Cultura e scienza / Opinioni
“La cartolina” di Anne Berest. Una lettura significativa nel Giorno della memoria
Un’indagine a ritroso nel tempo in cui la scrittrice e sceneggiatrice francese ricostruisce la storia della sua famiglia, i Rabinovitch, ebrei russi approdati a Parigi dopo una romanzesca fuga di mille chilometri per arrivare a Riga. Tutto parte da una cartolina anonima che riguarda Auschwitz. edizioni e/o, merita di essere letto
Nel 2003 la madre della scrittrice e sceneggiatrice francese Anne Berest trovò nella sua cassetta delle lettere una cartolina anonima: sul fronte una foto dell’Opéra Garnier di Parigi; sul retro erano scritti quattro nomi Ephraïm, Emma, Noémie e Jacques, ovvero i nonni e gli zii morti ad Auschwitz. Lì per lì pensò a uno scherzo di cattivo gusto, la mise in un cassetto e se la scordò. Quasi vent’anni dopo, però, Anne Berest decide di scoprire chi l’abbia spedita. Oltre a uno degli incipit più intriganti per un libro, questo è l’inizio de “La cartolina” (edizioni e/o, 2022), un’indagine a ritroso nel tempo in cui Anne ricostruisce la storia della sua famiglia, i Rabinovitch, ebrei russi approdati a Parigi dopo una romanzesca fuga di mille chilometri per arrivare a Riga, in Lettonia, dopo l’attraversamento di Polonia e Romania per andare a Costanza e imbarcarsi per Haifa, in Palestina. E poi il viaggio al contrario che dalla Palestina li porta in Francia nel 1929. Dieci anni di pace prima che la Francia sia invasa dai nazisti e la persecuzione degli ebrei diventi un incubo che avrà per quella famiglia un tragico epilogo.
L’unica superstite è Myriam, la nonna di Anne, sposata con il figlio del pittore Francis Picabia, la quale affronta gli anni dell’occupazione tedesca nascondendosi, grazie a documenti falsi, oltrepassando frontiere nel doppio fondo del bagagliaio di un’automobile, militando nella Resistenza e rifugiandosi su un altopiano della Provenza, dove la lotta partigiana è organizzata dallo scrittore René Char. Alla fine, Anne con la madre scoprirà chi ha mandato la cartolina, ma la cosa non è rilevante quanto il risultato delle sue ricerche, che la porterà a capire che cosa abbia significato essere ebrei durante il Novecento e che cosa significhi oggi.
“La cartolina” è un libro avvincente e straziante che si sviluppa come una classica inchiesta, in prima battuta consultando addirittura una prestigiosa agenzia d’investigazione, detective privati, passando poi per un criminologo esperto di grafologia, fino al classico porta a porta sul luogo del “misfatto”, la casa in campagna dove vivevano i Rabinovitch e nella quale furono arrestati una sera nell’estate del 1942. Questo inconsueto ibrido tra narrazione e il resoconto storico, spesso insopportabile, pone delle domande su ciò che portiamo dentro di noi dei nostri antenati. Proprio nel Giorno della memoria, il 27 gennaio, può essere una tra le letture più significative, affinché questa giornata non sia un rito vuoto e diventi un fragile feticcio. In Francia è stato un piccolo caso editoriale, ottenendo alcuni riconoscimenti tra cui il Premio Renaudot assegnato dai liceali francesi nel 2021. Il fatto che sia scritto al presente lo rende vicino a noi e non si esaurisce soltanto nel tema della Shoah: da una parte è una storia di rifugiati tra generazioni e allo stesso tempo un dialogo intergenerazionale.
Nell’indagine sui suoi quattro parenti, infatti, l’autrice è assistita dalla madre. Per molti anni, Lélia, un’accademica di linguistica in pensione, ha raccolto documenti da archivi, lettere, libri, pubblicazioni, testimonianze, conversazioni che le hanno permesso di ricostruire in modo abbastanza attendibile la vita della famiglia. Documenti mai condivisi, prima dell’arrivo della cartolina. In questo dialogo tra madre e figlia si alternano passato e presente, senza troppo indugiare sugli aspetti sensazionali della Storia, ma rievocando anche verità scomode per la storia francese, molto simile a quella italiana. Il tradimento, ad esempio, che i nostri Paesi hanno compiuto verso i cittadini di origine ebraica che erano completamente secolarizzati e integrati. Il nonno Ephraïm, ad esempio, non è un uomo religioso. L’educazione che impartisce ai suoi figli è laica, finalizzata all’assimilazione nel Paese, la Francia, dove alla fine si stabiliranno. Tuttavia, il pregiudizio verso la loro razza, latente in ogni Paese che attraversano, determinerà sempre le loro esistenze.
È esplicito nel libro di Anne Berest, il riferimento a “Suite francese” di Irène Némirovsky, il grande romanzo sull’occupazione della Francia, scritto nel 1942, prima che la sua autrice fosse deportata e morisse, anche lei, ad Auschwitz. Anne Berest evoca la grande scrittrice quasi in parallelo alla zia Noémie, che aveva il sogno di diventare scrittrice.
Berest, come tanti testimoni di terza generazione, è cresciuta con una sofferenza tramandata in maniera silenziosa, taciuta, ma interiorizzata implicitamente, nonostante le rimozioni familiari. Tutta la seconda parte del libro è su questa difficoltà di definire e difendere la propria identità, sperimentando un senso di non precisa appartenenza a nulla e subendo le diffidenze discriminatorie che sono presenti anche ai nostri giorni. Uno degli aspetti più interessanti è proprio il fatto che consapevolezza e dolore, in un processo di ricerca di verità, sono inseparabili.
Una delle chiavi de “La cartolina” è, appunto, l’evocazione della Pesach, la Pasqua ebraica, uno degli ultimi momenti celebrati da tutta la famiglia Rabinovitch: una festa simbolica basata sulla speranza di ottenere una Terra Promessa, che ricorda a chi si libera dalle catene che la libertà è per sua essenza dolorosa.
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