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La cultura della terra: vino critico in Puglia

Da Vignacastrisi (Lecce) a Mesagne (Brindisi), "diario" di due giorni alla scoperta di un legame con la vite che affonda le proprie radici nella storia -e nella toponomastica-. E che oggi -con esperienze come la comune Urupia, Terre di Puglia e l’Antico Palmento– rinnova la propria relazione con la terra scegliendo di coltivare in modo naturale

Vignacastrisi è un piccolo centro sospeso nelle campagne del basso Salento, a pochi chilometri dal mare. Un paese in prevalenza agricolo. Il toponimo ne rivela il radicamento alla terra: Vignacastrisi infatti significa le Vigne di Castro, il centro fortificato sul mare Adriatico, luogo in cui si narra approdò Enea.
Qualche decennio fa la coltivazione della vite è stata abbandonata a favore di quella del tabacco, per la quale gli abitanti hanno ricevuto incentivi dallo Stato. Se le coltivazioni in loco sono state abbandonate, gli abitanti di Vignacastrisi rimanevano comunque esperti e competenti nella gestione della vigna. Si è creato pertanto un particolare fenomeno di migrazione interna: i vignacastrensi andavano come operai nelle vigne dell’alto Salento, in particolare nel brindisino, dove invece la coltivazione della vigna manteneva la sua significativa presenza.

Nell’iniziativa promossa il 13 marzo scorso, nell’ambito della quale Officina Enoica ha presentato il libro “Guida al vino critico”, è stata l’occasione per mettere a fuoco questa storia minore attraverso la narrazione degli anziani del paese, grazie all’intervento di Espéro, azienda spin off dell’Università del Salento e al Dipartimento Storia, Società e Studi sull’Uomo.
Opportunamente stimolati a ricordare, gli anziani -durante una mattinata di racconti con le conduttrici del laboratori di cittadinanza- hanno saputo ricordare e narrare la presenza delle vigne a Vignacastrisi, e le modalità di coltivazione e di lavoro in cantina per la produzione del vino.
Questo sapiente lavoro di ricostruzione storica attraverso la memoria è stato restituito durante la serata e ha introdotto la presentazione della guida e il momento di convivialità degli assaggi dei vini.

Durante la serata la popolazione di Vignacastrisi, con gli amministratori in prima fila e animatori costanti dello scambio e della convivialità, ha partecipato sia all’ascolto degli esiti dei laboratori mattutini che alla presentazione della guida.
Alcune cantine del Salento (e non solo) hanno contribuito all’evento offrendo un assaggio dei propri vini e l’amministrazione comunale ha garantito la presenza, come accompagnamento ai vini, di alcuni eccellenti prodotti locali (carne, pani, taralli, formaggi).
La ricchezza umana e materiale di questo piccolo centro, che appare come sospeso nel tempo e nella storia maggiore, è stata evidenziata da questa convivialità condita.
Ottimi i formaggi, ottime le carni, un’artigianalità nella lavorazione del cibo che ha dimostrato tutta la sua preziosità.
E non poteva mancare un po’ di musica: il maestro Luigi Mengoli e il suo gruppo i Menamenamò hanno dato una dimostrazione del lavoro di ricostruzione della musica popolare e della tradizione salentina. Testi e musiche ricostruiti sempre attraverso il dialogo con gli anziani, un lavoro certosino che oggi ci consente di apprezzare pezzi di autentica storia popolare.
Il successo di questa serata è sicuramente da ricondurre alla struttura sociale e alla ricchezza, appunto umana e materiale, di queste zone. Va comunque detto che l’amministrazione pubblica (sindaco, assessori e consiglieri) e l’Università del Salento svolgono un lavoro di tessitura e di animazione che consente a queste straordinarie risorse di emergere da un sopore dove rischiano di implodere, offrendo queste straordinarie occasioni di socialità e di condivisione.

Il giorno successivo (14 marzo) la presentazione della guida si è spostata a Mesagne, in provincia di Brindisi.
Una masseria confiscata alla Sacra corona unita e concessa in gestione alla cooperativa Terre di Puglia-Libera Terra, terreni confiscati alla criminalità in cui coltivare vigne e ulivi, i vini prodotti con queste uve: questa è stata la cornice.
Un interessante parterre di vignaioli ha consentito di realizzare un dibattito ricco sui temi della coltivazione della vigna e della produzione del vino.
All’incontro hanno infatti partecipato gli amici della cooperativa Terre di Puglia-Libera Terra che hanno presentato i loro vini.
Presente anche l’esperienza della Comune Urupia con i propri vini biologici, il Negramaro Lauru e il Primitivo Momo. La comune da vent’anni porta avanti con determinazione la coltivazione di un territorio (di proprietà collettiva della comune) tra Francavilla Fontana e San Marzano, nell’Alto Salento brindisino.
Una produzione di vino limitata, abbinata a una significativa produzione di olio da olivi secolari ma soprattutto alcune radicali scelte di coltivazione biologica e di conduzione ecologica delle coltivazioni e della vita quotidiana. La comune Urupia è stata la prima realtà in Italia a sperimentare e attuare un sistema di fito-depurazione verticale di acque reflue per utilizzare le acque depurate a scopo di irrigazione.
Presente anche la cantina L’Antico Palmento di Manduria: la famiglia Garofano da alcuni anni ha acquistato un antico palmento e ha avviato una piccola azienda vitivinicola. Molto contenuta la produzione (8mila bottiglie), molto chiare le scelte di privilegiare il vitigno emblematico del territorio, Primitivo di Manduria in purezza. Due sole le etichette che l’Antico Palmento propone, Acini Spargoli e La Dolce Vite. Primitivo di Manduria secco il primo, e primitivo di Manduria dolce naturale il secondo.

A Mesagne c’era anche una vignaiola toscana dall’animo salentino: Maria Chiara Perrone guida "Podere Trinci", una piccola azienda a Bolgheri, nel comune di Castagneto Carducci, in un’area particolarmente vocata, dove si producono grandi vini.
È scesa con alcune delle sue preziose bottiglie (produzione totale 2.500 bottiglie) di Rosso toscano biologico.

C’erano, infine, i padroni di casa: la cooperativa Terre di Puglia-Libera Terra propone una linea di vini biologici realizzati con le uve coltivate nei terreni confiscati. La produzione è decisamente superiore a quella degli altri vignaioli presenti e anche la gamma di etichette è più articolata.
La cantina si chiama Hisoteleray ed è dedicata ad un giovane albanese (Hiso Telaray) che negli anni Novanta si è ribellato al caporalato in Puglia ed è stato ucciso.
Tutti i vini Hisotelaray sono dedicati a vittime delle mafie: durante la serata abbiamo assaggiato il Negramaro Renata Fonte, l’assessore del comune di Nardò che negli anni ottanta venne uccisa per essersi opposta alla cementificazione dell’area di Porto Selvaggio (oggi è riserva naturale e costituisce uno dei punti di forza di un’offerta turistica rispettosa del territorio della costa ionica salentina), e il Primitivo Puglia IGT Antò, dedicato ad Antonio Montinaro, l’agente della scorta di Falcone originario di Calimera, un piccolo centro della Grecìa salentina.

Accompagnato dall’assaggio di tutti questi vini il pubblico ha partecipato a un dibattito molto competente. Filosofie di lavoro in vigna e di lavoro in cantina si sono confrontate. L’impressione di chi ha organizzato è che si sia trattato di un modo per far crescere da un lato la consapevolezza dei consumatori e dall’altro per scambiare, anche tra i vignaioli stessi, metodi, soluzioni, pratiche che possono migliorare la gestione del territorio e produrre vini sempre più naturali.
Crescere, in sintesi, la cultura della terra, come opportunità di futuro.
 

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