo più di 150 chilometri.

Per centinaia di chilometri a valle della diga l’ecosistema sarà completamente alterato, come hanno potuto verificare di persona esponenti della missione sul campo tenuta lo scorso novembre da alcuni esponenti della Campagna per la riforma della Banca mondiale e della ong americana International Rivers. Insomma, stiamo parlando di un progetto a forte rischio ambientale, che nasce in un contesto quanto meno anomalo.

La Salini, infatti, si sarebbe aggiudicata il contratto senza che fosse stata eseguita nessuna gara d’appalto internazionale e avrebbe avviato i lavori in assenza della licenza ambientale rilasciata dalle autorità competenti. Due azioni in palese violazione delle normative etiopi in merito a progetti di tale rilevanza. Come se non bastasse, la costruzione della diga è iniziata senza un fondato piano finanziario.   

La Banca mondiale e la Sace, l’agenzia di credito all’export italiana, hanno già risposto picche a un possibile finanziamento di Gibe III. Troppo alto il rischio politico e soprattutto troppo miseri i benefici economici, queste le loro motivazioni. Il governo di Addis Abeba e la Salini sono in attesa di buone notizie dal nostro ministero degli Affari esteri e dalla Banca europea per gli investimenti, che stanno valutando un possibile aiuto molto corposo, che darebbe poi il là a un ulteriore intervento della Banca africana di sviluppo.

L’azienda italiana e l’esecutivo etiope si fanno forti di un precedente significativo. Quattro anni fa la Farnesina, tramite il dipartimento cooperazione allo sviluppo, aveva erogato ben 220 milioni di euro per un’altra diga costruita in Etiopia, quella di Gilgel Gibe II, sul fiume Gibe.

Una somma record, visto che il fondo creato ad hoc per questo tipo di progetti mai aveva staccato un assegno così importante. Una decisione arrivata nonostante il parere del tutto negativo del Nucleo di valutazione tecnica della Direzione sulla cooperazione allo sviluppo e del ministero dell’Economia e delle Finanze. È poi singolare che mentre il dicastero degli Esteri si apprestava a concedere il prestito, Palazzo Chigi dava il via libera alla cancellazione del debito dell’Etiopia nei confronti dell’Italia (330 milioni di euro).

In un secondo momento tra i finanziatori si era poi aggiunta la Banca europea per gli investimenti (Bei), che con un portfolio di 45 miliardi di euro è il maggior erogatore pubblico di prestiti al mondo. L’istituzione con sede in Lussemburgo ha messo sul piatto 50 milioni di euro, nonostante anche in quel caso la Salini si fosse aggiudicata la commessa senza gara d’appalto.

La Bei, che non è dotata di standard elevati in materia di trasparenza e concorrenza, di fatto avalla la procedura di assegnazione diretta. In questi casi la Banca, non dovendosi attenere alla legislazione europea, sostiene di rifarsi alla normativa locale ma, come abbiamo già visto, nel caso delle leggi etiopi questa non è stata rispettata. Il cono d’ombra sul progetto, ormai in fase di completamento, si allarga perché all’inizio del 2007 la Procura di Roma ha aperto un procedimento penale a carico della Direzione generale per la cooperazione. L’accusa? Corruzione. Per adesso non si conoscono ulteriori sviluppi sulla vicenda. La Farnesina rimane un canale privilegiato per l’esecutivo di Addis Abeba che con gli italiani è ormai abituato a fare affari da molti anni. Il ministero degli Esteri aveva lasciato la porta aperta ad un possibile nuovo prestito anche per Gibe III, nonostante tutti gli aspetti poco chiari della vicenda Gibe II. Per la verità anche la nuova diga ha sollevato subito alcuni dubbi di carattere “tecnico”, visto che l’erogazione di fondi destinati alla cooperazione non è prevista nel caso di opere che hanno lo scopo di produrre energia destinata all’esportazione. Le vicende politiche italiane hanno momentaneamente scompaginato le carte, lasciando il governo etiope in attesa di futuri sviluppi.



Un regime sanguinario e indebitato

L’Etiopia ha una popolazione di 71 milioni di persone e un reddito pro-capite annuo di 145 dollari, tra i più bassi dell’Africa sub-sahariana. Dal 1995 il Paese è governato dal Fronte democratico rivoluzionario etiope (Eprdf), il movimento con a capo Meles Zenawi, ancora oggi Primo ministro, che ha rovesciato il sanguinario regime militare di Menghistu. I risultati delle ultime elezioni (aprile 2005) sono stati duramente contestati dall’opposizione che è scesa in piazza denunciando brogli. Le proteste sono state represse con un bagno di sangue, con 193 morti e centinaia di feriti. Giornalisti, dimostranti e i principali leader del partito di opposizione sono stati arrestati e rilasciati solo 18 mesi dopo essere stati condannati all’ergastolo, obbligati a un’umiliante e pubblica ammissione di colpa, e successivamente graziati. Secondo l’Ocse il debito dell’Etiopia è passato dai 7,2 miliardi di dollari del 2004 ai 6 miliardi di dollari in seguito all’iniziativa Hipc.



La campagna sulla Banca europea per gli investimenti

“Counterbalance. Challenging the Eib” è una campagna internazionale di pressione verso la Banca europea per gli investimenti (Eib, o Bei), l’istituzione finanziaria dell’Unione europa. Obiettivo della campagna è aumentare la trasparenza della Bei e riorientare i suoi  investimenti in direzione di progetti socialmente ed ecologicamente sostenibili, di un’efficace lotta alla povertà e del perseguimento degli Obiettivi del millennio. Counterbalance è  promossa dalla Campagna per la riforma della Banca mondiale (Italia) Central and Eastern Europe Bankwatch Network (Cee Bankwatch), Les Amis de la Terre (Francia), Urgewald and Weed (Germania), BothEnds (Olanda), Bretton Woods Project (Italia) ed è aperta al contributo di tutte le associazioni e le organizzazioni non governative interessate a monitorare gli impatti degli investimenti europei, sullo sviluppo, sull’ambiente e sui diritti umani. Info: www.crbm.org

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