Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Opinioni

La crisi del mercato del lusso e le scelte della Cina

© Ceci Li - Unsplahs

Il settore dei beni di lusso è dominato da tre grandi società -Lvhm, Hermès e Dior- che fanno riferimento a due sole famiglie, gli Arnault e gli Hermès. Il comparto, si dice, starebbe conoscendo una contrazione per effetto della riduzione della domanda interna cinese, a sua volta riflesso della crisi più generale di Pechino. Ma le cose non stanno proprio così. L’analisi di Alessandro Volpi

Il settore del lusso starebbe conoscendo una crisi per effetto della riduzione della domanda cinese, a sua volta un riflesso della crisi più generale che attraversa il Paese. Le cose non stanno proprio così.

Partiamo da una prima considerazione. Il settore dei beni di lusso è dominato da tre grandi società: Lvhm, Hermès e Dior che hanno una capitalizzazione complessiva di oltre 800 miliardi di euro. Si tratta di società quotate in Borsa che sono nelle mani pressoché esclusive -con partecipazioni azionarie ultramaggioritarie, per non dire totali- di due sole famiglie, gli Arnault e gli Hermès. Siamo di fronte dunque a una concentrazione di ricchezza finanziaria formidabile, che non passa attraverso i fondi ma conserva una struttura familiare per certi versi quasi ottocentesca.

Proprio questa struttura proprietaria, priva dell’apporto della liquidità dei tre grandi fondi, Big Three, BlackRock, Vanguard e State Street, rende il settore del lusso dipendente dalla domanda reale, molto più di altri settori.

Per fare un esempio, Tesla può ottenere un fatturato trimestrale di meno di 25 miliardi di dollari e avere una capitalizzazione di oltre mille miliardi di dollari. Per Lvhm, come per pressoché ogni altra azienda del lusso, questo non vale, non avendo la liquidità dei fondi e dovendo pagare sul credito i tassi ancora alti della Banca centrale europea (Bce). Dunque deve vendere e una contrazione delle vendite determina subito una perdita di valore dei titoli del lusso.

Ma come incide su tutto questo la Cina? La risposta data dalla stampa mainstream è fuorviante. La forte riduzione dei consumi di lusso da parte dei cinesi non dipende da una crisi nel Paese ma da tre fattori specifici. Il primo è costituito dalla fuga dei miliardari cinesi che non hanno accettato la strategia del Plenum del Partito comunista cinese di procedere a una rinazionalizzazione dei settori strategici dove quei miliardari facevano montagne di soldi. In pratica lo Stato cinese si è ricomprato le società che permettevano a pochi cittadini di avere formidabili profitti e dunque il numero dei milionari in Cina si è drasticamente ridotto.

Il secondo fattore è riconducibile alla politica di programmazione dei consumi a opera dello stesso Plenum che li ha distolti dai beni di lusso e li ha indirizzati verso altri settori più funzionali alla crescita cinese. L’economia del Paese tende infatti a strutturarsi sempre più in direzione dell’aumento della domanda interna riducendo la dipendenza, nel recente passato preponderante, dalle esportazioni: oggi il Prodotto interno lordo (Pil) dell’ex impero dipende assai meno dalle esportazioni di quanto non lo facciano le varie economie europee.

Il terzo elemento è costituito dalla nascita in Cina di marchi del lusso “nazionali”, creati cioè dal finanziamento statale e da alcuni gruppi privati, verso cui vengono dirottati gli acquisti prima indirizzati verso le produzioni del lusso estere. In sintesi, la crisi del lusso in Cina discende da una chiara scelta di politica economica e sociale ed è dunque assai difficile da superare per i marchi internazionali, compresi quelli che hanno sedi produttive in Toscana. Una simile crisi potrà essere accentuata dall’eventuale introduzione di dazi protezionistici in caso di non auspicabili “guerre doganali”.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati